CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 ottobre 2021, n. 30028
Tributi – Imposta di registro e bollo – Atti di espropriazione per pubblica utilità – Esenzione ex art. 57, co. 8, DPR n. 131 del 1986 – Ambito soggettivo – Società per azioni a partecipazione pubblica – Esclusione
Ritenuto che
R.F.I. S.p.A. impugnava, con distinti ricorsi, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Genova, n. 5 avvisi di liquidazione e irrogazione sanzioni, emessi dall’Agenzia delle entrate, per imposta di registro e bollo, assumendo la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per l’applicazione del beneficio dell’esenzione ai sensi dell’art. 57, comma 8, del d.P.R. n. 131 del 1986, relativo agli atti di espropriazione per pubblica utilità. L’Ufficio riteneva che gli atti per cui era causa non potevano godere delle esenzioni invocate, poiché “RFI S.p.A. non poteva essere equiparata allo Stato”. L’adita Commissione rigettava i ricorsi. R.F.I. S.p.A. appellava le pronunce dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, assumendo la violazione dell’art. 2909 c.c. per mancato riconoscimento dell’estensione del giudicato formatosi sulle sentenze della CTP di Roma n. 9284/25/15, n. 9285/25/15, n. 9286/25/15, e la carenza di motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per l’applicazione del regime di esclusione dall’imposta di registro e di bollo ai sensi dell’art. 24 della I. n. 210 del 1985. I giudici di appello con le contestuali sentenze nn. 913/6/16, 914/6/16, 915/6/16, 916/6/16, 917/6/16, respingeva i gravami, rilevando che la natura giuridica di R.F.I. non consentiva di ritenerla equiparata allo Stato, con riferimento all’esenzione dalle imposte sopra indicate.
R.F.I. ricorre con ricorso cumulativo avverso le suddette pronunce, svolgendo tre motivi, illustrati con memoria. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
Considerato che
1. Preliminarmente il Collegio rileva l’ammissibilità del ricorso cumulativo contro una pluralità di sentenze emesse tra le stesse parti sebbene in procedimenti formalmente distinti in quanto attinenti al medesimo rapporto giuridico, atteso che la soluzione della controversia dipende da identiche questioni di diritto comuni a tutte le cause, in modo da dare vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le controversie relative al medesimo rapporto d’imposta (Cass. n. 15582 del 2010).
2.Con il primo motivo si denuncia omessa pronuncia su eccezione della società appellante, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione alla sussistenza di un giudicato esterno formatosi sulle sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 9284, 9285, 9286 del 29 aprile 2015, sezione 25, in quanto i giudici di appello avrebbero del tutto omesso di esaminare il contenuto precettivo delle suddette sentenze definitive, che hanno riconosciuto la spettanza delle agevolazioni in specie e l’assimilabilità di R.F.I. allo Stato. La società contribuente argomenta che le suddette sentenze sono divenute definitive solo dopo la proposizione del ricorso di primo grado, pertanto R.F.I. ha eccepito la sopravvenienza di un giudicato esterno favorevole con le memorie illustrative, con la conseguenza che la sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art. 2909 c.c. sarebbe documentale e di immediata apprensione.
3. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per essere la sentenza difforme dal giudicato formatosi tra le parti sulla stessa questione a situazione di fatto invariata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto, laddove si dovesse ritenere di escludere l’omessa pronuncia, si dovrebbe, in ogni caso e in via subordinata, rilevare la chiara violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nella parte in cui la sentenza non soltanto non ammette la vincolatività del giudicato esterno, ma non chiarisce neanche i motivi che avrebbero astrattamente consentito ai giudici di discostarsene.
Secondo la contribuente, il Collegio era vincolato al giudicato esterno così come formato, ed avrebbe dovuto limitarsi, anche per evitare il proliferare di giudizi e limitare l’eccessiva durata dei processi, a prendere atto che sulla equiparabilità della ricorrente allo Stato ai fini delle imposte di cui trattasi e, per l’effetto, ai fini del riconoscimento della spettanza in capo alla società del regime di esclusione dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali, nonché di bollo, in relazione ai provvedimenti espropriativi posti in essere da RFI, in virtù della permanente vigenza e della diretta applicabilità alla stessa della norma speciale di cui all’art. 24 della legge n. 210 del 1985, vi erano ormai decisioni definitive che costituivano la regola iuris tra le parti.
4. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della 1. 17 maggio 1985 n. 210, dell’art. 57, comma 8, del d.P.R. n. 131 del 1986, e dell’art. 22, della Tabella allegata al d.P.R. n. 642/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., laddove i giudici di legittimità escludono l’applicabilità alla fattispecie oggetto di controversia, dell’art. 24 della 1. n. 210 del 1985, e la conseguente esenzione dal pagamento dell’imposta di registro e di bollo, prevista dall’art. 57, comma 8, del d.P.R. n. 131 del 1986. Secondo la società contribuente, i dati di fatto a base della questione della spettanza a R.F.I. dell’agevolazione prevista per lo “Stato” sarebbero pacifici, non essendo stata contestata, né dalla parte resistente, né dalla stessa sentenza di appello, la derivazione soggettiva di R.F.I. dall’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato alla quale pure l’agevolazione in questione era stata pacificamente riconosciuta. Gli elementi interpretativi di cui si avvale la sentenza della CTR, tratti dal parere del Consiglio di Stato n. 1845/2003 successivo a quello n. 515/98 e dalla circolare del Ministero delle Finanze n. 208 del 2003, non sarebbero appropriati rispetto alla condizione di R.F.I. S.p.A. e anzi condurrebbero, nella situazione di quest’ultima, ad un esito completamente opposto. Si tratterebbero di conclusioni interpretative riferite alla società TAV, che avrebbe un oggetto del tutto diverso da quello di R.F.I., quindi inappropriate rispetto a quest’ultima e anzi suscettibili di una piana lettura a contrario nella situazione della ricorrente.
Si sostiene che, nel passaggio alla società per azioni “Ferrovie dello Stato”, sempre per successione universale dall’ente pubblico economico, l’art. 15 del d.l. n. 333/1992 confermava che, in via provvisoria, sarebbero restate in vigore le norme legislative e statutarie che disciplinano in singoli enti. Mentre per le altre società del gruppo quella stagione “provvisoria” si sarebbe esaurita, nessun processo di privatizzazione avrebbe interessato la società R.F.I., continuazione dell’ente pubblico, che avrebbe assunto in carico la gestione infrastrutturale delle ferrovie che, a differenza del trasporto e degli altri servizi, non sarebbe mai stata immessa sul mercato privato. La contribuente afferma che R.F.I. non sarebbe altro che la trasformazione con diversa denominazione di Ferrovie dello Stato, e non sarebbe altro che l’ente destinato a seguire la parte infrastrutturale del sistema ferroviario avulsa dalla privatizzazione con conseguente equiparazione tra Stato e R.F.I. R.F.I. S.p.A. non sarebbe altro che la prosecuzione, anche quanto ai dati anagrafici, e sia pure con diversa denominazione, sempre con proprietà interamente pubblica, sia pure mediata dalla sopravvenienza di una società holding, della pregressa società derivante dalla trasformazione dell’Azienda autonoma Ferrovie dello Stato, della quale continuerebbe a svolgere con la totalità dei compiti, ma solo quelle funzioni collegate alle infrastrutture non destinate a coinvolgere soggetti privati ed espressamente contemplate dalla legge finanziaria per il 2001, come funzioni alle quali continua ad applicarsi un regime pubblicistico.
La contribuente precisa che nell’attuale assetto del gruppo Ferrovie dello Stato sarebbe netta la distinzione tra il servizio di trasporto ferroviario (in regime di concorrenza) e l’attività di costruzione e gestione della rete ferroviaria nazionale (in regime di concessione statale). T. S.p.A. eserciterebbe in regime di concorrenza il trasporto ferroviario di persone e merci; R.F.I. S.p.A. eserciterebbe in via esclusiva (trattandosi di monopolio naturale) l’attività di “gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale” in conformità alle normative comunitarie e nazionali. Con la conseguenza che la disciplina di favore non porrebbe alcun problema di distorsione della concorrenza in quanto la costruzione e la gestione della rete ferroviaria nazionale è un settore privato nel quale, per precisa scelta normativa, può operare il solo concessionario, ossia R.F.I. S.p.A..
5. Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente per connessione logica.
5.1.Le critiche non possono trovare accoglimento.
