CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 luglio 2022, n. 23374
Pubblico impiego – Contratti di somministrazione illegittimi – Differenze retributive – Indennità risarcitoria- Inclusione dei c.d. trattamenti integrativi – Prescrizione
Rilevato che
1. con sentenza n. 508/2016 la Corte d’appello di Firenze, pronunciando sulle impugnazioni avverso due distinte decisioni del locale Tribunale (la n. 44/2014 che aveva dichiarato l’illegittimità di n. 10 contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato stipulati tra S. A. e l’INPDAP – poi INPS – e condannato l’Istituto a corrispondere alla A. il risarcimento del danno quantificato in 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, e la n. 406/2014 che aveva condannato l’Istituto a corrispondere alla A. a titolo di differenze retributive la somma di euro 53.533,78 pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) confermava la declaratoria di illegittimità dei termini apposti a contratti e solo riduceva a 12 mensilità l’indennità risarcitoria e confermava, altresì, la condanna al pagamento delle differenze retributive; la Corte territoriale escludeva la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’impresa di somministrazione;
riteneva, poi, in assonanza con il Tribunale, che le assunzioni della ricorrente fossero illegittime in quanto effettuate per coprire permanenti e dichiarate carenze di organico e per disbrigare i normali compiti di istituto privi di qualunque aspetto di temporaneità con una prolungata reiterazione dei contratti dal 2006 al 2010; assumeva che il risarcimento del danno dovesse essere quantificato, ai sensi di Cass., SU, n. 5072/2016, con l’applicazione dell’art. 32 del l. n. 183/2010;
riteneva che il Tribunale avesse correttamente riconosciuto in favore della ricorrente il trattamento retributivo previsto per gli assunti a tempo indeterminato svolgenti le medesime mansioni con l’inclusione dei c.d. trattamenti integrativi;
escludeva che fosse maturata la prescrizione stante la precarietà dei rapporti;
2. avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;
3. S. A. ha resistito con controricorso successivamente illustrato da memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 27 del d.lgs. n. 276/2003; censura la sentenza impugnata per aver interpretato ed applicato erroneamente le suddette norme là dove ha riscontrato l’irregolarità della somministrazione nei contratti commerciali ed ha ritenuto inesistenti le ragioni dell’impiego precario protrattosi per anni e diretto a coprire esigenze stabili talora dichiarate come carenze di organico; sostiene che l’istituto della somministrazione non è condizionale all’esistenza di situazioni di carattere temporaneo straordinario o addirittura eccezionale;
2. il motivo è infondato;
2.1. questa Corte ha già affermato (v. Cass. 13 gennaio 2021, n. 446) che, in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima o abusiva successione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, pur essendo esclusa, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 86, comma 9, del d. lgs. n. 276 del 2003, la trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato, si verifica in ogni caso la sostituzione della pubblica amministrazione-utilizzatrice nel rapporto di lavoro a termine e il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno parametrato alla fattispecie di portata generale di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo e un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto;
tale disciplina appare conforme allo scopo della direttiva 2008/104/CE, la quale, secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia (sentenza del 14 ottobre 2020 in causa C-681/18), è finalizzata a far sì che gli Stati membri si adoperino affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per uno stesso lavoratore (principio affermato in una fattispecie in cui, essendosi concluso il rapporto dopo l’entrata in vigore della direttiva n. 2008/104/CE, ma prima della scadenza del termine fissato per la sua trasposizione nell’ordinamento interno, la S.C. ha affermato che il giudice nazionale era tenuto ad applicare il diritto interno, ma senza poterne dare un’interpretazione difforme dagli obiettivi della direttiva);
la Corte di Giustizia ha concluso che l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104 deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che non limita il numero di missioni successive che un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale può svolgere presso la stessa impresa utilizzatrice e che non subordina la legittimità del ricorso al lavoro tramite agenzia interinale all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustifichino tale ricorso;
per contro, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme;
2.2. si aggiunga che l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, già nella versione di cui all’art. 4, comma 2, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80 aveva previsto: «1-bis. Le amministrazioni possono attivare i contratti di cui al comma 1 solo per esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento di procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea, nonché previa valutazione circa l’opportunità di attivazione di contratti con le agenzie di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per la somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi»;
nella versione vigente dall’1/1/2008 al 24/6/2008 era così previsto: «1. Le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali. Il provvedimento di assunzione deve contenere l’indicazione del nominativo della persona da sostituire. 2. In nessun caso è ammesso il rinnovo del contratto o l’utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale. 3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali attraverso l’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non rinnovabile. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva…..»;
nella versione vigente dal 24/6/2008: «2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti.
Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall’articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. 3. Al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell’ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio»; ancora nella versione vigente dal 5/8/2009 al 30/10/2013: «2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall’articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile ed il lavoro accessorio di cui alla lettera d), del comma 1, dell’articolo 70 del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni ed integrazioni. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. 3. Al fine di combattere gli abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di apposite istruzioni fornite con Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, le amministrazioni redigono, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, ai nuclei di valutazione o ai servizi di controllo interno di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato»; in tutte le versioni dell’art. 36, dunque, il ricorso al contratto a termine e più in generale a quello ai contratti di lavoro flessibile è consentito solo a fronte di comprovare esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, nel senso che non possono riferirsi ad un fabbisogno ordinario;
2.4. la somministrazione di lavoro, forma flessibile di lavoro richiamata anche dall’indicato art. 36, già prevista dagli artt. 20 e ss. del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 è ora disciplinata dagli artt. 30-40 del d.lgs. 15 giugno 215, n. 81; l’art. 20, comma 4 nella versione originaria prevedeva che: «4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368»;
l’art. 21, comma 3, nella versione originaria precisava: «3. Le informazioni di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’utilizzatore»;
le suddette disposizioni sono sostanzialmente rimaste invariate nelle versioni successive delle indicate norme, fino all’abrogazione delle stesse da parte del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81;
quest’ultimo, all’art. 30, ha così previsto: «Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore»; all’art. 33: «2. Con il contratto di somministrazione di lavoro l’utilizzatore assume l’obbligo di comunicare al somministratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare e a rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori. 3. Le informazioni di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile della missione, devono essere comunicate per iscritto al lavoratore da parte del somministratore all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio in missione presso l’utilizzatore»; all’art. 34: «2. In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore»;
2.5. come è stato da questa Corte già precisato (v. Cass. 3 maggio 2022, n. 13982), se è vero che non si può ricavare un limite temporale che nella legge non c’è (si veda l’espressa esclusione delle disposizioni degli artt. 21, comma 2, 23 e 24), certo va valorizzato il fatto che con l’introduzione delle variegate forme flessibili di lavoro nelle pubbliche amministrazioni il legislatore ha sempre richiesto la necessità di esigenze temporanee, così l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 (che, nelle varie versioni, al comma 2 ha elencato le tipologie di lavoro flessibile utilizzabili dalla pubbliche amministrazioni: contratti di lavoro a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro, somministrazione di lavoro a tempo determinato) ma anche dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 276/2003;
l’interpretazione delle norme sulla somministrazione nel senso della temporaneità è l’unica conforme al diritto dell’Unione perché evita una contrarietà alla direttiva sulla somministrazione come interpretata dalla Corte di Giustizia;
l’obbligo di interpretazione conforme riguarda anche le norme anteriori alla direttiva come chiarito dalla Corte di giustizia;
2.6. alla luce delle precedenti considerazioni deve, dunque, ritenersi che ai sensi del combinato disposto degli articoli 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 e del D.lgs. n. 81 del 2015 (già d.lgs. 273/2006), la somministrazione a tempo determinato sia legittima anche nell’ambito della pubblica amministrazione, quando non sia tale da eludere la natura temporanea del lavoro tramite agenzia; la Corte territoriale si è attenuta agli indicati principi;
3. con il secondo motivo l’INPS denuncia la violazione dell’art. 103 cod. proc civ. per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della J.C.I. S.p.A. in relazione alle differenze retributive riconosca titolo di trattamento accessorio; sostiene che l’esistenza di tali differenze non poteva che essere dipesa da un errore di contabilità dell’Agenzia di somministrazione in sede di redazione delle buste paga; censura anche la sentenza per aver riconosciuto le differenze retributive;
4. il motivo è infondato;
4.1. anche quanto alle differenze retributive va fatta applicazione del principio secondo cui non è necessario, a tal fine, che al giudizio partecipi anche il soggetto somministratore, stante l’inequivoco disposto dell’art. 27, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 («Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione»);
si tratta, peraltro, di una previsione in linea con l’orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità nella vigenza della legge n. 1369 del 1960, la quale escludeva la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra l’utilizzatore della prestazione ed il soggetto interposto (si vedano Cass., Sez. Un., n. 14897/2002 e n. 11363/2004); la chiamata in garanzia impropria (dell’obbligato solidale) non determina litisconsorzio necessario;
4.2. quanto alla spettanza dello stesso trattamento economico previsto per i dipendenti a tempo indeterminato, con l’inclusione dei c.d. trattamenti integrativi (a base delle riconosciute differenze retributive), il principio applicato dalla Corte territoriale è corretto;
va, infatti, ritenuto che escludere tale riconoscimento anche ai dipendenti assunti con contratti di somministrazione a termine si porrebbe in contrasto con il principio di non discriminazione, di cui alla clausola 4 punto 1 della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE alla quale ha dato attuazione nell’ordinamento interno l’art. 6 d.lgs. n. 368/2001, principio applicabile, secondo l’interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico il quale esige che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di ruolo e dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro, per il solo motivo che questi ultimi lavorino a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da “ragioni oggettive” e cioè dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguano il rapporto di impiego in questione, nel particolare contesto in cui si iscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria (Corte giust. UE 13 settembre 2007, in causa C-307/05);
nella specie non vi sono – e comunque non sono state neppure allegate – ragioni oggettive che possano giustificare una differenziazione;
5. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2935 cod. civ. in relazione alla esclusa operatività della prescrizione quinquennale;
6. il motivo è fondato;
6.1. come già affermato da questa Corte (v. tra le più recenti Cass. 19 novembre 2021, n. 35676), la privatizzazione non ha comportato una totale identificazione tra lavoro pubblico privatizzato e lavoro privato;
in particolare, permangono nel lavoro pubblico privatizzato quelle peculiarità individuate dalla Corte Costituzionale, in relazione al previgente regime dell’impiego pubblico, come giustificative di un differente regime della prescrizione: sia in punto di stabilità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (art 51, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 ed, alla attualità, articolo 63, comma 2, d.lgs. n. 165/2001), che in punto di eccezionalità del lavoro a termine (secondo la disciplina speciale dell’art. 36 d.lgs. n. 165/2001);
in definitiva:
– da un canto, non può essere invocato il regime derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 63/1966, che, come chiarito nella sentenza n. 143/1969, riguarda i rapporti di lavoro regolati (interamente) dal diritto privato;
– dall’altro non si ravvisano ragioni per sottoporre nuovamente la questione alla Corte Costituzionale a seguito della privatizzazione dei rapporti di lavoro pubblico; l’inapplicabilità del regime di sospensione della prescrizione risultante della sentenza della Corte Costituzionale n. 63/1966 nei rapporti di lavoro pubblico privatizzato è stata, del resto, già affermata da questa Corte, nelle sentenze nn.rr. 10219 e 10220/2020, 11379/2020, 12443/2020, 12503/2020 e 15352/2020, con riguardo all’ipotesi di contratti di lavoro subordinato a termine affetti da nullità;
si è ivi osservato che, essendo impedita per legge la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, non è riscontrabile la condizione, valorizzata dalla Corte Costituzionale ai fini della parziale dichiarazione di incostituzionalità, del timore del licenziamento, che spinge o può spingere il lavoratore sulla via della rinunzia ad una parte dei propri diritti; in questa sede il principio del decorso della prescrizione in costanza del rapporto di lavoro va ulteriormente esteso all’ipotesi, qui ricorrente, di contratto di somministrazione utilizzato per coprire permanenti e dichiarate carenze di organico e per disbrigare i normali compiti di istituto, in assenza di ogni aspetto di temporaneità, ricorrendo le medesime ragioni in generale evidenziate per il settore del lavoro pubblico privatizzato a termine, concernenti la mancanza di ogni aspettativa del lavoratore alla stabilità dell’impiego e la conseguente inconfigurabilità di un metus in ordine alla mancata continuazione del rapporto suscettibile di tutela;
6.2. la sentenza impugnata non si è conformata agli indicati principi;
7. in via conclusiva va accolto il terzo motivo di ricorso e vanno rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione;
8. alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
9. non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
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