CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 settembre 2019, n. 23879
Accertamento fiscale – Fatture per operazioni inesistenti – Evasione di imposta in materia di Iva ed Irap – Socio accomandante – Responsabilità
Rilevato che
1. L’Agenzia delle entrate emetteva cinque avvisi di accertamento (avvisi di accertamento nn. 837012300429 per il 2001; 837012300430 per il 2002, 837012300431 per il 2003, 837012300432 per il 2004, 837012300433 per il 2005) nei confronti di VG, socio accomandante della E. s.a.s., per gli anno 2001, 2002, 2003, 2004 e 2005, evidenziando che la società aveva emesso fatture per operazioni inesistenti, apparentemente emesse da tale società ed utilizzate dalla M. s.a.s. di A.C. a decurtazione del proprio debito Iva, che il C. era l’amministratore di diritto della M. s.a.s. ed amministratore di fatto della E., che era stata contestata alla E. s.a.s. l’evasione di imposta in materia di Iva ed Irap, con il ricalcolo del reddito aziendale, sul presupposto che chi emetteva fatture false otteneva in cambio un compenso, che tale reddito era posto a carico dei soci G.V., accomandante, e C.F., accomandataria, in regione del 50% della quota di ciascuno, esclusivamente ai fini Irpef ed addizionale regionale e comunale.
Pertanto, cinque avvisi di accertamento erano emessi nei confronti della società dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di Badia Polesine, e cinque avvisi di accertamento venivano emessi ai soli fini Irpef nei confronti del socio accomandante G. V. dall’Ufficio di Legnago. La società non proponeva impugnazione, mentre il socio VG impugnava gli avvisi emessi nei suoi confronti.
In particolare, il socio V. agiva sia in proprio, per l’Irpef addebitatagli in ragione della quota di partecipazione della società, sia quale socio della E. “per eventuali conseguenze che la definitività dell’accertamento in capo alla società potrebbe provocargli a livello personale”.
2. Il V. proponeva ricorso avverso gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società.
2.1. Successivamente impugnava anche gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti per la rideterminazione del reddito da partecipazione ai sensi dell’art. 5 d.p.r. 917/1986.
2.2. La Commissione tributaria provinciale di Verona rilevava la sussistenza del litisconsorzio necessario originario in relazione alle cause già instaurate dal V. dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Rovigo, ordinando la trasmissione degli atti dinanzi a quest’ultima.
3. La Commissione tributaria provinciale di Rovigo rigettava i ricorsi riuniti, in quanto il socio accomandante, ai sensi dell’art. 2261 c.c., aveva diritto di avere dagli amministratori notizie in ordine allo svolgimento degli affari sociali, oltre che di consultare i documenti contabili, con pronuncia che veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale, la quale precisava che era stata omessa la dichiarazione dei redditi, che il reddito era stato ricostruito in via induttiva, attraverso le presunzioni, che il socio accomandante aveva l’obbligo di controllare la gestione della società.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il socio.
5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
6. L’Agenzia delle entrate in data 13-6-2018 ha chiesto dichiararsi l’estinzione parziale del giudizio proprio con riferimento agli avvisi di accertamento sopra elencati (ossia quelli relativi alla posizione del socio), con compensazione delle spese.
7. In data 16-10-2018 il socio ha dichiarato e documentato di avere aderito alla definizione delle lite pendenti di cui all’art. 11 d.l. 50/2017 ed avendo provveduto ai pagamenti (cfr. avvisi di accertamento nn. 837012300429 per il 2001; 837012300430 per il 2002, 837012300431 per il 2003, 837012300432 per il 2004, 837012300433 per il 2005), con atto notificato ai sensi dell’art. 372 c.p.c. alla Agenzia delle entrate.
Restavano fuori dalla definizione agevolata gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società (n. 834024400075; n. 834024400080; n. 834024400081; n. 834024400088; n. 834024400089).
8. Con memoria in data 29-10-2018 il VG ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere.
9.In data 16-11-2018 questa Corte ha rilevato una discrasia fra il numero dei singoli verbali descritti nella stampigliatura della sentenza della Commissione regionale e quelli riportati nell’istanza formulata dalla Agenzia delle entrate per la definizione agevolata.