Va premesso che nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti in fatto (Cass. n. 21968 del 2015; Cass. n. 21257 del 2014). La società contribuente articola i suindicati motivi di censura, rilevando l’estensione del giudicato esterno in questo giudizio rappresentato da tre sentenze della CTP di Roma, con cui si è affermato che la natura giuridica di può essere assimilata allo Stato, con conseguente spettanza delle medesime agevolazioni. La questione viene riproposta anche con memoria depositata in data 2.7.2021 con cui la contribuente eccepisce il giudicato esterno rappresentato dalla sentenza n. 587 del 2020.
Il Collegio rileva che trattandosi di una questione di diritto, già risolta in modo difforme da questa Corte, per le ragioni che verranno si seguito illustrate con riferimento al terzo motivo di ricorso (a cui si fa rinvio), l’eccepito giudicato esterno non può trovare accoglimento nel presente giudizio.
Il giudicato su questioni di diritto, come quella presa in esame dal giudice del merito nelle sentenze del 2015, può valere solo nel caso in cui si discorra di accertamento di fatto, atteso che solo l’accertamento di fatto fa stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo di imposta diverso (Cass. n. 9710 del 2018).
Questa Corte, con sentenza n. 4822 del 2015 ha chiarito che il giudicato si forma sul rapporto di imposta, come configurato dalla pretesa fatta valere dall’Amministrazione con l’atto impositivo e dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente, nonché sull’applicazione e interpretazione di una norma in relazione ad una specifica fattispecie accertata dal giudice, ma non si forma sull’affermazione di un principio di diritto astratto.
Al contrario, è coperta da giudicato la medesima situazione di fatto accertata dal giudice del merito.
L’efficacia del giudicato esterno non può investire la questione di diritto laddove la stessa si concretizzi nell’affermazione di un principio giuridico astratto, e questo principio poi sia stato disatteso dall’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente opinando una interpretazione errata di una questione di diritto avrebbe efficacia di giudicato per diverse annualità d’imposta, senza che il secondo giudice possa in concreto, magari sul medesimo accertamento di fatto coperto da giudicato, esprimere correttamente il principio di diritto astratto come illustrato dalla Corte di legittimità.
L’indirizzo è stato precisato e ribadito da questa Corte con le sentenze n. 26313 del 2009, n. 25142 del 2009 e n. 857 del 2010, con cui si è affermato che il vincolo del giudicato esterno non opera nell’ipotesi di valutazione delle prove in ordine a diverse annualità, non potendo precludersi al secondo giudice il potere di valutare in modo autonomo e discrezionale le prove che gli sono state offerte dalle parti, che in periodi temporalmente distinti possono presupporre fatti differenti, tanto più quando la sentenza definitiva sia errata ed in assoluto contrasto con la giurisprudenza di legittimità. In particolare con sentenza n. 23723 del 2013, questa Corte ha chiarito che: “Quando due giudici tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico o titolo negoziale, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situatone giuridica ovvero alla soluzione su questioni di fatto o di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia trova ostacolo in relazione alla ‘interpretazione giuridica’ della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, né e suscettibile di passare, in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto“. Sicché si esclude il vincolo dei giudicato esterno, nei casi in cui le sentenze definitive siano riferite alla interpretazione giuridica della norma tributaria, soprattutto laddove tale interpretazione sia contraria, come nella specie, alla consolidata giurisprudenza di legittimità.
6. Sulla natura giuridica di R.F.I. si è espresso questo giudice di legittimità, proprio con riferimento all’esenzione all’imposta ipo-catastale e di bollo, affermando che il termine “Stato” utilizzato dalle disposizioni che ne prevedono l’esenzione deve intendersi riferito allo “Stato- persona”, nozione entro cui va esclusa la società a partecipazione pubblica (“R.F.I S.p.A.”) — gestrice dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, facente parte del Gruppo “Ferrovie dello Stato s.p.a.” (società con socio unico partecipata dal MEF che, in quanto “holding” non ha rapporti di servizio pubblico con lo Stato) – assumendo all’uopo rilievo l’autonoma soggettività dell’ente, in termini di autonomia giuridica e patrimoniale rispetto al socio pubblico, nonché la sua organizzazione secondo il tipo societario di stampo civilistico, sicché essa conserva la propria natura privata senza che rilevi la partecipazione ad essa di un j soggetto pubblico (Cass. n. 17034 del 2020; Cass. SS.UU. n. 30978 del 2017). Ne consegue il rigetto anche del terzo motivo di ricorso, e conseguentemente l’esclusione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta a favore della società contribuente, come correttamente rilevato dal giudice del merito.
7. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti, in ragione del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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