CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2021, n. 36846
Tributi – Accertamento – Accesso breve presso i locali dell’attività – Emissione avviso di accertamento – Termine dilatorio ex art. 12, co. 7, legge n. 212 del 2000 – Decorrenza dal Pvc della Guardia di Finanza – Illegittimità – Mancato rispetto – Nullità
Fatti di causa
1. A seguito di verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza, e conclusa con Processo Verbale di Costatazione (PVC), regolarmente notificato ad E. B. il 15.6.2007, l’Agenzia delle Entrate iniziava i propri accertamenti. La GdF aveva rilevato l’annotazione da parte del contribuente, nell’anno 2003, di “costi dedotti e/o detratti in dichiarazione per i quali non era esibita alcuna documentazione … sia nell’ambito dell’attività d’impresa, sia per quel che concerne l’attività professionale” (controric., p. 2) di geometra. Il contribuente faceva pervenire documentazione (11.2.2008).
L’Agenzia delle Entrate, previo esame delle osservazioni del contribuente e della documentazione da questi prodotta, effettuava quindi un accesso “mirato” presso il contribuente, il 6.2.2008, dichiarando la finalità di raccogliere documentazione, ma anche per acquisire informazioni sui beni strumentali posseduti dal contribuente.
L’Amministrazione finanziaria emetteva quindi l’avviso di accertamento per cui è causa, n. 88801R200095/2008, notificato il 18.3.2008, relativo ad Iva, Irpef ed Irap, per l’anno 2003. Nell’atto impositivo, che prevedeva anche l’applicazione di sanzioni, merita di essere evidenziato che era riportata anche la richiesta di pagamento dell’Irap.
2. Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva opposizione, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Matera, lamentando la nullità dell’atto impositivo in conseguenza dell’omessa applicazione del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000, a seguito dell’accesso effettuato dall’Agenzia delle Entrate presso il suo studio. Censurava anche la pretesa fiscale ai fini Irap, affermando di essere privo di autonoma organizzazione dell’attività professionale. La CTP riteneva effettivamente integrata la violazione del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, ed osservava pure che l’Agenzia delle Entrate “non giustifica, come prescritto, le ragioni di detto anticipo d’urgenza”.
In conseguenza, il giudice di primo grado annullava l’avviso di accertamento.
3. Avverso la decisione assunta dalla CTP spiegava appello l’Amministrazione finanziaria, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata. La CTR riteneva che, essendo stato notificato al contribuente il PVC redatto dalla Guardia di Finanza, nove mesi prima dell’invio dell’avviso di accertamento, non risultasse violato il ricordato termine dilatorio. Non reputava, inoltre, di dover esaminare le ulteriori contestazioni introdotte in primo grado dal contribuente, perché non riproposte in grado di impugnazione. Ribaltava pertanto la decisione dei primi giudici, ed affermava la piena validità ed efficacia dell’avviso di accertamento in contestazione.
4. Avverso la decisione assunta dalla CTR ha proposto ricorso per cassazione E. B., affidandosi a tre motivi di impugnazione.
Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., il ricorrente contesta la nullità della sentenza adottata dalla CTR, in conseguenza dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella violazione del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, con decorrenza dall’accesso dell’Amministrazione finanziaria presso lo studio del contribuente, avvenuto il 6.2.2008.
2. Mediante il secondo strumento di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente critica la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, per avere l’impugnato giudice dell’appello ritenuto che non sussistesse la violazione del termine dilatorio ivi previsto, facendolo erroneamente decorrere dalla data di notifica del PVC redatto dalla Guardia di Finanza, che avrebbe assicurato fondamento all’atto impositivo, e trascurando l’accesso mirato effettuato dall’Amministrazione finanziaria presso lo studio del contribuente il 6.2.2008, concluso con la consegna di doc. n. 5101/2008, e senza che l’Ente impositore abbia neppure prospettato, nell’accertamento come in giudizio, la ricorrenza di ragioni d’urgenza.
3. Con il terzo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., il ricorrente contesta la nullità della sentenza adottata dalla CTR, in conseguenza dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nel non avere il giudice dell’appello esaminato le ulteriori contestazioni di merito proposte dal ricorrente, affermando erroneamente che le stesse non fossero state riproposte nel grado d’impugnazione.
