CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2020, n. 26974
Tributi – Accertamento – Scostamento studi di settore – Gestione imprenditoriale illogica e antieconomica – Onere di contraddittorio preventivo – Esclusione – Perdita periodo precedente – Indeducibilità – Presunzione di evasione – Legittimità
Rilevato che
Nella controversia originata dall’impugnazione da parte della G.M.S.I. s.r.l., in liquidazione, dell’avviso di accertamento con il quale, ai fini IRES, IRAP e IVA dell’annualità 2007, era stata rettificata, con il metodo induttivo ex art. 39 d.P.R. n.600/73, la dichiarazione presentata dalla Società essendosi constatato che il costo del venduto era superiore ai ricavi, la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della decisione di primo grado, annullava l’atto impositivo impugnato relativamente all’IRES e all’IRAP, confermandolo per il resto;
in particolare, la C.T.R., confermato il rilievo attinente al mancato versamento dell’IVA, per le altre imposte riteneva che l’accertamento fosse illegittimo, in quanto l’Ufficio aveva collegato i ricavi omessi prendendo in considerazione quelli di riferimento dello studio di settore, senza alcun contraddittorio con la contribuente, e senza detrarre la perdita di esercizio dell’anno precedente.
Per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, mentre la contribuente non ha svolto attività difensiva.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso – rubricato – violazione e/o falsa applicazione di legge: art.39 del d.P.R. n. 600/1973; artt. 62 bis e 62 sexies, comma 3, del d.l. 30 agosto 1993 n.331 (in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.)- si deduce la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la C.T.R. nel ritenere che nel caso, quale quello in esame, di accertamento induttivo fondato, non soltanto sulle mere risultanze dello studio di settore, ma su una gestione imprenditoriale illogica e antieconomica, fosse necessario instaurare un preventivo contraddittorio con il contribuente.
1.1 La censura è fondata. Come da autorevole insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez.U. n.24823 del 9/12/2015, costantemente seguita anche di recente) <<In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito>>.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura il capo di sentenza con il quale la C.T.R. ha ritenuto l’illegittimità dell’atto impositivo impugnato perché l’Ufficio non aveva detratto la perdita dell’esercizio precedente e si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma num. 4, cod.proc.civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. n.546/1992. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, tale circostanza, posta dalla C.T.R. a base della decisione, era stata introdotta inammissibilmente dalla contribuente per la prima volta solo con l’atto di appello.
2.1. La censura è infondata. Costituisce, invero, principio consolidato (v., tra le altre, Cass.n.22105 del 22/09/2017; id. n. 11223 del 31/05/2016) quello per cui <<nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili>>.
2.2. Nel caso in esame, la contribuente, sin dal ricorso introduttivo aveva individuato la causa petendi della sua opposizione nella legittimità dell’accertamento induttivo fondato sull’antieconomicità a fronte di contabilità apparentemente regolare, ed aveva espressamente dedotto, quali fatti impeditivi delle pretesa tributaria, la “crisi”, la “flessione strutturale dell’azienda riscontrabile anche a livello contabile”, la “perdita dichiarata”. Deve, pertanto, escludersi trattarsi di eccezione nuova.
3. Con il terzo motivo si censura il capo di sentenza con il quale la C.T.R. ha ritenuto l’illegittimità dell’atto impositivo impugnato perché l’Ufficio non aveva detratto la perdita d’esercizio dell’anno precedente. Secondo la prospettazione difensiva con tale argomentazione la C.T.R. avrebbe violato gli artt.115 e 116 cod.proc.civ. nonché l’art.39 del d.P.R. n.600/73 e gli artt.2727, 2729 e 2697 cod.civ. giacché l’antieconomicità della gestione in perdita, per costante giurisprudenza, dà corpo ad una presunzione relativa di evasione e l’onere di dimostrare l’effettività della perdita era a carico della contribuente, mentre la C.T.R. avrebbe deciso su mere allegazioni della parte prive di riscontro probatorio.
3.1. La censura è fondata. Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 14941 del 14/06/2013 ribadita, di recente, da Cass. n. 25257 del 25/10/2017) quello per cui <<nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità>>.
3.2 Nel caso in esame, l’Ufficio aveva posto a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato non solo lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli risultanti dallo studio di settore ma altresì, l’antieconomicità della gestione imprenditoriale palesata da ricavi di gran lunga inferiori ai costi e dal ripetersi, nelle dichiarazioni presentate dal 2003 al 2009, di costanti e rilevanti perdite di esercizio, indicative di un andamento commerciale costantemente negativo nel corso degli anni.
A fronte di tale quadro presuntivo, legittimamente fondante l’atto impositivo, la Società, sulla quale gravava il corrispondente onere, non ha fornito alcuna prova di segno contrario.
4. L’accoglimento del terzo motivo assorbe l’esame del quarto, formulato in subordine.
5. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ^ ricorso, rigettato il secondo e assorbito il quarto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Giudice di merito affinché provveda al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regoli le spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
Accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo, assorbito il quarto.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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