CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2021, n. 37018
Tributi – Imposta di successione – Dichiarazione integrativa – Rilevazione di passività provenienti da successione ancora aperta in favore del de cuius – Legittimità
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato a P. S. in qualità di erede universale di L. D.P. (deceduta il 9 febbraio 2012); avviso con il quale l’ufficio aveva rettificato l’imponibile mediante inserimento di alcune attività ereditarie non indicate dal P. nelle precedenti dichiarazioni (di natura integrativa, di cui l’ultima presentata il 24.4.15).
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:
– fondatamente il P. aveva lamentato che l’Agenzia delle Entrate avesse rettificato le dichiarazioni integrative della successione della D.P. unicamente con riguardo alle attività, non anche alle passività;
– rilevavano, quanto a queste ultime, le passività (riportate nelle varie dichiarazioni integrative) rinvenienti alla D.P. dalla precedente successione di A.O.N.F. (deceduto il 7 aprile 2007), di cui ella era consorte nonché erede al 50%;
– legittimamente il P. aveva dedotto in appello il mancato computo delle passività derivanti alla successione D.P. dalla successione F., essendo sempre salva la possibilità per il contribuente di produrre nuovi documenti e dichiarazioni correttive, fermo restando che se l’integrazione avveniva successivamente alla notifica dell’avviso di liquidazione, restava a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta (come da giurisprudenza di legittimità sul punto).
Resiste con controricorso il P..
2.1 Con l’unico motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, co. 1^ n.3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt.7, 20, 21, 28 co. 6^ e 34 d.lgs.346/90, nonché 2697 cod.civ.. Per avere la Commissione Tributaria Regionale, da un lato, esattamente affermato che le dichiarazioni integrative presentate dal contribuente dopo la notificazione dell’avviso di liquidazione (nella specie il P. aveva presentato, in pendenza dell’appello, ulteriore dichiarazione integrativa di passività 6 dicembre 2016) ponevano a carico di questi l’onere di provare la fondatezza delle integrazioni proposte, ma erroneamente sostenuto, dall’altro, che l’ufficio non aveva mosso alcun specifico rilievo in ordine all’effettiva esistenza delle passività proprie della successione F., e nemmeno in ordine alla imputabilità di queste passività alla successione D.P. di cui in causa.
2.2 Il motivo è infondato.
Con l’affermazione (sent.pag.2) secondo cui l’ufficio non aveva “mosso alcuno specifico rilievo in ordine all’esistenza e deducibilità delle passività rinvenienti dalla successione del F., passività riportate nelle dichiarazioni integrative richiamate dall’appellante e prodotte in atti”, la Commissione Tributaria Regionale ha correttamente attuato, nella peculiarità del caso, l’indirizzo interpretativo di legittimità volto ad affermare il diritto del contribuente, ex art. 53 Cost., a non essere assoggettato ad un prelievo fiscale maggiore di quello voluto dal legislatore.
Si è in proposito affermato (Cass.n. 2366/13) che: “la dichiarazione di successione, siccome dichiarazione di “scientia”, se affetta da errore (anche non meramente materiale o di calcolo) è emendabile e ritrattabile, anche dopo la notificazione dell’avviso di rettifica e di liquidazione, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico; infatti, alla luce dei principi costituzionali di capacità contributiva e di buona amministrazione, la predetta notifica opera come mero “discrimen” ai fini dell’onere probatorio, ma non permette che il sistema legale impedisca al contribuente di dimostrare l’insistenza dei fatti giustificativi del prelievo fiscale“.
Si è inoltre stabilito, a specificazione ulteriore del principio, che (Cass.n. 11192/13; 20852/07 ed altre): “in tema di imposta di successione, il contribuente può procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere, contenuti nella dichiarazione, anche dopo la scadenza del termine per la presentazione, di cui all’art. 31 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e s., e con effetti diversi, a seconda che la modifica abbia luogo prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta, ovvero successivamente alla stessa: nel primo caso, infatti, l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a carico dell’Amministrazione, mentre, nella seconda ipotesi, pur non potendo considerarsi precluso l’esercizio della facoltà di correzione, quest’ultima, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta. Ne consegue che l’ufficio deve prendere in considerazione la rettifica della dichiarazione, ai fini della liquidazione della predetta imposta, anche quando quest’ultima sia già stata liquidata in base alla dichiarazione originaria, altrimenti spettando tale valutazione al giudice tributario.“
La su riportata affermazione della Commissione Tributaria Regionale va evidentemente posta nel contesto processuale in cui è stata resa, e che è possibile ricostruire sulla base di quanto riferito e riportato nel ricorso per cassazione, per autosufficienza, dalla stessa Agenzia delle Entrate (ric.pagg.5 segg.).
