CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 ottobre 2021, n. 30041
Tributi – Accertamento – Frode carosello – Soggetto interposto tra venditori ed effettivi acquirenti – Acquisti – Operazioni soggettivamente inesistenti
Rilevato che
D.M. Srl in liquidazione, ora dichiarata fallita, esercente attività di commercio all’ingrosso di macchine elettroniche ed attrezzature d’ufficio, impugna per cassazione con undici motivi, la sentenza della CTR in epigrafe che, confermando la decisione della CTP di Palermo, aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per Iva per il 2008 per aver posto in essere operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di un articolato meccanismo di frode carosello, ove ricopriva ruolo di società “filtro” o “buffer”, ossia di interponente con acquisti da numerose aziende risultate mere cartiere e successiva rivendita a società, di diritto sloveno, pure coinvolta nella frode unionale.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso. La contribuente ha depositato memoria ex art. 380.bis.1 c.p.c.
Considerato che
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 per aver la CTR ritenuto applicabile il raddoppio del termine, dovendosi ritenere l’eventuale illecito commesso nel 2009, ossia al momento della presentazione della dichiarazione per il 2008, dunque estraneo al periodo d’imposta oggetto di contestazione.
1.1. Il motivo è infondato per l’evidente ragione che l’illecito ha riguardato proprio le operazioni effettuate nel 2008, e, dunque, il periodo nel quale è sorto il fatto costitutivo della pretesa fatta valere, mentre è irrilevante, a tal fine, che il termine per la presentazione della dichiarazione dell’anno d’imposta scadesse nel 2009.
2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente con riguardo all’eccepito vizio di motivazione dell’atto impositivo.
2.1. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia sui molteplici profili del vizio di motivazione dell’avviso di accertamento dedotti.
2.2. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’illegittimità dell’avviso per l’omessa allegazione degli atti istruttori diversi dal pvc del 5.12.2013.
3. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono infondati e al limite dell’inammissibile.
3.1. La CTR, difatti, ha espressamente affermato che «nell’atto sono esplicitati con estrema chiarezza i presupposti di fatto e le ragioni tecnico giuridiche che stanno a fondamento del recupero effettuato nonché un’analitica descrizione del procedimento dei calcoli eseguiti e delle operazioni effettuate al fine di prevenire la determinazione del quantum debeatur e alla irrogazione delle sanzioni. Inoltre nel caso di specie la presunta violazione dell’obbligo di aggregazione di un atto richiamato dall’atto di imposizione non può trovare applicazione dal momento che l’atto in questione ossia il pvc risulta essere stato ritualmente notificato alla società contribuente».
La suddetta motivazione, dunque, pur sintetica, è tutt’altro che apparente, accertando in fatto che nell’avviso erano compiutamente individuati i presupposti in fatto e diritto che rendono l’atto impositivo adeguatamente motivato poiché erano esplicitamente indicati tutti gli elementi essenziali rilevanti, ivi compresi, dunque, quelli asseritamente presenti negli ulteriori allegati, esclusa altresì ogni omessa pronuncia.
3.2. Le anzidette censure, del resto, a fronte delle affermazioni contenute in sentenza, sono carenti per autosufficienza e decisività, non avendo la ricorrente allegato il contenuto dell’avviso, al fine di evidenziare che con esso l’Agenzia si era limitata a enunciare la pretesa impositiva, senza indicarne petitum e causa petendi e senza ricostruirne gli elementi costitutivi (secondo le precisazioni rese da questa Corte, per le quali si veda, tra le varie, Cass. 21 novembre 2018, n. 30039).
Ciò vale, e a maggior ragione, con riguardo agli atti istruttori diversi dal pvc, dei quali la ricorrente non solo ha omesso ogni riproduzione ma neppure ha indicato se essi fossero o meno stati riprodotti nell’avviso e/o nel pvc, né, in ogni caso, quali elementi, in essi contenuti, asseritamente non riprodotti, fossero rilevanti e decisivi.
4. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 8 e 19 d.P.R. n. 633 del 1972 e 41 d.l. n. 331 del 1993 conv. nella I. n. 427 del 1993 per aver la CTR, in violazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e di non imponibilità delle cessioni intraunionali.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Occorre premettere che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, con la sentenza n. 9851 del 10/04/2018 (seguita da molte altre; recentemente v. Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020), in coerenza con le plurime affermazioni della Corte di Giustizia (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16), ha affermato che:
a. l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta;
b. la prova della consapevolezza dell’evasione, peraltro, non richiede che l’Amministrazione finanziaria provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;
c. incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
4.3. Orbene, la CTR si è attenuta ai principi sopra illustrati atteso che, dopo aver illustrato le modalità operative delle frodi carosello avuto specifico riguardo alla vicenda in esame, ha posto in risalto sia gli elementi oggettivi della frode, sia quelli soggettivi, sia, infine, la carenza di prove contrarie idonee ad inficiare la pretesa dell’erario. Il giudice d’appello, infatti, ha evidenziato che la contribuente «aveva avuto numerosi ed importanti rapporti commerciali sia in fase di acquisto dei beni che in fase di vendita, con molte società implicate in frodi fiscali, frodi comunitarie, con emissioni di fatture per operazioni inesistenti, alcune prive di sedi ed i cui rappresentanti sono risultati soggetti coinvolti in frodi e/o dal profilo fiscale “evanescenti”», circostanze che – per la quantità di soggetti coinvolti, il numero di operazioni, l’elevato ammontare delle somme – hanno portato la CTR a ritenere, di per sé, integrato un quadro indiziario grave e preciso sia della natura delle operazioni sia della stessa consapevolezza di partecipare ad una operazione illecita.
Questa affermazione, inoltre, non si è tradotta in una mera e generica enunciazione di principio ma ha riguardato tutte le singole società con cui la contribuente ha intrattenuto i rapporti commerciali, tutte «sotto osservazione degli organi di controllo antifrodi, conclusesi con processi penali e l’emissione di pvc con l’ipotesi di frode fiscale», e i cui rapporti con la ricorrente erano «dettagliatamente descritti» nel pvc; ha poi ulteriormente specificato che «la quasi totalità dei beni acquistati dalle suddette cartiere sono stati rivenduti alla società di diritto sloveno HVM Trigovna DOO che, a sua volta, li aveva venduti alle società cartiere» così da realizzare «nuovi cicli di frode carosello»
La CTR ha tratto ulteriore conferma della fondatezza della ripresa dalle stesse dichiarazioni del legale rappresentante che – nonostante l’elevato volume di affari e il coinvolgimento dei più «importanti fornitori della sua azienda» – ha sostenuto «di aver avuto con questi fornitori … esclusivamente rapporti via “e-mail e tramite telefono” e di non conoscere le persone fisiche che avrebbero gestito queste società nemmeno per le consegne o per i pagamenti (eseguiti per centinaia di migliaia di euro) e di non ricordare nessun cognome e di non detenere alcun numero di telefono», dichiarazioni ritenute, con argomentazione del tutto logica, non solo inattendibili ma, anzi, idonee a rafforzare il quadro probatorio, sì da far ritenere non solo negligentemente inconsapevole la parte (elemento di suo sufficiente a soddisfare l’onere della prova incombente sull’Ufficio) ma partecipe attiva alla frode.
Né la CTR, infine, ha trascurato gli elementi allegati dalla contribuente, primo tra questi la relazione tecnica, valutata sostanzialmente priva di rilievo proprio perché carente su profili fondamentali («ha prodotto solo una corrispondenza peraltro non firmata e pochissime e-mail»), ferma la valutazione di genericità degli elementi addotti.
