CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 marzo 2018, n. 7501
Tributi – Accertamento – Termine di decadenza – Raddoppio dei termini – Validità
Rilevato che
Con sentenza in data 27 settembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 227/2/15 della Commissione tributaria provinciale di Lecco che aveva accolto il ricorso di B.C.C., quale erede di R.A., contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2006. La CTR osservava in particolare che l’atto impositivo impugnato era invalido in quanto emesso oltre il termine decadenziale ordinario previsto dall’art. 43, d.P.R. 600/1973, 57, d.P.R. 633/1972, essendo inapplicabile la disciplina del c.d. “raddoppio dei termini” stanti le previsioni normative sopravvenute degli artt. 2, d.lgs. 128/2015, 1, comma 130 ss., legge 208/2015; che comunque dovevano considerarsi altresì fondate le ulteriori eccezioni meritali riproposte dalla contribuente appellata, condividendo in ordine ad esse le valutazioni date nella sentenza appellata.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
Resiste con controricorso la contribuente, che successivamente ha depositato una memoria.
Considerato che
Con il primo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative, poiché la CTR ha affermato l’inapplicabilità, per effetto di jus superveniens (artt. 2, d.lgs. 128/2015, 1, comma 130 ss., legge 208/2015), della previgente disciplina del c.d. “raddoppio dei termini”.
La censura è fondata.
Va ribadito che:
–«In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11171 del 30/05/2016, Rv. 639877 – 01);
–«In tema di accertamento tributario, ai fini del raddoppio dei termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile “ratione temporis”, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poiché ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9322 del 11/04/2017, Rv. 643795- 01);
-«In tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dagli arti. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, per l’IRPEF, e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, per l’IVA, non integra un’ipotesi di proroga dei termini ordinari, trattandosi di fattispecie distinte disciplinate direttamente ed autonomamente dalla legge in relazione a presupposti diversi, costituiti dal riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale (per i primi) e dalla sussistenza di violazioni tributarie per le quali, invece, tale obbligo di denuncia non sussiste (per i secondi)» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10345 del 26/04/2017, Rv. 643961 – 01);
–«In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla l. n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – di cui all’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica né agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 né agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015» (Sez. 5 – , Sentenza n. 26037 del 16/12/2016, Rv. 641949 – 01).
Essendo pacifico che trattasi di un avviso di accertamento notificato prima del 2 settembre 2015, la sentenza impugnata contrasta univocamente con tutti i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, avendo affermato la necessità della comunicazione della notizia di reato afferente l’oggetto della lite entro i termini decadenziali ordinari anche per effetto del citato jus superveniens.
Non è peraltro fondato il rilievo di inammissibilità del mezzo in esame operato dalla controricorrente, posto che la censura coglie la ratio decidendi inerente il “raddoppio dei termini” nella sua interezza ossia con riguardo alla necessità della comunicazione della notizia di reato e con riguardo alla retroattività della disciplina di cui al d.lgs. 128/2015 e legge 208/2015.
Con il secondo mezzo —ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia di nullità la sentenza impugnata per vizio motivazionale totale (motivazione apparente; motivazione per relationem in autonoma).
La censura è fondata.
Va ribadito che:
–«La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 -01); riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
–«Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22022 del 21/09/2017, Rv. 645333 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente” ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.
La CTR infatti si è limitata a così argomentare sulle questioni mentali oggetto della lite, quali devolute in appello: «Relativamente poi alle plurime rationes decidendi conseguenti a questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza impugnata e specificamente riproposte in sede di appello .. il Collegio, nell’ambito della propria autonomia motivazionale, fa riferimento alla valutazione degli elementi di prova già posti a fondamento dell’impugnata sentenza, come previsto dall’art. 118, primo comma, disp. att. cod. proc. civ., concordando con i giudici di prime cure ..; relativamente infine alle specifiche censure contro le motivazioni dell’impug-nata sentenza, mosse dall’appellante, per le motivazioni infra esposte —ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, restando assorbita da quanto prefato o superata per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto e considerato dal Collegio- il ricorso in appello deve essere rigettato, con la conferma dell’impug-nata sentenza e della illegittimità dell’accertamento in frontespizio».
Tali affermazioni sono all’evidenza apodittiche, assertive, al più rappresentative del convincimento del giudice tributario di appello, ma che non estrinsecano il percorso argomentativo che lo induce a tale convincimento, che perciò nel loro —limitato- ordito realizzano un tipico esempio di “motivazione apparente”, così come denunciato nella censura de qua.
Difetta comunque totalmente ogni autonoma valutazione delle questioni oggetto del giudizio di appello, tenendosi peraltro presente che la pronuncia della CTR sul punto conferma valutazioni/statuizioni della sentenza appellata che devono affermarsi meri obiter dieta, essendosi la CTP pronunciata in via pregiudiziale sull’invalidità dell’avviso di accertamento impugnato perché emesso oltre il termine decadenziale ordinario ed essendo questa la ratio decidendi che basava la sentenza appellata medesima.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ad entrambi i motivi proposti, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 01 marzo 2022, n. 6626 - In tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata per relationem alla…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 aprile 2022, n. 13187 - Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata "per relationem" alla sentenza di primo grado qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 2763 depositata il 30 gennaio 2023 - Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado quando la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7333 - E' nulla la sentenza di appello motivata "per relationem" alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 6375 depositata il 3 marzo 2023 - La motivazione per relationem è ammissibile purché il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 6403 depositata il 3 marzo 2023 - La motivazione per relationem è ammissibile purché il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…
- Nel giudizio civile con il gratuito patrocinio la
La Corte costituzionale con la sentenza n. 64 depositata il 19 aprile 2024, inte…
- Il titolare del trattamento dei dati personali é r
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-741/2021 depositat…