CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2022, n. 17173
Licenziamento – Confezionatore – Crisi aziendale e calo di fatturato – Riduzione del personale con qualifiche omogenee – Accertamento – Obiettivo di maggiore redditività dell’impresa – Esclusione
Rilevato che
1. Con sentenza n. 689 del 10.5.2019 la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia del Tribunale di Crotone, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo il 4.7.2014 a D. M. (e ad altri 3 dipendenti) dalla I.M.G. s.rl. per “esubero di maestranze nel suo settore di attività lavorativa (confezionatori) causa flessione di mercato e perdita fatturato e clienti”.
2. La Corte distrettuale, espletata una CTU per l’analisi dei libri contabili prodotti della società (e, in particolare, per la disamina dei dati relativi al fatturato, ai risultati di esercizio, alle scorte di magazzino, alle locazioni di beni immobili, al numero di clienti, nonché per l’analisi del macro aggregato costi totali della produzione), ha rilevato la effettiva sussistenza di una crisi aziendale e di un calo di fatturato, la effettiva riduzione di uno specifico reparto (i dipendenti con qualifica omogenea, ossia quella di confezionatore), ed il rispetto dei criteri di buona fede e correttezza per la scelta dei lavoratori da licenziare (avendo il ricorrente minore anzianità di servizio, i quali avevano anche maggiori carichi di famiglia); ha, infine, rilevato che le tre nuove assunzioni effettuate nell’anno 2015 si erano verificate a distanza di un anno dal licenziamento, si trattava di un contratto a tempo determinato, ed erano coincise con le dimissioni di una lavoratrice.
3. Il lavoratore ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a un motivo. La società ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, della legge n. 92 del 2012, dell’art. 5 della legge n. 604/1966 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto che il licenziamento fosse stato determinato dal fallimento dell’impresa, e non dall’intento di migliorarne la redditività, come si ricava dai dati contabili, profitto che non può essere perseguito unicamente attraverso la riduzione del costo del lavoro.
2. Il ricorso è inammissibile per carenza di specificità delle censure in quanto il dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata è formulato in termini generici, senza specifico riferimento alla sentenza della Corte territoriale, e tale, quindi, da non integrare una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione.
2.1. Invero, il riferimento alla causa giustificatrice del licenziamento, consistente – secondo la prospettazione del ricorrente – nella ricerca di redditività dell’impresa, non è supportato da nessuna censura della analitica perizia svolta in grado di appello e ampiamente trascritta nella sentenza impugnata, ove è stata ritenuta accertata la crisi aziendale dell’impresa e il calo di fatturato e di clienti, affrontate mediante la riduzione di personale con qualifiche omogenee in quanto tutti addetti alla mansione di confezionatore.
2.2. Né risulta pertinente il richiamo ai principi giurisprudenziali elaborati in materia di licenziamento determinato dall’obiettivo di una maggiore redditività dell’impresa, posto che – pur dovendosi rimarcare che il giudice del merito ha accertato la sussistenza di una crisi aziendale e non il mero perseguimento di un profitto – questa Corte ha affermato che ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa (Cass. n. 25201 del 2016; Cass. n. 10699 del 2017).
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
4. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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