CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 marzo 2019, n. 8409
Agevolazioni fiscali – Acquisto della prima casa – Immobili di lusso – Revoca dei benefici fiscali
Fatto e diritto
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1-bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016, osserva quanto segue:
Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Toscana ha rigettato l’appello proposto da M.V. avverso la sentenza della CTP di Pistoia, che aveva a sua volta rigettato il ricorso avverso l’avviso di liquidazione ed irrogazione delle sanzioni emesso a seguito di revoca dei benefici fiscali (aliquota IVA al 4 per cento per l’unità immobiliare ed aliquota al 15 per cento per i terreni agricoli adiacenti) connessi all’acquisto della prima casa, effettuato dal contribuente con atto di compravendita del 10/07/2013, in quanto qualificata come abitazione di lusso, confermando le sanzioni amministrative pecuniarie inflitte. La predetta CTR, ritenuti applicabili i parametri di individuazione degli immobili di lusso di cui al d.m. del 2 agosto 1969, stante l’irretroattività del d.lgs. n. 23 del 2011 e del d.lgs. n. 175 del 2014, ha sostenuto che nella specie l’immobile superava i 200 metriquadrati, dovendosi computare nella superficie “utile”, individuata in quella lorda ed in quella che risulti destinata ai bisogni ordinari dell’abitazione, anche la lavanderia in quanto vano utile alle esigenze familiari. Rilevava quindi la formazione del giudicato interno quanto all’avviso di liquidazione di una maggiore aliquota IVA con riguardo al trasferimento dei terreni della superficie di oltre sei volte l’area coperta.
Avverso tale sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
Con il primo mezzo di cassazione il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 d.lgs. n. 472 del 1997, 49 CDFUE e 7 CEDU, censurando la statuizione impugnata per avere escluso la retroattività (alle compravendite stipulate anteriormente al 1° gennaio 2014) della nuova disciplina in materia di individuazione degli immobili di lusso, di cui al combinato disposto dei decreti legislativi n. 23 del 2011 e n. 175 del 2014, anche con riferimento alle sanzioni.
Il motivo è fondato.
La CTR ha ritenuto inapplicabili all’acquisto immobiliare con aliquota IVA agevolata le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 175 del 2014, anche con riferimento alle sanzioni, il cui rilievo officioso, in qualsiasi stato e grado del giudizio (Cass. n. 11621 del 2017, par. 6.3) esclude la sussistenza dei profili di inammissibilità dedotti nel controricorso.
In tal modo però i giudici di appello hanno contravvenuto al principio giurisprudenziale già affermato da Cass. n. 11621/2017 cit. e quindi ribadito da Cass. Sez. 5, sentenza n. 14964 del 08/06/2018 (Rv. 649367) nonché da Cass., Sez. 5, sentenza n. 2010 del 2018 (non massimata), che, ancorché in tema d’imposta di registro per l’acquisto della prima casa, ha affermato che «l’art. 10, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 23 del 2011, che, nel sostituire l’art. 1, comma 2, della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, ha identificato gli immobili non di lusso, cui applicare l’imposta agevolata, in base al classamento catastale e non più alla stregua dei parametri di cui al d.m. 2 agosto 1969, pur non potendo trovare applicazione, quanto alla debenza del tributo, agli atti negoziali anteriori alla data della sua entrata in vigore (7 aprile 2011), può tuttavia spiegare effetti ai fini sanzionatori, in applicazione del principio del “favor rei”, posto che, proprio in ragione della più favorevole disposizione sopravvenuta, la condotta mendace, che prima integrava una violazione fiscale, non costituisce più il presupposto per l’irrogazione della sanzione».
Principio, questo, senz’altro applicabile al caso, come quello di specie, di fruizione da parte dell’acquirente di immobile a titolo oneroso dell’aliquota IVA agevolata per effetto del disposto di cui all’art. 33 d.lgs. n. 175 del 2014, rubricato “Allineamento definizione prima casa Iva — registro”, che, modificando il n. 21 della Tabella A, Parte II, allegata al decreto del d.P.R. n. 633 del 1972, ha appunto provveduto all’allineamento della disciplina agevolata sulla prima casa in materia di IVA a quella dell’imposta di registro, con riferimento ad atti negoziali anteriori alla data di entrata in vigore della disposizione anzidetta, avendo l’innovazione legislativa efficacia a decorrere dal 1 gennaio 2014, ex art. 10, comma 5, d.lgs. n.23 del 2011 (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13235 del 27/06/2016, Rv. 640156).
Da quanto detto consegue che, in accoglimento del motivo di ricorso in esame, la sentenza va in parte qua cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, l’avviso impugnato (di liquidazione della maggiore aliquota IVA per l’acquisto dell’unità abitativa), va annullato limitatamente all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie con esso inflitte al contribuente.
Con il secondo e terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 del d.m. 2 agosto 1969 sostenendo che la CTR aveva errato nella individuazione della superficie c.d. “utile”, avendola individuata in quella lorda ed avendo considerato anche il vano lavanderia, che le norme tecniche di attuazione (NTA) del regolamento urbanistico, approvato dal Comune di Serravalle Pistoiese con delibera n. 48 del 10/11/2005, include tra i vani c.d. accessori dell’unità immobiliare (secondo motivo) e nel ritenere utilizzabile per la normale vita domestica il vano lavanderia, la cui superficie andava scomputato dal calcolo di quella utile in quanto facente oggettivamente parte della cantina (terzo motivo).