4.4. Non sussistono, pertanto, le denunciate violazioni di legge, né l’asserita inosservanza ai criteri di riparto della prova, risolvendosi per il resto la denuncia in una contestazione della valutazione sulle prove operata dal giudice d’appello.
5. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi in relazione ai rapporti con le diverse società, avuto riguardo sia agli acquisti che alle vendite.
5.1. Il settimo motivo denuncia nuovamente, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi con riguardo alla inconsapevolezza della frode.
6. Il sesto ed il settimo motivo sono inammissibili e per più ragioni.
6.1. Osta alla proposizione delle censure, in primo luogo, l’art. 348 ter, quinto comma, c.p.c., che non consente più la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. nel caso vi sia stato un doppio accertamento conforme da parte dei giudici di merito sulle medesime questioni di fatto, circostanza che risulta dalla stessa motivazione della decisione impugnata che fa esplicito riferimento all’accertamento operato dal giudice di primo grado, sì da risultare identico il giudizio di fatto.
Né si può ritenere – contrariamente a quanto sostenuto in memoria dal ricorrente che invoca la decisione di questa Corte Cass. n. 29222 del 12/11/2019 – l’inoperatività della norma: la CTR, infatti, ha proceduto ad un esteso e compiuto esame delle questioni e delle prove, ivi comprese quelle della contribuente, sicché va escluso che sia “mancata” l’istruzione probatoria. Di nessun rilievo, poi, è la circostanza che in appello siano stati prodotti dalla contribuente ulteriori documenti, che, valutati nell’ambito del medesimo giudizio di fatto, non hanno assunto rilievo decisivo.
6.2. Tutte le questioni, del resto, sono state oggetto di esame da parte della CTR, mentre le doglianze non investono fatti di cui la CTR avrebbe omesso l’esame ma si risolvono in contestazioni sulle argomentazioni e valutazioni svolte dal giudice d’appello ovvero introducono circostanze (i pagamenti) inidonee a fondare la prova contraria e, dunque, neppure decisive.
La stessa relazione tecnica è stata, in realtà, come su rilevato, oggetto di specifica disamina da parte della CTR, mirando la censura solo a contestare la valutazione del giudice d’appello
6.3. Prive di decisività, oltre che carente per autosufficienza, poi, sono le invocate statuizioni in sede penale o, a maggior ragione, le asserite statuizioni intervenute relative ad altre società, neppure essendo ben chiaro, alla stregua delle deduzioni in ricorso, a quali condotte, persone e vicende si riferiscano.
7. Quanto all’avvenuta produzione della sentenza penale del Tribunale di Palermo del 27 novembre 2018, che ha assolto G.U. con riguardo a condotte fraudolente fiscali per l’anno d’imposta 2010, effettuata in sede di memoria difensiva, ne va rilevata l’inammissibilità.
7.1. Occorre sottolineare che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., al solo fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti.
In tale evenienza, infatti, la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità.
Tale conclusione rileva, a maggior ragione, con riguardo alle specificità del giudizio tributario, nel quale la sentenza penale irrevocabile non ha mai efficacia di regula iuris, cui il giudice civile deve necessariamente attenersi, vigendo, invece, le limitazioni probatorie sancite dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 541 del 1992, e potendo ivi valere anche le presunzioni, inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (v. da ultimo Cass. n. 17258 del 27/06/2019).
Ne consegue che in questi casi va ritenuta l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 c.p.c. (v. Cass. n. 23483 del 19/11/2010; Cass. n. 22376 del 26/09/2017).
7.2. Oltre a ciò, va sottolineato che la sentenza neppure integra un giudicato, mancandone ogni formale attestazione, e, comunque, riguarda annualità diversa da quella in giudizio.
8. L’ottavo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per ultrapetizione per aver la CTR affermato che la HVM Trigovna DOO, cliente della D. M., avrebbe ceduto la merce da quest’ultima acquistata alle società cartiere che avevano rifornito la ricorrente.