4. Con i suoi primi due motivi di ricorso, il contribuente lamenta, in relazione ai profili della nullità della sentenza, della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’omessa pronuncia della CTR circa l’esatta questione sottoposta al suo esame, attinente alla decorrenza del termine dilatorio per la notificazione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000. In sostanza, sostiene il ricorrente, il termine non doveva essere fatto decorrere dalla notifica del PVC da parte della Guardia di Finanza, bensì dall’ultimo accesso effettuato dall’Amministrazione finanziaria presso il contribuente, tanto più che l’avviso di accertamento è frutto (anche) di verifiche successive alla notifica del PVC.
La norma invocata detta: “7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Nel caso di specie, la verifica effettuata nei confronti del contribuente dalla Guardia di Finanza si è conclusa con la notifica del PVC il 15.6.2007.
Quindi, a seguito di ulteriori confronti tra l’Ente impositore ed il contribuente, l’Amministrazione finanziaria ha proceduto, in data 6.2.2018, ad un accesso c.d. “breve” presso lo studio del professionista, (anche) per acquisire documentazione. Pochi giorni dopo il contribuente ha prodotto memoria ed ulteriore documentazione. Solo successivamente l’Ente impositore ha notificato l’avviso di accertamento per cui è causa, il 18.3.2008. Pertanto, se la decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni deve calcolarsi dalla notifica del PVC, la notificazione dell’avviso di accertamento risulta ampiamente tempestiva, mentre se il dies a quo è quello dell’accesso presso lo studio del professionista, il termine dilatorio non è stato rispettato.
4.1. Il Processo Verbale di Costatazione redatto dalla Guardia di Finanza, invero, non ha definito l’attività di accertamento, con eventuale completamento a tavolino mediante riscontri interni (cfr. Cass., sez. VIV, 30.10.2018, n. 27732), ma ha semplicemente segnato un passaggio della procedura, che è successivamente proseguita attraverso il confronto con il contribuente, l’acquisizione di documenti e l’accesso presso lo studio del professionista per acquisire ulteriori dati e documenti, che ha permesso all’Ente impositore anche di acquisire dati sui beni strumentali di cui il contribuente disponeva, elementi evidentemente essenziali nell’ambito di un accertamento tributario in cui è stato contestato anche l’omesso pagamento dell’Irap.
In proposito questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di chiarire che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, ove siano eseguiti più accessi nei locali dell’impresa per reperire documentazione strumentale all’accertamento, il termine di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, decorre dall’ultimo accesso, in quanto postula il completamento della verifica e la completezza degli elementi dalla stessa risultanti, essendo posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio, in modo da attribuire al contribuente un lasso di tempo sufficiente a garantirgli la piena partecipazione al procedimento e ad esprimere le proprie valutazioni, Cass. Sez. VI-V, 14.9.2016, n. 18110. Di recente si è poi ribadito che “il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo“, Cass. Sez. V, 23.1.2020, n. 1497 (cfr., anche Cass. Sez. VI-V, 25.5.2021, n. 14315).
4.2. Completezza suggerisce quindi di ricordare pure che l’Amministrazione finanziaria non ha neanche allegato, nell’atto impositivo ma neppure nel corso del giudizio, che sussistessero ragioni di particolare urgenza le quali giustificassero la notifica dell’avviso di accertamento prima del decorso del termine di sessanta giorni dall’ultimo accesso, previsto dalla legge, sebbene competesse proprio all’Ente impositore provare il ricorrere della circostanza (cfr. Cass. SS.UU., 29.7.2013, n. 18184).
5. I primi due motivi di ricorso proposti da B.E. appaiono quindi fondati, e devono essere accolti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte di legittimità può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., cassando senza rinvio l’impugnata decisione della CTR della Basilicata, e dichiarando l’annullamento dell’avviso di accertamento.
5.1. In conseguenza il terzo motivo di ricorso rimane assorbito.
6. Le spese di lite dei gradi di merito, tenuto anche conto delle vicende del giudizio, appare equo che siano dichiarate interamente compensate tra le parti. Le spese del giudizio di legittimità seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, e non è pertanto dovuto il versamento del c.d. doppio contributo.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi del ricorso proposto da E.B., assorbito il terzo, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, annulla l’originario avviso di accertamento.
Compensa le spese di lite dei gradi di merito. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del ricorrente, e le liquida in complessivi Euro 1.800,00, oltre 15% per le spese generali ed Euro 200,00 per esborsi, nonché accessori di legge.
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