CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 ottobre 2021, n. 30149
Lavoro – Contratto di collaborazione – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Verifica dell’assenza di un progetto specifico
Rilevato che
1. con sentenza n. 4237/2018 la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello principale di S. s.p.a. ed in accoglimento dell’appello incidentale di B. D.L. ha dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal 1.2.2006 ed inquadramento quale impiegata nel 6° livello del c.c.n.l. Federgasacqua, condannando la società al pagamento della indennità omnicomprensiva di cui all’art. 32 I. n. 183/2010 nella misura di dieci mensilità della retribuzione globale di fatto oltre accessori nonché delle differenze tra quanto percepito e quanto spettante in base all’inquadramento riconosciuto;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S. s.p.a. sulla base di plurimi motivi; l’intimata ha resistito con tempestivo controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1. cod. proc. civ.;
Considerato che
1. con il primo gruppo di motivi parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’artt. 112 cod. proc. civ. nonché omessa pronunzia sul gravame di S. s.p.a. che aveva investito la statuizione di prime cure con la quale era stata dichiarata la nullità (per difetto di specificità) del termine apposto al contratto decorrente dal 5.7.2010; il giudice di appello, dopo avere ritenuto di dover esaminare preliminarmente «per ragioni logiche e cronologiche, l’appello incidentale», aveva ritenuto la questione della legittimità del contratto a termine del 2010 assorbita dall’accoglimento del gravame della lavoratrice in punto di invalidità del contratto di collaborazione coordinata e continuativa stipulato in epoca antecedente al contratto a termine; assume che la stipula di un contratto a termine mentre era ancora in corso l’ultimo contratto a progetto si configurava quale novazione del precedente rapporto, come dedotto in prime e seconde cure;
2. con il secondo gruppo di motivi parte ricorrente deduce: violazione e falsa applicazione dell’art. 11 disposizioni sulla legge in generale; violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 69 d. lgs. n. 276/2003; violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1428 e 1362 cod. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti;
2.1. i motivi, illustrati congiuntamente, censurano, sotto vari profili, la ritenuta non conformità del primo dei contratti a progetto stipulati tra le parti al modello legale delineato dall’art. 61 d. lgs. n. 276/2003. Secondo la società ricorrente la valutazione di non conformità era stata effettuata non in relazione al testo normativo applicabile ratione temporis ma alla luce delle modifiche introdotte dall’art. 1, commi 23 e sgg. legge n. 92/2012, destinate, alla stregua del comma 25 dell’art. 1 cit., a trovare applicazione solo in relazione a fattispecie successive alla data di entrata in vigore – il 18.7.2012 – del detto provvedimento legislativo; l’art. 61 d. lgs. n. 276/2003, nel testo all’epoca vigente, consentiva infatti la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa per attività riconducibili, oltre che a progetti specifici, anche a programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti in modo autonomo dal collaboratore in funzione del risultato; in questa prospettiva non era coerente con l’originaria formulazione dell’art. 61 d. lgs. cit. la valorizzazione dell’assenza in contratto di uno specifico risultato produttivo, anche parziale, e della coincidenza delle mansioni affidate con l’attività ordinaria della società; nei contratti di collaborazione in controversia erano comunque distinguibili le clausole con le quali erano stabiliti il progetto e gli obiettivi della collaborazione e lo specifico oggetto dell’impegno lavorativo da affidare alla lavoratrice. Sotto altro profilo la società ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso l’effetto novativo connesso alla stipula di contratti successivi al primo, contratti in relazione ai quali non erano stati individuati ulteriori profili di invalidità, e per avere, in ogni caso, conferito valore di presunzione assoluta della natura subordinata del rapporto, anziché relativa, alla non conformità del contratto al modello legale ex art. 61 d. lgs. n. 276/2003;
3. con il terzo gruppo di motivi parte ricorrente deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 112, 115, e 116, cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.; violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 1 n. 4 cod. proc. civ.; contesta l’accertamento relativo all’inquadramento nel 6° livello per il quale – assume- era necessaria la specifica allegazione e prova da parte dell’interessata e la indicazione in motivazione degli elementi e dei profili in base ai quali il livello attribuito poteva essere riconosciuto;
4. con il quarto motivo di ricorso deduce nullità della sentenza o del procedimento, per ultrapetizione, censurando la sentenza impugnata per avere modificato il capo relativo al pagamento della indennità risarcitoria pur in assenza di specifica censura sul punto articolata dalla lavoratrice;
5. il primo motivo di ricorso è da respingere;