8.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente omesso di riprodurre gli atti dell’Agenzia – in primis lo stesso avviso di accertamento e il pvc – dai quali dovrebbe risultare l’asserita carente allegazione.
La doglianza, peraltro, è palesemente contraddetta da quanto allega la controricorrente, che riproduce lo specifico passaggio del pvc da cui emerge la suddetta circostanza. È appena il caso di sottolineare che la contestazione sollevata sul punto in memoria, oltre che del tutto generica, finisce, in realtà, per dare conferma a quanto riscontrato dalla CTR poiché rivela che sin dall’inizio l’Ufficio aveva contestato l’ulteriore passaggio della vendita alla HVM, poi cedente le merci ad altre società cartiere.
9. Il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente con riguardo alle sanzioni irrogate.
9.1. Il decimo motivo denuncia, sulla medesima questione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia.
10. Entrambi i motivi sono infondati.
10.1. La CTR, difatti, in conclusione dell’ampia analisi di merito, ha affermato: «infine, è appena il caso di rilevare l’infondatezza della doglianza relativa alle sanzioni applicate dall’Ufficio atteso che le stesse sono una semplice conseguenza alle accertate violazioni commesse dalla società contribuente».
10.2. Il giudice d’appello, dunque, non solo ha espressamente statuito sulle domande formulate dalla contribuente in punto di sanzioni ma ha fatto esplicito riferimento alla consistenza delle violazioni accertate e alla motivazione a sostegno delle stesse come idonea a sostenere anche la statuizione sulle sanzioni, rispondendo sia alla pretesa che “nessuna violazione è stata commessa”, sia alla asserita infondatezza dei fatti, sia all’asserita omessa indicazione degli elementi probatori, sia alla congruità della contestazione per esser la dichiarazione d’intenti ideologicamente falsa.
Va rilevato, con particolare riguardo a quest’ultimo profilo, che discende proprio dall’accertata qualità di società filtro, ritenuta dalla CTR, la carenza dei requisiti per la qualificazione del soggetto come esportatore abituale, da cui la responsabilità ex art. 7, comma 3, d.lgs. n. 471 del 1997.
10.3. Quanto alla denunciata non corretta applicazione del cumulo giuridico, esclusa l’omessa pronuncia, attesa la contraria esplicita decisione della CTR, la lamentata carenza in punto di motivazione è, prima ancora, inammissibile per carenza di decisività, neppure avendo dedotto parte ricorrente – né in questa sede, né nella stessa doglianza in appello per come riprodotta – in quali termini la determinazione della sanzione sarebbe stata errata, difettando la censura anche in punto di specificità e autosufficienza per l’omessa riproduzione dell’avviso con cui sono state irrogate le sanzioni.
11. L’undicesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. per aver la CTR affermato che “tutti gli altri motivi ed eccezioni sollevati dalla contribuente sono da considerarsi assorbiti”, così male applicando il principio dell’assorbimento e non decidendo i motivi già denunciati al terzo, quarto e decimo motivo, nonché non esaminando i fatti di cui ai motivi sesto e settimo.
11.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente ipotizza che la CTR, ricorrendo impropriamente a tale formula, avrebbe omesso di statuire su svariate ragioni di doglianza, specificamente individuate e, comunque, pure oggetto di autonoma doglianza.
Tale asserzione, peraltro, è destituita di fondamento avendo la CTR, come sopra evidenziato con riguardo ai motivi autonomamente proposti (e su esaminati), statuito: a volte con motivazione più ampia, a volte più concisa, ma, in ogni caso, in termini adeguati e idonei.
Il motivo, dunque, è carente nel suo oggetto, sì da integrare, in realtà, una mera petizione e, quindi, un “non motivo”, in vista anche di una indiretta e impropria nuova censura motivazionale.
12. Le spese seguono la soccombenza e sono regolate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna D. M. Srl in liquidazione al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive € 35.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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