10. Il contribuente ha depositato memoria scritta ai sensi dell’art. 378 c.p.c., in data 7-5-2019.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “omessa o insufficiente motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare circa il fatto di mancata partecipazione di E. s.a.s. o della sua amministratrice o dei soci all’opera di confezionamento e utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti, sedicentemente emesse al nome di essa E. s.a.s.”, in quanto né il ricorrente V., né la F., hanno partecipato alla frode, essendo state confezionate le fatture dal C., che le ha utilizzate nella contabilità della sola M. s.a.s., per ridurre i costi di quest’ultima. Lo stesso C. ha dichiarato di avere redatto le fatture senza che C.F. ne fosse a conoscenza.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “omessa o insufficiente motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) circa un punto controverso e decisivo della controversia, ed in particolare nel punto in cui non valuta la mancanza di deponenza delle presunzioni , viceversa adottate per ritenere un reddito in capo a E. s.a.s.”, in quanto non vi erano elementi per ritenere sussistente un reddito da parte della E. s.a.s. o del socio accomandante, trattandosi, appunto, di una “impresa fittizia” (cartiera) che non esercitava alcuna reale attività e che, quindi, non aveva percepito alcun reddito.
3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione di norme di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.), in particolare per erronea applicazione delle norme sulla presunzione di cui agli artt. 38 e 41 d.p.r. 600/1973, in relazione al contenuto delle stesse come fissato dall’art. 2727 c.c.”, in quanto anche le presunzioni “semplicissime” applicabili in assenza della dichiarazione dei redditi, devono comunque essere connotate da un fondamento logico, sicchè essendo esclusa l’effettiva attività di impresa, non può pervenirsi alla presunzione di un reddito. Nè si può sostenere che la F. ha agito a fronte di un probabile compenso, tale far acquisire reddito alla società e, quindi, per trasparenza al VG.
4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce “omessa o contraddittorio motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) circa un punto decisivo della controversia, e cioè nel punto in cui prevede, con argomentazione apodittica, l’obbligo/diritto al controllo, in fattispecie , del socio accomandante sugli affari della società”, in quanto della falsa fatturazione non vi era traccia in contabilità, sicchè il socio accomandante, pur effettuando i controlli e consultando i documenti relativi alla gestione, non avrebbe potuto accorgersi della emissione delle fatture per operazioni inesistenti.
5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione di norme di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) , in particolare con riferimento alla supposta (con)reponsabilità del socio accomandante per mancato esercizio del controllo sugli atti societari, di cui all’art. 2320 c.c.”, trattandosi , in questo caso di un “diritto” del socio accomandante, ma non di un “obbligo” di prendere cognizione dell’andamento della società.
6. Deve essere dichiarata l’estinzione parziale della materia del contendere limitatamente agli avvisi di accertamento emessi nei confronti del socio V., per Irpef, addizionale regionale ed addizionale comunale (cfr. avvisi di accertamento nn. 837012300429 per il 2001; 837012300430 per il 2002, 837012300431 per il 2003, 837012300432 per il 2004, 837012300433 per il 2005).
Tali avvisi sono stati emessi a carico del socio VG, dopo che cinque avvisi di accertamento erano stati emessi nei confronti della società ai fini Iva (n. 834024400075 per l’anno 2001; n. 834024400080 per l’anno 2002; n. 834024400081 per l’anno 2003; n. 834024400088 per l’anno 2004; n. 834024400089 per l’anno 2005).
7. Quanto agli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società, i motivi primo, secondo e terzo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione sono infondati.
Anzitutto, si rileva che il socio VG ha impugnato con il ricorso di primo grado, non solo gli avvisi di accertamento relativi al reddito di partecipazione, in base alla trasparenza di cui all’art. 5 d.p.r. 916/1986, per i quali ha presentato istanza di definizione agevolata ai sensi dell’art. 11 d.l. 50/2017, ma anche gli avvisi emessi nei confronti della società.
Invero, costituisce circostanza pacifica in atti che la E. s.a.s. non ha depositato la dichiarazione dei redditi, sicchè ne deriva la possibilità di utilizzare, ai fini dell’accertamento, anche presunzioni “semplicissime”, ai sensi dell’art. 41 d.p.r. 600/1973.