non sussiste il vizio di omessa pronunzia con riguardo all’appello di S., avendo la Corte di merito ritenuto assorbito, e conseguentemente respinto, l’appello principale della società «stante la illegittimità derivata (ancor prima che autonoma) del termine apposto al contratto del luglio 2010», con evocazione, quindi, di un’ipotesi di assorbimento cd. proprio che esclude la configurabilità del vizio dedotto (v. fra le altre, Cass. 28895/2018); le ragioni del ritenuto assorbimento non sono validamente censurate dalla odierna ricorrente la quale non si confronta specificamente con l’affermazione della Corte di merito circa la invalidità derivata del contratto a termine, affermazione che rendeva ultronea la verifica connessa all’eventuale effetto novativo di tale contratto in relazione al rapporto in essere tra le parti;
6. i motivi incentrati sulla non conformità della valutazione di difetto di specificità del progetto al parametro normativo all’epoca vigente ed alle relative conseguenze, sono infondati;
6.1. non sussiste violazione dell’art. 11 preleggi, in tema di efficacia della legge nel tempo, avendo la Corte di merito fatto espresso riferimento all’art. 61 d. lgs. 276/2003, nel testo antecedente la novella introdotta dalla legge 92/2012, che ha richiamato solo in funzione confermativa della valutazione adottata, dando atto che il legislatore del 2012 aveva recepito approdi ai quali era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità in ordine ai requisiti prescritti per la valida stipulazione di un contratto a progetto ex art. 61 d. lgs. 276/2003;
6.2. la valutazione di non conformità del primo contratto tra le parti allo schema legale del contratto a progetto prefigurato dal legislatore del 2003, fondata sulla mancata individuazione nel testo contrattuale di un risultato produttivo, anche parziale, autonomamente apprezzabile che doveva essere assicurato dalla lavoratrice, << risultando piuttosto dedotte, quale oggetto della sua prestazione lavorativa, generiche mansioni funzionali all’obiettivo aziendale integrato, in sostanza, dall’esecuzione della convenzione di S. S.P.A. con il Ministero dell’Ambiente, sicché in ultima analisi, il progetto coincideva con l’attività ordinaria della società» è coerente con la condivisibile giurisprudenza di legittimità maturata nel vigore dell’art. 61 d. lgs. n. 276/2003, nel testo antecedente alla novella del 2012 e da quest’ultima sul punto recepita, secondo quanto comunemente ritenuto dagli interpreti;
6.3. questa Corte ha, infatti, chiarito che in base alla definizione legale del contratto a progetto fornita dall’art. 61 d.lgs. 276/2003 nel testo originario (poi sostituito dall’art. 1 comma 23 lettera a) della I. n. 92 del 2012, modificato dall’art. 24 bis comma 7 del d.l.n. 83 del 2012 conv. in I. n. 134 del 2012 ed ancora dall’art. 7 comma 2 lettera c) del d.l. n. 76 del 2013 conv. in I. n. 99 del 2013 ed infine abrogato dall’art.52 del d.lgs. 81 del 2015 di attuazione del c.d. .Jobs Act), per la configurazione della fattispecie, oltre alla presenza di tutti i caratteri della già nota figura delle collaborazioni continuative e coordinate, era necessaria la riconducibilità dell’attività “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa.”. In particolare, è stato puntualizzato che la nozione di “specifico progetto”, scaturente dall’esegesi normativa, comportava – tenuto conto delle precisazioni introdotte nell’art. 61 cit. dalla legge n. 92 del 2012 – la necessità di riferimento ad un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore, con la precisazione che la norma non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa (Cass. 17707/2020, 10135/2018, 24739/2017); il progetto concordato non può comunque consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (Cass. n. 17636 del 06/09/2016), in quanto i termini in questione non possono che essere intesi – pena il sostanziale svuotamento della portata della norma – come volti ad enucleare il contenuto della collaborazione in un quid distinto dalla mera messa a disposizione di energie lavorative nell’attuazione delle ordinarie attività aziendali; l’assenza del progetto di cui all’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, che rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorché il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia (Cass. n. 8142/2017);
6.4. la valutazione di non conformità del contratto in controversia al modello legale delineato dall’art. 61 d. Igs n. 276/2003, ancorata ad un parametro normativo correttamente individuato, non è sindacabile in questa sede avendo questa Corte chiarito che “spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (testualmente in motivazione Cass. n. 15661 del 2001, con la copiosa giurisprudenza ivi citata; v. pure Cass. n. 18247 del 2009 e n. 7838 del 2005);
6.5. in relazione poi alla deduzione di parte ricorrente riferita alla possibilità che l’attività dedotta nel contratto concernesse «programmi di lavoro o fasi di esso» e non un progetto specifico, si rileva che la questione, implicante accertamento di fatto, non è stata specificamente affrontata dal giudice di merito e che pertanto a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità, era onere del ricorrente allegare l’avvenuta rituale e tempestiva deduzione di tale questione innanzi al giudice di merito ed, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013), come viceversa non è avvenuto;
6.6. le censure che investono l’interpretazione complessiva del contratto di collaborazione coordinata e continuativa sono inammissibili in quanto non veicolate dalla individuazione dello specifico criterio ermeneutico violato, corredata dalla precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, come prescritto (Cass. 19044/2010, 15604/2007, in motivazione, 4178/2007), dovendosi escludere che la semplice contrapposizione, come in concreto avvenuto, dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima in quanto intrinsecamente inidonea a dare contezza dell’errore in diritto ascritto in tesi al giudice di merito (Cass. 14318/2013, 23635/2010);
