CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 ottobre 2020, n. 23466

Tributi – Accertamento – Costi effettivi ma documentati con fatture soggettivamente inesistenti – Deducibilità ai fini delle imposte sui redditi e detraibilità ai fini IVA – Condizioni

Rilevato che

Con la sentenza impugnata è stata riformata la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Udine con la quale era stata accolta l’opposizione proposta dalla ricorrente indicata in epigrafe, volta all’annullamento dell’avviso di accertamento (n. 831030501208) di maggiore imposta IRES (per € 33.245,00), IRAP (per € 3.876,00) ed IVA (per € 12.643,00), oltre sanzioni (per € 52.061,25), per l’anno 2004;

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società, affidato a cinque motivi;

l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Considerato che

1. Con il primo motivo, l’impresa T. S.p.A. – denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza su un fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, primo comma, v n. 5, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame abbia ritenuto che essa società facesse parte del “carosello fiscale” sulla base di elementi in parte insufficienti e in parte manifestamente contraddittori.

2. Con il secondo motivo – denunciando nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice non abbia considerato la (dedotta, nel ricorso introduttivo) questione concernente la deducibilità o meno del costo ai sensi dell’art. 14, quarto comma bis, della I. n. 537 del 1993.

3. Con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 109, d.P.R. n. 917 del 1986, e 14, quarto comma bis, della I. n. 537 del 1993, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che la CTR abbia affermato l’indeducibilità del costo, benché, ai fini delle imposte dirette, esso sia invece deducibile se l’operazione è stata effettivamente svolta e risulta inerente.

4. Con il quarto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che la CTR abbia negato la detrazione, malgrado non sia stata messa in discussione l’esistenza del contratto di leasing.

5. Con il quinto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 121 bis del d.P.R. n. 917 del 1986 (“ratione temporis” vigente), dell’art. 19, primo comma bis, del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 54 d.lgs. n. 285 del 1992, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che la CTR, nell’interpretare la normativa vigente, abbia valorizzato il presunto utilizzo degli autocarri come vetture per il trasporto di persone, omettendo di considerare che il trattamento fiscale deve essere strettamente legato all’inquadramento del mezzo secondo la normativa stabilita dal codice della strada.

6. Il primo motivo è, per un verso, inammissibile, poiché con esso si tende, in buona sostanza, al conseguimento di una revisione del giudizio valutativo compiuto dal giudice di merito, in contrasto con i noti limiti del giudizio di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. n. 91/2014: “Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non equivale alla revisione del <<ragionamento decisorio>>, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito”; cfr., altresì, Cass. n. 12967/2018: “Risulta integrato il vizio di omessa o insufficiente motivazione, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, quando, dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell’iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata, mentre, a sua volta, il vizio di contraddittorietà si rende ravvisabile solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” posta a fondamento della decisione adottata“. V., ancora, Cass., sez. un., n. 24148/2013, ove è precisato che la motivazione omessa o insufficiente non è configurabile quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”).

6.1. Il predetto motivo è, per altro verso, infondato, giacché, nel caso, il giudice di merito, nel pervenire alle criticate conclusioni, ha valorizzato, quali elementi probatori indiziari, attestanti la consapevolezza, in capo alla società, dell’operazione cd. “carosello”, il fatto che la ricerca del macchinario (i.e.: cingolato di provenienza olandese “Dozer Komatsu“) fosse stata effettuata da un soggetto (tale B.) qualificatosi come procacciatore, ma privo di ufficio per la sua attività, e dal titolare di una società (ove aveva sede amministrativa la stessa T.); che il fornitore originario del macchinario era invece una società olandese che aveva a sua volta ceduto il bene ad una società tedesca per l’importo di € 394.000,00, emettendo una fattura di acconto per € 97.929,00; che la predetta società tedesca era un operatore comunitario fittizio che a sua volta aveva ceduto il mezzo al suddetto procacciatore, ex maresciallo della guardia di finanza, sedicente fornitore, artificiosamente interposto; che la T. aveva emesso un bonifico bancario a favore di quest’ultimo dell’importo del 25% del costo (cioè per € 97.929,00), per permettere a costui di pagare l’acconto alla società tedesca; che il medesimo, alla fine, aveva ceduto il macchinario alla F. Lis S.p.A., emettendo la medesima fattura, per l’importo di € 354.000,00, oltre iva del 20% pari ad € 70,800,00, sia nei confronti della T. che nei confronti della predetta F. Lis; che il procacciatore, alla fine dell’operazione, aveva restituito l’acconto alla T.; che quest’ultima sapeva che il costo indicato dalla società olandese era di € 394.000,00, avendo anticipato al procacciatore l’acconto del 25%, ed aveva accettato che l’acquisto fatto dalla F. Lis avesse un prezzo superiore di € 30.800,00 computando anche l’iva.