Con tale ultimo motivo deduce altresì la violazione dell’art. 2697 cod. civ. sostenendo che la prova dell’utilizzabilità in concreto del predetto vano andava fornita dall’amministrazione finanziaria.
I motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro.
Deve premettersi che la fattispecie ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 5 del citato decreto ministeriale, secondo cui si considerano di lusso «Le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed eventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta».
Ciò precisato, deve ricordarsi che questa Corte, decidendo analoghe controversie, ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, “in tema di imposta di registro, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi dell’art. 1, parte prima, nota D bis della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, occorre fare riferimento alla nozione di «superficie utile complessiva» di cui all’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, in forza del quale è irrilevante il requisito della «abitabilità» dell’immobile, siccome da esso non richiamato, essendo invece rilevante quello della «utilizzabilità» degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità” (Cass. n. 14964 del 2018, che richiama Cass. n. 1173/2016; n. 861/2014; n. 25674/2013; n. 22279/2011).
Quanto alla questione posta con il secondo motivo, ovvero se la superficie “utile” sia quella lorda o quella netta, questa Corte ha affermato che le disposizioni di cui agli artt. 5 e 6 del d.m. 2 agosto 1969, che qualificano abitazioni di lusso – escluse dal beneficio fiscale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa 1, art. 1, nota 2 bis -, le unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore rispettivamente a mq. 200 (con area pertinenziale scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta, come nel caso in esame) e mq. 240, con esclusione dei balconi, delle terrazze, delle cantine, delle soffitte, delle scale e del posto macchine, vanno interpretate «nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo, i predetti ambienti e non l’intera superficie non calpestabile, (Cass. n. 21287 del 2013; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22853 del 2018). Principio, questo, ribadito in caso del tutto analogo da Cass. n. 24469 del 2015, secondo cui «La sentenza gravata — ritenendo che, ai fini del riconoscimento del beneficio fiscale previsto per l’acquisto della c.d. “prima casa”, il calcolo della superficie dell’abitazione vada effettuato alla stregua del disposto dell’articolo 3 del Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici n. 801 del 10 maggio 1977 (“Determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici”), che definisce la superficie abitabile come “la superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e di balconi” — si pone infatti in contrasto con l’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 861/2014, alla quale si ritiene dover dare conferma e seguito, secondo cui “In tema di imposta di registro, ipotecarie O catastali, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della tariffa 1, art. 1, nota II bis, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la sua superficie utile – complessivamente superiore a mq. 240 – va calcolata alla stregua del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, che va determinata in quella che – dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta – residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina, non potendo, invece, applicarsi i criteri di cui al d.m. Lavori Pubblici 10 maggio 1977, n. 801, richiamato dall’art. 51 della legge 2 febbraio 1985, n. 47, le cui previsioni, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di un’interpretazione che ne ampli la sfera applicativa”»;
Pare superfluo ribadire quanto sopra detto ovvero che il principio, affermato in materia di imposte di registro, è applicabile anche con riferimento all’IVA agevolata di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 175 del 2014.
Tale ultima pronuncia rende altresì evidente che le disposizioni dettate dall’ente comunale con le norme tecniche di attuazione, che ricomprendono le lavanderie tra le superfici c.d. accessorie dell’immobile, hanno valore ad altri fini ma non per il calcolo delle superfici ai fini dell’individuazione dell’immobile come di lusso, previsto da specifiche disposizioni di legge non derogabile dal predetto regolamento, e che, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, incombeva su di esso la prova della sussistenza dei requisiti per poter godere dell’agevolazione richiesta. Deve infatti ricordarsi che «In tema di IVA, il calcolo della superficie utile di un immobile, al fine di stabilire se esso debba essere considerato “di lusso” e, quindi, escluso dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della Tabella A Parte II, n. 21, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo in vigore “ratione temporis”, anteriormente alle modifiche di cui al d.lgs. n. 175 del 2014, va compiuto ai sensi dell’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici n. 1072 del 1969, a prescindere dalla conformità dei relativi ambienti alle prescrizioni contenute nel regolamento edilizio comunale sotto il profilo dell’altezza minima, rilevando unicamente la loro marcata potenzialità abitativa al momento dell’acquisto, in coerenza con l’apprezzamento del mercato immobiliare, e spettando al contribuente, a fronte dell’irrilevanza del mero dato catastale, l’onere di provare, mediante idonea documentazione tecnica, l’inutilizzabilità a scopo abitativo dei vani in questione» (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11556 del 06/06/2016, Rv. 640049).
Spettava quindi al contribuente fornire la prova non solo che il vano lavanderia dell’immobile per cui è causa facesse oggettivamente parte della cantina, ma anche che la sua inutilizzabilità a scopo abitativo, che invece la CTR ha chiaramente escluso con l’affermazione, non adeguatamente censurata dal ricorrente, che detta lavanderia «è vano “utile” alle esigenze familiari».
Orbene, dal complesso delle argomentazioni svolte consegue l’infondatezza del secondo e terzo motivo di ricorso, che vanno rigettati. L’esito del giudizio giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali, anche dei gradi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente annullando l’avviso impugnato limitatamente all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie applicate al contribuente. Compensa le spese processuali.
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