CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2020, n. 9792
Compenso per l’attività di coordinatore per la sicurezza – Contratti di lavoro autonomo distinti rispetto al rapporto di lavoro subordinato in essere – Interpretazione di atto negoziale, tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito – Censurabilità in sede di legittimità, solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ex art. 1362 c.c. e seguenti o di motivazione inadeguata
Rilevato che
Il Tribunale di Terni accoglieva il ricorso proposto da S.S. – geometra da ultimo inquadrato con qualifica di quadro categoria A posizione organizzativa 3 – nei confronti della s.p.a. A., limitatamente alle domande volte a conseguire il pagamento di compensi per l’espletamento dell’incarico relativo a corsi di coordinatore e quota parte del premio di partecipazione relativo all’anno 2004; respingeva invece, le ulteriori istanze formulate dal ricorrente, ivi comprese quelle volte a conseguire il compenso per l’attività di coordinatore per la sicurezza durante l’esecuzione lavori di ampliamento dello stabilimento.
Detta pronunzia veniva confermata dalla Corte distrettuale che, nel proprio iter motivazionale, rimarcava come dal compendio istruttorio acquisito, di natura documentale e testimoniale, non poteva desumersi la intervenuta conclusione fra le parti, di contratti di lavoro autonomo distinti rispetto al rapporto di lavoro subordinato in essere; condivideva al riguardo l’approccio seguito dal giudice di prima istanza, secondo cui , l’incarico di coordinatore in materia di sicurezza era stato adeguatamente valorizzato dalla parte datoriale mediante l’attribuzione a decorrere dal 1997, della qualifica di quadro cat. A pos. org. 3, nel cui profilo doveva ritenersi compreso anche lo svolgimento della descritta attività di coordinamento dei lavori.
Avverso tale decisione S.S. interpone ricorso per Cassazione affidato a due motivi ai quali oppone difese la società intimata.
Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte ex art.380 bis c. 1 c.p.c.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del d. Igs. n.494/1996, di plurime disposizioni codicistiche nonché dei c.c.n.I. per l’Industria chimica anni 1990-1994- 1998-2002.
Si ribadisce la tesi accreditata a fondamento del diritto azionato, secondo cui gli incarichi conferiti al ricorrente costituivano contratti – specificamente definiti e disciplinati dall’art. 5 d.lgs. n. 494/1996 – che si presentavano strutturalmente distinti rispetto al contratto di lavoro subordinato inter partes, e postulavano l’erogazione di un autonomo compenso rispondente alla peculiarità delle mansioni espletate. Ci si duole, quindi, che il giudice del gravame non abbia congruamente svolto la attività ermeneutica a lui demandata, non correttamente interpretando le declaratorie relative alla qualifica professionale né i contratti stipulati fra le parto.
2. Il motivo non è fondato.
Il cuore delle censure formulate dal ricorrente concerne la non corretta esegesi degli atti di conferimento d’incarico di coordinatore e delle declaratorie contrattuali collettive che disciplinavano la categoria Quadri pos. org. 3 oggetto di riconoscimento in sede giudiziale.
Ma al riguardo, non può tralasciarsi di considerare che, secondo l’orientamento espresso da questa Corte, da ribadirsi in questa sede, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o di motivazione inadeguata ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione (in motivazione vedi Cass. 9/8/2018 n.20694).
Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/ 2007, n. 22536).
D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (vedi Cass.6/12/2016, Cass. 20/11/2009 n.24958, Cass. 27/3/2007 n.7500).
Nel segno delle enunciate indicazioni nomofilattiche, l’interpretazione patrocinata dalla Corte d’appello è da ritenersi immune da censure, giacché, da un lato, non si prospetta la violazione ad alcun criterio ermeneutico legale, dall’altro, risulta sorretta da motivazione esaustiva, congrua e logica.
La Corte territoriale ha infatti esaminato il testo dei documenti aventi ad oggetto il conferimento dell’incarico di responsabile e coordinatore dei lavori inerenti alla realizzazione di alcuni progetti societari, deducendo che dal tenore degli stessi, non poteva desumersi la volontà delle parti di stipulare contratti di lavoro autonomo distinti rispetto al rapporto di lavoro subordinato in essere fra le parti.
Si trattava, infatti, “di atti unilaterali di provenienza aziendale non integranti un accordo, ma una designazione o nomina in relazione a particolari incarichi che il dipendente veniva chiamato a svolgere in virtù delle proprie qualità ed esperienze professionali maturate all’interno dell’azienda” (vedi pag. 17 sentenza).
Sotto altro versante, ha proceduto all’analisi della declaratoria collettiva di settore relativa alla qualifica di “Quadro categoria A3” di appartenenza del ricorrente, che consentiva bene di ritenere compresi comunque, nell’ambito dei prestigiosi profili professionali della categoria quadri riconosciuta, gli incarichi di responsabile e coordinatore dei lavori conferiti.
Nella opinione della Corte, invero, in tale contesto categoriale – che comprendeva gli specifici profili professionali di “capo commessa di stabilimento”, “responsabile progettazione specialistica” e “responsabile lavori di stabilimento” – doveva ritenersi inscritto anche lo svolgimento da parte del lavoratore, della attività relativa alla nomina di coordinatore per l’esecuzione dei lavori e, tra le mansioni proprie di tale inquadramento, il controllo del rispetto della normativa “in materia di sicurezza e tutela dell’ambiente”, oltre che dei “sistemi societari qualità e sicurezza salute e ambiente certificati”.
L’attività di esegesi degli atti di conferimento di incarico (in coordinamento con la lettura delle disposizioni contrattuali collettive di riferimento), è stata condotta con approccio coerente rispetto ai canoni di ermeneutica contrattuale volti alla ricerca della comune intenzione dei contraenti idonea a definire la ex contractus, che si sottrae, per quanto sinora detto, al sindacato in questa sede di legittimità.
3. Il secondo motivo prospetta nullità della sentenza per violazione dell’art.112, 191 c.p.c. in relazione alla omessa pronuncia sulla quantificazione del compenso per gli incarichi espletati in qualità di coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ed in subordine per la mancata ammissione della CTU in ordine alla quantificazione del credito.
4. Detta seconda censura è logicamente assorbita, perché successiva in ordine logico, dalla reiezione del primo motivo.
In definitiva, alla luce delle sinora esposte considerazioni, il ricorso è respinto.
La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 ricorrono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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