6.2. In buona sostanza, non si rinvengono incoerenze ed incongruenze logiche nel percorso argomentativo svolto dal giudice di merito che – a sostanziale conferma della ricostruzione operata dall’Ufficio, secondo cui l’operazione sarebbe servita a mascherare la reale transazione intercorsa tra società olandese e quella di leasing, procurando il bene a quest’ultima a un prezzo più vantaggioso per il tramite dell’interposizione di soggetti di comodo sul territorio nazionale, il cui compito sarebbe stato quello di emettere fatture nei confronti della società F. Lis al fine di ottenere il corrispettivo del bene aumentato dell’IVA e successivamente omettere di versare detta IVA all’erario in modo da realizzare un illecito profitto – ha correttamente considerato una serie di convergenti elementi prima in una valutazione atomistica, poi di sintesi, per desumerne la consapevolezza, in capo alla società, dell’operazione soggettivamente inesistente (cfr., sul punto, Cass. n. 27566/2018, secondo cui “L’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno neN’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”).

7. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente in ragione della loro connessione, sono invece fondati, in quanto “In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4 bis, della I. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in I. n. 44 del 2012), che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem“, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (cfr., sul punto, Cass. n. 17788/2018); sicché, quanto all’IRES ed all’IRAP, la sentenza va cassata ai fini della valutazione, alla stregua della citata norma, della deducibilità dei costi effettivi ma documentati con fatture soggettivamente inesistenti.

8. Il quarto motivo è infondato, poiché, “In tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio” (v., in tal senso, Cass. n. 13545/2018).

8.1. E, nel caso, il giudice ha ritenuto (per le ragioni già sopra illustrate) che, a monte della stipulazione della locazione finanziaria, vi sia stata una macchinazione, posta in essere al fine di frodare l’iva, alla quale non è rimasta estranea la T. S.p.A. (cfr., in particolare, il seguente passo della motivazione della sentenza impugnata: “La consegna dell’anticipo al B. per pagare la Euro Car Trading Gbr, la quale a sua volta doveva pagare la ditta olandese; il fatto che il B. al termine dell’operazione restituisca l’acconto, fa capire come tutto era stato concordare per frodare il fisco”); ciò che esclude la ricorrenza della buona fede necessaria per la detrazione.

9. Il quinto motivo è fondato, giacché l’immatricolazione dei mezzi come autocarri integra presunzione di utilizzo degli stessi in modo conforme alla loro destinazione – e, inevitabilmente, per finalità imprenditoriali -, sicché ha errato nell’interpretazione della norma di riferimento la CTR, che, sul mero assunto, non significativo, che gli stessi autocarri sarebbero stati usati in giornate festive e in orari notturni, ha finito per configurare, non plausibilmente, un onere della contribuente di fornire una ulteriore prova della “strumentalità”, data da un uso dei veicoli coerente con l’inquadramento formale.

10. La sentenza va cassata nei limiti dei motivi accolti, con rinvio della causa, per nuovo esame, avuto riguardo ai principi sopra esposti, ad altra Sezione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, oltre a provvedere sulle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo, terzo e quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese.