CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 marzo 2018, n. 7430
Apposizione del termine ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato part time – Statuto ente e normativa contrattuale – Omessa trascrizione
Rilevato
che con sentenza in data 22.2.2012, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, ha rigettato la domanda proposta in primo grado da B.A. ed altri diciotto ricorrenti nei confronti dell’Istituto Regionale per i sordi di Sicilia, di condanna al risarcimento del danno per l’illegittima apposizione del termine ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato – part – time stipulati dalle parti nel periodo compreso tra il 2004 e il 2006;
che avverso tale sentenza B.A., S.B., A.L., S.S., M.S., C.A., P.L.M., L.B.F., M.R.M., V.C., E.D.P., F.A., G.I., C.M.C., V.M., I.D.P., M.A.C., A., A. e F.M., in qualità di eredi di V.M. hanno proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito l’Istituto regionale per i sordi di Sicilia con controricorso;
che il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del primo motivo, l’accoglimento del secondo e l’assorbimento o il rigetto del terzo; che i ricorrenti hanno depositato memoria;
Considerato che
1. con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione al d.lgs. n. 368 del 2001 e al d.lgs. n. 165 del 2001; i ricorrenti sostengono che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la natura pubblica dell’Istituto Regionale per i Sordi di Sicilia, in quanto tale assoggettato alla disciplina del d.lgs. n. 165 del 2001, evidenziando tra l’altro che la natura privatistica dell’ente risulterebbe dalla circostanza che erano stati assunti con l’inquadramento previsto dal CCNL per i dipendenti del settore istituzioni socio assistenziali (AGIDAIE), contratto a cui l’atto di assunzione faceva integralmente rinvio ai fini della disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro e che lo Statuto dell’Istituto in questione non prevede l’applicazione delle specifiche norme al cui rispetto sono normalmente tenuti gli enti pubblici;
1.1. il motivo è inammissibile, in quanto carente sotto il profilo dell’autosufficienza, di cui l’art. 366 c.p.c. costituisce il precipitato normativo. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, nel caso in cui sia denunciata l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti o nel caso di formulazione di una censura concernente il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, la parte ricorrente è onerata non soltanto della specifica indicazione del documento (eventualmente mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta: Corte Cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966; id. 1 sez. 13.11.2009 n. 24178;id. 3^ sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. 3 sez. 25.5.2007 n. 12239) ma anche della trascrizione del contenuto dell’ atto e del documento, in modo da rendere immediatamente apprezzabile da parte della Corte il vizio dedotto (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 12984 del 2006).
Nella specie, i ricorrenti hanno omesso di trascrivere sia il contenuto dello Statuto dell’ente che la normativa contrattuale di cui lamentano la erronea interpretazione ed applicazione, pertanto il primo motivo deve dichiararsi inammissibile;
2. con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione alla domanda di risarcimento del danno derivante da illegittima apposizione del termine di durata ai contratti conclusi dai ricorrenti con l’istituto regionale per i sordi di Sicilia; violazione ed errata applicazione dell’art. 1218 c.c., nonché violazione ed errata applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001. In particolare si sostiene la natura contrattuale della responsabilità da illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, con la prospettazione di un danno in “re ipsa”, con presunzione di colpa ex art. 1218 c.c., anche in assenza di specificazioni, da liquidarsi in via equitativa;
2.1. i ricorrenti, sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, affermano di essere stati assunti alle dipendenze dell’Istituto “con uno o più contratti di lavoro subordinato a tempo determinato” e deducono la illegittimità dell’apposizione dei termini, senza tuttavia precisare la circostanza, imprescindibile ai fini di consentire alla Corte la verifica della sussistenza della fattispecie dell’abuso, relativa alla conclusione, da parte di ciascuno di essi, di un unico contratto ovvero di più contratti a tempo determinato. Le conseguenze, sul piano dell’onere probatorio sono – infatti – diverse nell’uno e nell’altro caso, in quanto i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte sulla interpretazione adeguatrice dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 al diritto dell’Unione (Cass. S.U. n. 5072 del 2016) sono stati dettati sulla base della necessità di garantire efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE. Quest’ultima clausola concerne la prevenzione degli abusi derivanti dalla successione di contratti o di rapporti a termine e non può logicamente trovare applicazione nell’ipotesi in cui l’illegittimità riguardi l’apposizione del termine ad un unico contratto (Cfr. Cass. n. 4632, 5315, 5319, 5456 del 2017). In tal caso la disciplina non può che essere quella di diritto comune, con la conseguenza che il danno, non commisurabile – stante il divieto di conversione – alle retribuzioni perse, deve essere allegato e provato dal lavoratore (in termini Cass. 14666 del 13 giugno 2017).
Ne consegue che la genericità delle allegazioni dei ricorrenti in ordine alla sussistenza o meno per ciascuno di essi di una reiterazione di contratti a termine comporta la inammissibilità del motivo in esame;
3. con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 91 c.p.c.;
3.1. anche tale ultimo motivo è inammissibile, atteso che i lavoratori sono rimasti soccombenti in grado d’appello e, pertanto, non hanno interesse ad impugnare il capo di sentenza in materia di compensazione delle spese processuali disposta in relazione al primo e al secondo grado di giudizio;
4. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
5. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200, 00 per spese, oltre al 15%per spese generali ed accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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