CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 settembre 2019, n. 23915
Rapporto di lavoro – Superiore inquadramento – Diritto – Differenze retributive
Rilevato
che la Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza depositata in data 6.3.2013, ha accolto il gravame interposto da G.R., nei confronti della G. S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale di Sassari con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dal R., dipendente della società, volto ad ottenere la dichiarazione del diritto ad essere inquadrato, dal febbraio 2006, nel V livello area tecnicoamministrativa, anziché nel IV, del CCNL FISE/ASSOAMBIENTE, applicabile al rapporto di lavoro, e la condanna della società datrice alla corresponsione delle conseguenti differenze retributive, oltre accessori di legge;
che per la cassazione della sentenza la G. S.p.A. propone ricorso sulla base di tre motivi; che il R. resiste con controricorso;
che sono state depositate memorie nell’interesse di entrambe le parti;
che il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato
che, con il ricorso, si denuncia: 1) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione delle previsioni contenute nella clausola 15 del CCNL 5 aprile 2008 per i dipendenti di imprese e società esercenti servizi ambientali e si lamenta che la sentenza impugnata, nel prendere in esame i compiti e le prerogative proprie del IV e del V livello del CCNL di categoria, non coglie che a ciascuna delle quattro aree in cui si articola “l’architettura contrattuale” sono attribuite funzioni peculiari e che, pertanto, non si possono porre sulla stessa linea i compiti del livello IV della prima area con quelli del livello V della quarta area senza avvertire la divaricazione ontologica tra le due aree, l’una proiettata verso funzioni pratiche ed operative, l’altra verso funzioni programmatiche ed organizzative; 2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la insufficienza della motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo costituito dalla mansione concretamente esercitata dal ricorrente, così come delineata dalle prove testimoniali acquisite agli atti; 3) <<La ragione implicita e i principi dell’ordinamento>> e si ipotizza che alla decisione della Corte territoriale abbia contribuito il proposito di omologare la posizione del ricorrente a quella dei colleghi, al di là di una corretta e aderente applicazione dei criteri dettati dalla classificazione contrattuale; che il primo motivo è inammissibile, innanzitutto perché formulato in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014, cit.); il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne allo stesso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013);
che, nella fattispecie, manca, invece, la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui il motivo si fonda; in particolare, la società ricorrente ha formulato le indicate censure con riferimento all’art. 15 del CCNL 5 aprile 2008 per i dipendenti di imprese e società esercenti servizi ambientali, di cui si deduce la violazione, mentre il ricorso introduttivo del giudizio atteneva a fatti avvenuti nel periodo compreso tra il febbraio 2006 e marzo 2008; non ha provveduto, inoltre, a trascrivere la declaratoria contrattuale delle mansioni del IV e del V livello di cui si discute: per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità della doglianza svolta; che pure il secondo motivo è inammissibile poiché, pur prescindendo dalla genericità della contestazione sollevata, peraltro priva dei riferimenti alle declaratorie contrattuali a sostegno delle censure e senza la focalizzazione del momento di conflitto, rispetto ad esse, dell’accertamento concreto operato dalla Corte di merito all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011), all’evidenza, tende ad una nuova valutazione delle prove, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poiché si limita a contrapporre una diversa valutazione delle emergenze istruttorie, fatta dalla società ricorrente, rispetto a quella cui è pervenuta la Corte di merito (cfr., altresì, tra le molte, Cass. n. 7863/2012); che il terzo motivo, oltre che per la sua formulazione irrituale, è inammissibile perché del tutto estraneo alla ratio decidendi) che, per tutto quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile e la società ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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