6.7. la “conversione” del rapporto di collaborazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato conseguente alla verifica dell’assenza di un progetto specifico è conforme al principio giurisprudenziale, ormai consolidato ed al quale va data continuità, secondo cui la disposizione (nella versione “ratione temporis” applicabile, antecedente le modifiche di cui all’art.1, comma 23, lett. f) della I. n. 92 del 2012), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. 28156/2018, 17127/2016), dovendosi ulteriormente evidenziare che, come chiarito da questa Corte “il regime sanzionatorio previsto dall’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2016 (nel testo “ratione temporis” applicabile, anteriore alle modifiche apportate dalla I. n. 92 del 2012) in caso di assenza di specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso – determinante l’automatica conversione a tempo indeterminato, con applicazione delle garanzie del lavoro dipendente e senza necessità di accertamenti giudiziali sulla natura del rapporto – non contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo”, posto a tutela del lavoro subordinato e non invocabile nel caso inverso, né con l’art. 41, comma 1, Cost., in quanto trae origine da una condotta datoriale violativa di prescrizioni di legge ed è coerente con la finalità antielusiva perseguita dal legislatore (Cass. 9471/2019);
6.8. la perdurante esistenza, sotto il profilo giuridico, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale effetto della conversione ex art. 69 d. lgs. n. 276/2003, di rapporto formalmente instaurato sulla base di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi dell’art 61 d. lgs. cit., giustifica l’affermazione del giudice di merito circa l’invalidità derivata dei successivi contratti di collaborazione ex art. 61 d. lgs. risultando gli stessi, in definitiva, privi di causa in presenza di un rapporto già costituito;
6.9. la critica alla Corte di merito per avere escluso, in relazione alla reiterazione di contratti formalmente riconducibili alla collaborazione a progetto ed alla mancata rivendicazione della natura subordinata del rapporto da parte della lavoratrice, il significato negoziale di dismissione dei diritti aventi titolo nel lavoro dipendente ovvero di ricognizione dell’atipicità della prestazione lavorativa assicurata giusta il contratto cartolare in essere è inammissibile sostanziandosi in una mera contrapposizione qualificatoria alla valutazione del giudice di secondo grado, valutazione che è frutto di apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e sindacabile nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ., neppure formalmente prospettato a riguardo;
7. i motivi che contestano sotto vari profili il riconoscimento del diritto all’inquadramento nel 6° livello c.c.n.l. applicabile devono essere respinti;
7.1. la sentenza impugnata ha fondato il riconoscimento della lavoratrice all’inquadramento nel 6° livello sul fatto che tale era il livello attribuito nel contratto a termine «non essendo risultata dall’istruttoria una sostanziale divergenza tra le mansioni svolte nel periodo di lavoro regolato da contratto a progetto e quello regolato dal rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato»; vi è stato quindi accertamento di fatto sia in ordine alle mansioni espletate sia in ordine alla riconducibilità delle stesse al livello attribuito dalla medesima società; tanto esclude, innanzitutto, la denunziata apparenza di motivazione essendo del tutto percepibili dalle ragioni esposte in sentenza sia i presupposti di fatto che il percorso logico giuridico seguiti dal giudice di seconde cure nel pervenire al riconoscimento dell’inquadramento contestato;
7.2. quanto alla deduzione di violazione e falsa applicazione dell’art. 414 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. la stessa è inammissibile in quanto la sentenza non contiene alcuna affermazione in contrasto con gli oneri di allegazione e prova gravanti sul lavoratore che rivendichi emergendo, piuttosto che sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione, le censure articolate degradano l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc.civ. perché viene posta a presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
7.3. parimenti inammissibile la deduzione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. che non può porsi, come in concreto avvenuto, per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 1229/2019, 27000/2016);
7.4. il quarto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni del decisum;
7.5. invero, la determinazione dell’indennità risarcitoria in misura superiore a quella stabilita dal giudice di primo grado in conseguenza dell’accertamento della nullità del termine, scaturisce da una diversa, e necessariamente autonoma valutazione della Corte di merito, in ordine alle conseguenze risarcitorie ex art. 32 L. n. 183/2010 connesse alla conversione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa; tanto rende priva di rilievo la circostanza della mancata impugnazione da parte della lavoratrice della misura della indennità in oggetto collegata all’accertamento della illegittimità del termine;
5. al rigetto del ricorso consegue il regolamento, secondo soccombenza delle spese di lite;
6. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.250,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge. Con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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