CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2018, n. 30581
Rapporto di lavoro – Contratto a termine – Nullità – Conversione in contratto a tempo indeterminato – Risarcimento danni
Rilevato
che, con sentenza del 30 maggio 2016, la Corte di appello di Lecce confermava la decisione del primo giudice che, in accoglimento della domanda proposta da S.A. nei confronti del M.P. di S. s.p.a. ( d’ora in avanti M.P.S.) e della I.I. s.r.I., aveva “dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro a termine ..(per il periodo dal 7 maggio al 9 novembre … poi prorogato sino al 31 dicembre 2001) con la società I.I., società di somministrazione di lavoro interinale, in favore della società utilizzatrice M.P.S. …. dichiarato la conversione del contratto di lavoro …. in contratto di lavoro a tempo indeterminato …. ordinato alla MPS la reintegrazione del ricorrente… nonchè condannato la Banca al risarcimento dei danni ..”quantificati in cinque mensilità;
che, ad avviso della Corte territoriale, correttamente il primo giudice aveva fondato la pronuncia di nullità del termine apposto al contratto sulla ritenuta violazione dell’art. 25 del CCNL di settore – secondo cui il numero complessivo dei contratti di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo non poteva superare il 5% del numero complessivo di contratti a tempo determinato in essere presso l’azienda utilizzatrice al 31 dicembre precedente l’anno di assunzione – in quanto l’onere della prova del rispetto del predetto limite percentuale, la cd. “clausola di contingentamento”, incombeva sul datore di lavoro e, nel caso in esame, tale prova non era stata fornita dalla banca;
che, per la cassazione di tale decisione propone ricorso M.P.S. affidato a tre motivi cui resiste con controricorso l’A., mentre la I.I. s.r.l. è rimasta intimata;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui: la ricorrente dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’accoglimento del ricorso; il controricorrente ribadisce la richiesta di rigetto del ricorso;
Considerato
che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. anche in relazione agli artt. 1-10 della legge 24 giugno 19197 n. 196 non avendo la Corte territoriale correttamente ripartito l’onere della prova circa il rispetto della “clausola di contingentamento”; con il secondo motivo ed il terzo motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (secondo motivo) nonché violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (terzo mezzo) in quanto il giudice del gravame non aveva tenuto conto del fatto che, sulla scorta dei dati indicati nella consulenza tecnica d’ufficio e relativi al numero dei rapporti somministrati e delle proroghe, emergeva l’osservanza del limite percentuale del 5% da parte della banca;
che il primo motivo è infondato alla luce del principio affermato da questa Corte secondo cui l’onere della prova dell’osservanza della percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto ai dipendenti impiegati dall’azienda con contratto di lavoro a tempo indeterminato (cfr., in particolare, Cass. 19 gennaio 2010 n. 839 e, più di recente, Cass. 19 gennaio 2013 n. 701) è a carico del datore di lavoro, in base alla regola esplicitata dalla L. n. 230 del 1962, art. 3 secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, principio questo estensibile anche al caso in esame – in cui il ricorso al lavoro interinale era consentito nei limiti indicati dall’art. 25 del CCNL di settore – in vista della finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della “disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa (Cass. n. 9867 del 19/04/2017; Cass. SU . n. 141 del 10/01/2006 , per tutte);
che il secondo motivo è inammissibile in quanto non presenta alcuno dei requisiti di richiesti dall’art. 360, primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo con il lamentare non l’omesso esame di un fatto, bensì di una interpretazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio contenuta in note conclusionali; peraltro, l’impugnata sentenza ha evidenziato come neppure il consulente tecnico nominato fosse stato in grado di affermare, sulla scorta della documentazione acquisita agli atti, che la banca avesse rispettato il predetto limite percentuale del 5% fissato dalla contrattazione collettiva, sicchè questa situazione di incertezza non poteva che ridondare a carico della parte su cui incombeva l’onere della prova dell’osservanza della “clausola di contingenta mento”;
che il terzo motivo è infondato alla luce di quanto già esposto con riferimento al secondo motivo non potendosi porre una questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc. civ., prospettabile solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito:
– abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge;
– abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici;
– abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass. n. 27000 del 27/12/2016);
peraltro la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 24434 del 30/11/2016. n. 14267 del 20/06/2006 (Rv. 589557 – 01));
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo in favore dell’Amante, nulla per le spese nei confronti della I.I. s.r.l. rimasta intimata;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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