CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 febbraio 2021, n. 5462
Tributi – Accertamento – Società di capitali a ristretta base sociale – Presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili – Onere di prova contraria
Fatti di causa
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso di D.S.M.M. avverso un avviso di accertamento relativo all’IRPEF per l’anno d’imposta 2008 per redditi prodotti dalla P. s.r.l. di cui la D.S. era socia;
la Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva l’appello della parte contribuente ritenendo che l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa ricadeva in capo all’amministrazione finanziaria e non poteva prescindere dalla produzione del processo verbale di contestazione della Guardia di finanza e la presunzione semplice su cui l’Ufficio si fonda non consente di ravvisare elementi presuntivi rilevanti in quanto l’avviso a carico del socio, ancorché nasca dalla medesima azione accertatrice, deve contenere una motivazione autonoma e completa, in quanto il socio deve ricevere dall’Ufficio notizia diretta e formale delle ragioni poste a base dell’accertamento e quindi non assume alcun rilievo il fatto che il socio di una s.r.l., i cui poteri di controllo sono peraltro limitati, possa avere ricevuto, in concreto, una conoscenza di fatto delle indagini fiscali compiute a carico della società partecipata.
Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi; la parte contribuente non si costituiva.
Ragioni della decisione
Considerato che:
con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 con riferimento agli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c., 2261, 2746 e 2729 c.c. per aver erroneamente gravato l’Ufficio dell’onere della prova della percezione di utili extracontabili;
con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, l’Agenzia delle entrate deduce violazione dell’art. 132 c.p.c. perché la motivazione della sentenza sarebbe meramente apparente dal momento che non è dato conoscere il ragionamento che ha condotto la Commissione Tributaria Regionale a ritenere che la parte contribuente non fosse più socia dal 2008;
ritenuto di dover affrontare preliminarmente il secondo motivo di impugnazione dal momento che è logicamente preliminare rispetto al primo in quanto coinvolge la radicale nullità della sentenza perché sospettata di essere priva a monte di una motivazione riconoscibile come tale;
ritenuto che tale secondo motivo è infondato in quanto, secondo questa Corte: il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta in una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 22598 del 2018);
ritenuto che tale motivo è infondato perché per un verso la Commissione Tributaria Regionale ha fornito una motivazione sufficientemente chiara e ragionevole nel senso che la contribuente, in qualità di socio a responsabilità limitata prima e quale cedente la quota nel 2008, al momento del ricevimento nel 2013 dell’avviso di accertamento non era già da tempo inserita nel contesto societario ed avrebbe dovuto pertanto ricevere, come appunto afferma la Commissione Tributaria Regionale, “una motivazione autonoma e completa” contenente “notizia diretta e formale delle ragioni poste a base dell’accertamento” e per un altro verso la ratio dell’art. 111, comma 6, Cost. (secondo cui «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati»), così come tradotta nel diritto vivente, è nel senso che deve sussistere un minimo di motivazione sufficiente a giustificare il provvedimento giurisdizionale nel suo insieme, non anche per singole affermazioni non costituenti di per sé autonome e decisive rationes decidendi della sentenza: nella specie invece la doglianza dell’Agenzia si appunta su un affermazione della sentenza impugnata che si inserisce e va letta in un contesto più ampio, così come sopra appena illustrato;
ritenuto che il secondo (ndr: primo) motivo è fondato in quanto, secondo questa Corte:
in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass. n. 1947 del 2019);
in tema imposte sui redditi di capitale, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio e il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto a quello verso il secondo (Cass. n. 33976 del 2019);
considerato inoltre che l’art. 7 dello Statuto del contribuente, richiamato nel ricorso dell’Agenzia delle entrate (chiarezza e motivazione degli atti), «Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione», va interpretato alla luce dell’intero sistema in cui tale norma si inserisce e in tale prospettiva la doglianza appare fondata perché si collega all’art. 10 proprio dello stesso Statuto del contribuente: tale norma stabilisce infatti che «I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede», e pertanto, alla luce dei principi espressi dagli artt. 3 (ragionevolezza), nonché alla luce del principio di solidarietà economica e sociale di cui all’art. 2 Cost. che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 9 maggio 2018, n. 11052; Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009) la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica: la sentenza infatti omette di prospettare le ragioni per le quali la mancata allegazione del processo verbale di contestazione della Guardia di finanza avrebbe comportato una lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo. Infatti, nei rapporti tra contribuente e pubblica amministrazione e salvi gli eventuali diritti dei terzi, la possibilità da parte del contribuente di denunciare vizi fondati sulla pretesa violazione di norme procedimentali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività amministrativa, ma garantisce solo l’eliminazione dell’eventuale pregiudizio da lui subito in conseguenza della denunciata violazione di norme che siano espressione del principio di buona andamento della pubblica amministrazione (Cass. 9 maggio 2018, n. 11052);
ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove ha affermato che l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa ricadeva in capo all’amministrazione finanziaria quando invece, trattandosi di società a ristretta base sociale (dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale emerge infatti che i soci della società P. s.r.l. sono sempre stati solo due) è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili e d’altra parte la pretesa della stessa amministrazione finanziaria, pervenuta nella sfera giuridica della contribuente attraverso la notifica a lei personalmente dell’avviso di accertamento, era con la normale diligenza agevolmente conoscibile nella sua effettiva portata e quindi con riferimento ai suoi rapporti con la P. s.r.l., trattandosi di pretesa relativa a un periodo in cui rivestiva la qualità di socio di detta società; ritenuto dunque che, infondato il secondo motivo di impugnazione e fondato il primo, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Respinge il secondo motivo di impugnazione, accoglie il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.