CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 luglio 2021, n. 21352
Tributi – Contenzioso tributario – Ricorso in appello – Contenuto del ricorso – Semplice enunciazione di un principio di diritto – Inammissibilità
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 3767/2018, depositata il 19/04/2018, la CTR della Campania ha confermato il rigetto dell’impugnazione proposta dalla contribuente con un avviso di accertamento relativo alla maggiore ICI liquidata per l’anno 2011.
Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi di ricorso.
Il Comune ha resistito con controricorso, prospettando plurime ragioni di inammissibilità, oltre all’infondatezza dell’impugnazione avversaria.
Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 504 del 1992, dell’art. 11 quaterdecies, comma 16, d.l. n. 2003 del 2005 (conv. con modif. in l. n. 248 del 2005) e dell’art. 36, comma 2, d.l. n. 223 del 2006 (conv. con modif. in l. n. 248 del 2006), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.
2. Con il secondo motivo è dedotto un error in iudicando, per avere la CTR confermato gli avvisi di accertamento senza avere considerato il valore venale del bene oggetto di imposizione alla data a cui si riferisce l’imposta (2011).
3. Non è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata esposizione dei fatti di causa ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., tenuto conto che dalla semplice lettura dell’atto si evince l’esposizione della materia del contendere che ha interessato i due gradi di giudizio e il tenore delle decisioni di merito.
4. È invece inammissibile il primo motivo di ricorso, per violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 4) e 6), c.p.c.
Parte ricorrente ha richiamato l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di ICI, affermando che questa Corte ha ritenuto che “a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11 quaterdecies, comma 16, d.l. n. 203 del 2005 (conv. con modif. in l. n. 248 del 2005) e dell’art. 36, comma 2, d.l. n. 223 del 2006 (conv. Con modif. in l. n. 248 del 2006), che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lettera b), d.lgs. n. 504 del 1992, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone, peraltro, di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie e, pertanto, la presenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, pur non sottraendo l’area su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, incide sulla valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile” (così Cass., Sez. 5, n. 5161 del 05/03/2014; conf., tra le tante, Sez. 6-5, n. 12377 del 15/06/2016).
La censura si ferma, però, qui, mentre la parte avrebbe dovuto spiegare in che modo la sentenza gravata abbia in concreto violato, o falsamente applicato, le norme appena richiamate e come sopra interpretate, mediante la rappresentazione delle caratteristiche dei beni oggetto di imposizione, desumibili da atti specificamente indicati, rilevanti ai fini della individuazione della effettiva potenzialità edificatoria.
Il motivo si risolve, in sostanza, nell’enunciazione di un principio di diritto e nella generica allegazione della violazione dello stesso, come tali, non idonee ad integrare il contenuto necessario del ricorso.
5. È inammissibile anche il secondo motivo, per le stesse ragioni sopra esposte. Parte ricorrente ha dedotto l’omessa valutazione delle caratteristiche attuali del bene, per avere la CTR avallato la determinazione del valore venale dei beni in questione in base ai criteri indicati nel regolamento comunale previsto dall’art. 59 l. n. 446 del 1997, adottato ben quattro anni prima, ma non ha descritto quali siano tali caratteristiche effettive dei beni, solo genericamente menzionato, né ha indicato gli atti dai quali poterle ricavare.
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
7. La statuizione sulle spese di lite, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.
8. In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dal controricorrente, che liquida in € 2.000,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettario e accessori di legge; dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.