Ciò nel senso che il P. aveva dedotto in giudizio (atto introduttivo e di appello) quanto segue:
– al momento dell’apertura della successione D.P., “non era stata ancora completata la dichiarazione di successione del signor F. A. che lasciava agli eredi, tra cui la signora D.P. (erede al 50%), oltre ad una serie di poste attive, anche una serie di debiti-passività di varia natura (…)”;
– le passività della successione F. erano già state rappresentate all’agenzia delle entrate con apposite dichiarazioni integrative che erano state elencate fin dal ricorso introduttivo del presente giudizio, ed in questo prodotte;
– queste dichiarazioni integrative erano anzi “già state lavorate e riconosciute dall’ufficio, nella fase di liquidazione dell’imposta per la successione F. e costituiscono a tutti gli effetti parte integrante dell’asse ereditario della de cuius D.P. Lia”;
– ad ulteriore riprova del riconoscimento della effettiva sussistenza delle passività F. da parte dell’agenzia delle entrate, rilevava anche il riconoscimento di dette poste passive ad opera della “comunicazione inviata dall’ufficio agli eredi, di cui si fornisce copia in allegato (all.13)”.
Per stessa ammissione della ricorrente Agenzia delle Entrate, a fronte della convergenza ed univocità di questi elementi probatori forniti dal P., la contestazione dell’Ufficio era stata del seguente tenore (controdeduzioni in appello, anch’esse riportate in ricorso): “essendo alcune dichiarazioni di successione del de cuius F. precedenti alla presentazione delle dichiarazioni di successione integrative relative alla de cuius D.P.L., singolare appare la circostanza che in queste ultime non vi siano state riportate le passività, che secondo la controparte costituiscono parte integrante dell’asse ereditario della D.P.”.
L’incombente di cui si lamentava l’inosservanza (mancata denuncia integrativa della passività F. nella dichiarazione D.P.) veniva tuttavia assolto dal P. con la menzionata dichiarazione integrativa 6 dicembre 2016, con la quale il contribuente formalizzava due circostanze che, in effetti, non solo non erano state specificamente contestate dall’ufficio ma erano state da quest’ultimo per più versi riconosciute, quanto a:
– effettiva sussistenza delle passività dell’eredità F.;
– riferibilità di queste all’eredità D.P., stante la qualità di erede al 50% da quest’ultima pacificamente rivestita;
– mancata estinzione di tali passività prima del decesso di quest’ultima.
Orbene, l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale che l’agenzia delle entrate censura sotto il profilo della violazione della ripartizione dell’onere probatorio va dunque opportunamente collocata in un contesto nel quale il giudice di merito aveva in effetti – non ribaltato sull’amministrazione finanziaria – bensì ritenuto assolto questo onere siccome posto a carico proprio del contribuente.
Ed a fronte di questo assolvimento rilevava, quale definitivo elemento di giudizio nel convincimento del giudice territoriale, la circostanza che l’amministrazione non avesse opposto alcunché all’ultima dichiarazione integrativa contenente quelle passività (se non, appunto, la ‘singolarità’ del fatto che queste stesse passività non erano state precedentemente dichiarate).
Sennonchè, qui ribadito che non vi erano limiti temporali alla presentazione da parte del contribuente di dichiarazioni emendative che riportassero l’imposizione entro i limiti di legge, si riscontra come la valutazione offerta dalla Commissione Tributaria Regionale, pur nella sua ellitticità, sia conforme all’indirizzo di legittimità circa l’applicabilità anche nel processo tributario, ed anche a carico dell’amministrazione finanziaria, del principio di non contestazione ex articolo 115 cod.proc.civ.; sebbene con i temperamenti derivanti dalla natura del processo tributario e dalla natura non dispositiva dei diritti in esso dedotti (Cass.nn. 7127/19; 31619/18; 23710/18 ed altre).
Si è affermato da Cass.n. 19806/19 che: “nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio“.
Va però considerato come questo principio non sia del tutto confacente alla fattispecie in esame, dal momento che nel presente caso la prova offerta dal contribuente (secondo quanto riferito dalla stessa Agenzia delle Entrate) concerneva non la contestazione della attività ereditarie ‘riprese’ con l’atto impositivo originariamente opposto, ma proprio il superamento della maggior pretesa tributaria in conseguenza della sopravvenuta dichiarazione integrativa contenente le (non contestate dall’Ufficio) passività F..
Il che rendeva nuovamente applicabile il principio di non contestazione, come recepito dalla Commissione Tributaria Regionale, in tutta la sua pienezza.
Il ricorso va dunque respinto, con condanna della ricorrente Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese di lite che si liquidano come il dispositivo.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge;
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