CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 febbraio 2021, n. 5474
Rapporto di lavoro – Domanda per mobilità volontaria – Diritto ad ottenere un nuovo e diverso inquadramento rispetto a quello già ottenuto al momento della pregressa immissione in ruolo
Rilevato che
1. con sentenza n. 6384/2014, pubblicata in data 11 agosto 2014, la Corte di appello di Roma confermava la decisione del Tribunale di Viterbo che aveva respinto la domanda proposta, nei confronti dell’INAIL, da L.C. – già segretario comunale, poi transitato in data 14/9/1998, per mobilità volontaria nei ruoli del Istituto convenuto ex art. 18 d.P.R. 465 del 1997, intesa ad ottenere il riconoscimento del suo diritto ad essere inquadrato, ai sensi dell’art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004, nei ruoli dirigenziali dello stesso Istituto a decorrere dall’1/1/2005;
riteneva la Corte territoriale che l’impugnazione del C. fosse infondata alla stregua delle pronunce di questa Corte n. 165/2014 e n. 1324/2014 secondo le quali il citato art. 1, comma 49, non è applicabile alle procedure di mobilità già esaurite alla data della sua entrata in vigore con conseguente inconfigurabilità di un diritto dell’ex segretario comunale ad ottenere un nuovo e diverso inquadramento rispetto a quello già ottenuto al momento della pregressa immissione in ruolo;
2. avverso tale sentenza L.C. ha proposto ricorso affidato a due motivi;
3. l’INPS ha resistito con controricorso;
4. entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
1. con il primo motivo il ricorrente evidenzia l’ammissibilità del ricorso ex art. 360 bis cod. proc. civ., per la sussistenza di elementi nuovi idonei a mutare l’orientamento giurisprudenziale, atteso che, con nota del 31.1.2014 del Ministero dell’Interno – Albo nazionale dei Segretari Comunali e Provinciali (allegato B delle note di deposito contenute nel fascicolo di parte di secondo grado, ora allegato sub doc. 4) – non menzionata nella sentenza della Corte capitolina – era stato attestato che alla data di entrata in vigore della legge 311 del 2004 non vi erano in corso istanze di mobilità ex art. 18 del d.P.R. n. 465/1997 e che le procedure inerenti la norma in esame sono state concluse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge citata;
sostiene il ricorrente che alla data di entrata in vigore del comma 49 non c’era nessuno – né avrebbe potuto esserci – che avesse i requisiti di cui al comma 49 (e cioè aver prestato 3 anni di servizio ed aver esercitato l’opzione di mobilità) e che non avesse ancora concluso il proprio iter; assume che detta circostanza confermerebbe la bontà della tesi della difesa (espressa con il secondo motivo di ricorso, v. infra), espressiva di un principio generale dell’ordinamento secondo cui, a fronte di un dubbio interpretativo, occorre scegliere l’opzione o la lettura che renda “viva” la norma e ne garantisca l’applicazione almeno ad un caso concreto, in conformità con il principio di conservazione sancito dall’art. 1367 cod. civ., la cui ratio è quella di evitare che un atto sia improduttivo di effetti giuridici;
2. con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 48 e 49, della l. n. 311 del 2004; censura la sentenza impugnata prospettando una lettura dei suddetti commi 48 e 49 autonoma l’uno dall’altro, trattandosi di disposizioni disciplinanti due differenti ipotesi di mobilità; assume, inoltre, che con l’art. 1, comma 49, il legislatore aveva inteso rimuovere una disparità di trattamento determinata dall’art. 18 del d.P.R. n. 465 del 1997, poi abrogato, e adeguare la posizione dei Segretari alle disposizioni introdotte con il d.lgs. n. 165 del 2001 sul ruolo unico della dirigenza (di prima e seconda fascia) ed al contratto collettivo di lavoro successivamente approvato e che la norma di interpretazione contenuta nell’art. 16 della l. n. 246 del 2005 sarebbe priva di utilità;
3. il ricorso è infondato;
3.1. la questione relativa alla interpretazione dell’art. 1, commi 48 e 49, della legge n. 311 del 2004 e della sua applicabilità anche alle procedure di mobilità già concluse alla data di entrata in vigore della nuova normativa presentando il requisito di particolare importanza previsto dall’art. 374, comma 2, cod. proc. civ. – è stata decisa dalle Sezioni unite di questa Corte (sentenze nn. 784, 785, 786/2016) che, effettuando una approfondita ricostruzione del quadro normativo e contrattuale in materia di procedure di mobilità dei segretari comunali (disciplinate, inizialmente, dagli artt. 18 e 19 del d.P.R. n. 465 del 1997 e successivamente dall’art. 32 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali 1998-2001, dalla I. 27 luglio 2004, n. 186, che abrogò l’art. 18 dal d.P.R. 465 del 1997, dal comma 48 dell’art. 1 della I. 30 dicembre 2004, n. 311, interpretato autenticamente dall’art. 16, comma 4, della I. 28 novembre 2005, n. 246) hanno ritenuto che l’art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004 – che disciplina la possibilità del reinquadramento e dell’accesso alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – non si applica, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica e teleologica della norma, ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge;
3.2. la disposizione normativa si riferisce ai soli processi di mobilità eventuali e futuri, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione sarebbe lesiva del principio costituzionale dell’accesso alla P.A. per concorso pubblico, applicabile anche alla dirigenza;