E’ altrettanto pacifico che il VG era socio accomandante della E. s.a.s., che socio accomandatario era C. F., che la società era inattiva, che le fatture a nome della E. s.a.s. sono state emesse nei confronti della M. s.a.s. per operazioni inesistenti, che le fatture sono state confezionate da A.C., legale rappresentante della M. s.a.s.. Per questa Corte (Cass., 27569/2008), le norme sulla imposizione diretta, ispirata al principio costituzionale della capacità contributiva, non contemplano ipotesi di responsabilità fiscale “oggettiva”, indipendente dall’esistenza di un reddito effettivo. Tale ipotesi, invece, si rinviene nella disciplina dei tributi indiretti, come l’Iva, che è dovuta per l’intero ammontare della fattura, anche se emessa per operazione inesistente, ai sensi dell’art. 21, comma 7, d.p.r. 633/1972, o l’imposta di registro, dalla quale non è dispensato l’autore di atto nullo o annullabile ex art. 38 d.p.r. 131/1986.
Inoltre, in presenza di una società che svolge attività di “cartiera”, oggetto della imposizione diretta non sono i ricavi, pacificamente inesistenti, risultanti da una contabilità riconosciuta fittizia, ma il reddito illecito può essere determinato sinteticamente, in base ai dati ed alle notizie comunque venuti in possesso dell’Ufficio che, in tal caso, è autorizzato a prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cass., 27569/2008).
Deve aggiungersi che, per questa Corte, è ragionevole l’assunto della Amministrazione per cui la fatturazione fittizia ingenera, almeno nella prospettiva di cui all’art. 39 comma 1 lettera d d.p.r. 600/1973, una presunzione di corrispondente vantaggio economico che è onere del contribuente superare (Cass., 22680/2008).
Nella specie, quanto ai redditi ai fini Irpef, il ricorrente VG, quale socio, ha aderito alla definizione delle liti pendenti ai sensi dell’art. 11 d.l. 50/2017, in relazione alla parte di redditi della società a lui imputabile per trasparenza ai sensi dell’art. 5 d.p.r. 917/1986. Quanto all’Iva della società, invece, l’art. 21 comma 7 d.p.r. 633 del 1972 prevede che l’Iva è dovuta per l’intero ammontare della fattura, anche se emessa per operazione inesistente.
La Commissione tributaria regionale, quindi, non solo si è attenuta ai principi di diritto sopra indicati, ma ha anche reso una congrua motivazione, laddove ha evidenziato la sussistenza della prova della inesistenza delle operazioni sottese alle fatture emesse e l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte della società.
8. i motivi terzo e quarto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati. Invero, il ricorrente sostiene che, in assenza di contabilità aziendale, non era certo possibile rendersi conto per il socio accomandante della emissione di fatture redatte dal C., che era socio di fatti della E., ed emetteva le fatture solo in favore della società di cui era legale rappresentante (M. s.a.s.). Inoltre, per il socio accomandante vi è solo un diritto di chiedere informazioni sulla gestione societaria agli amministratori, ai sensi dell’art. 2320 c.c., ma non un obbligo in tal senso.
Va, però, rilevato che costituisce orientamento consolidato di questa Corte (Cass., 28 giugno 2017, n. 161116) quello per cui il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone, ed imputato al socio ai fini dell’IRPEF, giusta l’art. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973, in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dall’art. 46 del d.P.R. n. 600 del 1973. Tale principio si applica anche al socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tale specie di soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti; la sanzione non viene, quindi, irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, consistendo, nel suo caso, la colpa nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320, ultimo comma, c.c. (Cass., 17492/2002).
9. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo, escluso il valore relativo agli avvisi di accertamento Irpef emessi nei confronti del socio, di cui alla definizione agevolata.
P.Q.M.
Dichiara l’estinzione parziale limitatamente alla impugnazione degli avvisi di accertamento emessi nei confronti del socio.
Rigetta il ricorso in relazione alla impugnazione degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società.
Condanna il ricorrente a rimborsare alla Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
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