CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 ottobre 2018, n. 27288
Fallimento – Cancellazione dal registro delle imprese – Stato d’insolvenza – Cessazione dell’attività – Termini
Rilevato
– che M. B. propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano del 7 luglio 2017, con cui è stato rigettato il suo reclamo ex art. 18 l. fall, avverso la sentenza del Tribunale di Monza n. 22/2017 di declaratoria di fallimento dell’impresa individuale “P. P. di B. M.”;
– che la corte d’appello, per quanto ancora rileva, ha riconosciuto l’infondatezza delle censure mosse rilevando che: a) il termine di un anno per previsto dall’art. 10 l. fall, inizia a decorrere, per gli imprenditori individuali, dalla cancellazione dal registro delle imprese, senza che sia possibile, in alternativa, dedurre una decorrenza diversa e più favorevole; b) lo stato di insolvenza è dimostrato dal mancato pagamento dei debiti accumulati nei confronti dei lavoratori dipendenti dall’impresa individuale (la cui titolarità è rimasta a carico dell’odierna ricorrente anche a seguito della cessione d’azienda), nonché dall’esistenza di un consistente indebitamento nei confronti di Equitalia s.p.a. e di debiti scaduti di rilevante entità nei confronti di altri creditori;
– che la S.H. Italia s.r.l. si difende con controricorso;
Considerato
– che il primo motivo deduce la violazione dell’art. 10 l. fall., in quanto l’impresa era cessata in epoca anteriore alla cancellazione formale della medesima dal registro delle imprese;
– che il secondo motivo censura la violazione degli artt. 2729 c.c., 116 c.p.c. e 5 l. fall., avendo errato la corte del merito nel ritenere accertato lo stato d’insolvenza e l’esistenza dei debiti a ciò necessaria;
– che il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 15, u.c., l. fall., perché i debiti scaduti e non pagati non superano la soglia di € 30.000,00;
– che il primo motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte chiarito che, al fine della dichiarazione di fallibilità, il termine annuale dalla cessazione dell’attività di cui all’art. 10 l. fall, decorre, tanto per gli imprenditori individuali quanto per quelli collettivi, dalla cancellazione dal registro delle imprese (e non, piuttosto, dalla mera richiesta di cancellazione) perché solo da tale momento i terzi possono avere formale conoscenza della cessazione dell’esercizio dell’attività imprenditoriale da parte del proprio debitore; in particolare si è affermato il principio, da cui non vi è ragione di discostarsi (cfr. Cass. 21 aprile 2016, n. 8092), secondo cui il termine di un anno, entro il quale l’imprenditore individuale che abbia cessato la sua attività può essere dichiarato fallito ai sensi dell’art. 10 l. fall, (nel testo modificato dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007), decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese, senza possibilità per l’imprenditore medesimo di dimostrare il momento anteriore dell’effettiva cessazione dell’attività;
– che il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto propone un giudizio sul fatto e non si conforma ai costanti principi espressi da questa Corte;
– che, invero, si è precisato che «la dichiaratone di fallimento trova il suo presupposto, dal punto di vista obiettivo, nello stato d’insolvenza del debitore, il cui riscontro prescinde dall’indagine sull’effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti del debitore (essendo sufficiente, a tal fine, l’accertamento di uno stato d’impotenza economico-patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte con mezzi “normali” ai propri debiti) e può, quindi, essere legittimamente effettuato dal giudice ordinario, anche quando i crediti derivino da rapporti riservati alla cognizione di un giudice diverso» (Cass. 25961/2011); ed ancora, è stato statuito che, « ai sensi dell’art. 6 l. fall. il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, circostanza che non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di accertare la legittimazione dell’istante» (Cass. 1521/2013 e che «lo stesso accertamento incidentale deve essere compiuto al fine di stabilire la sussistenza dello stato di insolvenza in relazione a crediti contestati» (Cass. 6306/2014);
– che la corte territoriale ha ravvisato una situazione di incapacità non transitoria dell’odierna ricorrente a far fronte alle proprie obbligazioni con mezzi ordinari in base al riscontro di rilevanti passività (accertate incidentalmente in conformità ai principi di cui sopra) e dell’esito negativo dei pignoramenti tentati dagli intimati, non discostandosi, dunque dalla interpretazione consolidata dell’art. 5 l. fall, espressa dalla giurisprudenza di questa Corte, cui deve darsi continuità; mentre il motivo, nella parte in cui postula una situazione diversa da quella accertata in sede di merito, è inammissibile, perché tende ad un nuovo giudizio di fatto, estraneo alla verifica di legittimità;
– che il terzo motivo è inammissibile, in quanto parimenti volto ad una rinnovata valutazione delle risultanze probatorie, non consentita in sede di legittimità, a fronte di un tessuto motivazionale definito nei termini di un puntuale richiamo agli elementi fattuali acquisiti nel corso del giudizio pre-fallimentare;
– che circa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 l.f., proposta con la memoria, questa Corte ha già condivisibilmente statuito (cfr. Cass. 21 novembre 2011, n. 24431) che «L’art. 10 l.fall., come modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007 n. 169, nel prevedere la possibilità per il solo creditore e per il p.m., e non anche per l’imprenditore, di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività d’impresa ai fini della decorrenza del termine per la dichiarazione di fallimento, non si pone in contrasto con gli art. 3, 24 e 111 cost., atteso che, se gli fosse consentito di dimostrare una diversa e anteriore data di effettiva cessazione dell’attività imprenditoriale rispetto a quella della cancellazione dal registro delle imprese, la tutela dell’affidamento dei terzi ne risulterebbe vanificata»;
– che la condanna alle spese segue la regola della soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte costituita, di euro 3.100 (di cui euro 100 per esborsi), oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla l. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, norma del co. 1 -bis dello stesso art. 13.
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