3.3. il suddetto circoscritto ambito di applicazione è stato desunto, dalle Sezioni unite, non solo da elementi testuali della disposizione normativa (quali: l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria rispetto al contratto collettivo di settore 1998-2001 e rivolta al futuro in quanto delimitata dalle regole che le parti sociali, in sede di rinnovo del contratto collettivo, vorranno adottare; la previsione del limite del contingente di spesa contenuto nel comma 49) ma, altresì, da una interpretazione sistematica e teleologica della normativa del 2004, che si colloca nell’ambito di un graduale e costante processo di limitazione dell’accesso alla dirigenza delineato sia dal legislatore che dalle parti sociali. Invero, la regola dettata dal d.P.R. n. 465 del 1997 prevedeva – in caso di passaggio ad altra P.A. – l’attribuzione della qualifica di provenienza;
3.4. il c.c.n.l. 1998-2001 dei segretari comunali e provinciali ha, da una parte, rivisto il sistema di classificazione e, dall’altra, consentito l’accesso alla dirigenza solamente alle qualifiche più elevate; la legge n. 186 del 2004 ha uniformato la mobilità dei segretari comunali e provinciali alla disciplina generale sulla mobilità dettata dal T.U. sul pubblico impiego (art. 30 d.lgs. n.165 del 2001); la legge n. 311 del 2004, interpretata autenticamente dalla legge n. 246 del 2005, ha apportato ulteriori modifiche in senso riduttivo, prevedendo che anche per i segretari comunali e provinciali delle qualifiche più elevate l’accesso alla dirigenza non costituisse più la regola;
3.5. interpretare, pertanto, il comma 49 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004 in maniera così estensiva da imporre una generalizzazione dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la mobilità prevista dal d.P.R. n. 465 del 1997) risulterebbe fortemente contraddittorio con l’evoluzione normativa e contrattuale riscontrata in materia di mobilità dei segretari comunali e provinciali;
3.6. né può correttamente invocarsi il principio di conservazione affermato dall’art. 1367 cod. civ., criterio sussidiario e concernente l’interpretazione degli atti negoziali (e non normativi);
3.7. è stato anche negato l’assunto in fatto che all’epoca della l. n. 311 del 2004 non vi fossero mobilità volontarie in corso evidenziandosi che tali mobilità erano probabilmente in misura molto circoscritta, come si desumeva dalla sostanziale assenza di una previsione di spesa in relazione a quanto previsto dell’art. 1, dal comma 49, ma situazioni di questo tipo sussistevano, come si evinceva dal caso considerato, ancorché ad altri fini, da Cass. 20856/2015, concernente una segretaria comunale in disponibilità che aveva presentato domanda di mobilità volontaria ex art. 18, a seguito della quale era anche stato autorizzato il suo trasferimento presso altra amministrazione, sebbene tale procedura non si fosse conclusa al momento della entrata in vigore della l. n. 186 del 2004, nè in seguito, il che aveva costretto la lavoratrice ad intentare una controversia per il completamento della mobilità volontaria conformemente alla sua domanda (v. Cass.. Sez. Un. n. 784/2016 cit.);
4. il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno ribadito le conclusioni alle quali questa Sezione è pervenuta con le sentenze n. 165/2014, 1047/2014, 1324/2014, orientamento ripreso da numerose successive pronunce (ex plurimis Cass. n. 12033/2016; Cass. n. 16521/2016; Cass. n. 19281/2017; n. 29572/2017; Cass. n. 19516/2018; Cass. n. 20873/2018; Cass. n. 15374/2019; Cass. n. 20999/2019), atteso nel ricorso e nella memoria non sono stati offerti argomenti idonei a far rimeditare l’orientamento giurisprudenziale espresso nelle pronunce innanzi richiamate;
5. si aggiunga che questa Corte (v. Cass. n. 27945/2017 cit.) ha anche precisato che non è ipotizzabile un’ingiustificata disparità di trattamento a fronte di una disciplina diversificata in capo alla stessa categoria di soggetti in momenti temporali diversi;
5.1. l’eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004 con riferimento all’art. 3 Cost., è stata, così, ritenuta manifestamente infondata, oltre che per quanto già indicato dalle Sezioni unite (cfr. punti 60-64 sentenza n. 784, 59-62 sentenza n. 785, 60-64 sentenza n. 786), per il principio costantemente affermato dalla Corte costituzionale secondo cui «lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche» (cfr. fra le tante Corte cost. nn. 61/2010, 170/2009, 94/2009, 341/2007);
5.2. ragioni analoghe hanno portano, altresì, a escludere (v. sempre Cass. n. 27945/2017 cit.) ogni eventuale contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacché, anche a voler prescindere dalla questione dell’applicabilità della norma nelle sole ipotesi in cui vengano in rilievo le altre norme sostanziali della Convenzione preposte a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (fra le più recenti Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, § 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, § 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin contro Russia), la giurisprudenza della Corte è costante nell’affermare che una disparità di trattamento assume valenza discriminatoria solo qualora «manchi di una giustificazione oggettiva e ragionevole», «quando non persegua un fine legittimo» ovvero non sussista «un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito» (Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, § 59; 25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania; 27 marzo 1998, Petrovic contro Austria, § 30; 1° febbraio 2000, Mazurek contro Francia, § 46 e 48);
5.3. dette condizioni difettano laddove – come nel caso in esame – l’inquadramento è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca vigente in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla Carta potrebbe mai ravvisarsi, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un momento in cui la procedura di mobilità si era conclusa;
6. da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato;
7. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
8. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’INAIL, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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