CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 settembre 2019, n. 24088
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione – Rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti
Rilevato
che, con sentenza pubblicata in data 13.6.2014, la Corte di Appello di L’Aquila, in accoglimento del gravame interposto da R.P., nei confronti di Equitalia Centro S.p.A. (già Equitalia Pragma S.p.A.), avverso la sentenza n. 276/2013, resa dal Tribunale di Pescara in data 21.2.2013, ha dichiarato <<l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dall’1.7.2009>> ed ha condannato la società alla riammissione in servizio del P., con l’inquadramento di assunzione, ed al versamento, in favore dello stesso, di una indennità pari ad otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della pronunzia della sentenza sino al soddisfo; che avverso tale sentenza Equitalia Centro S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo contenente due censure; che il P. ha resistito con controricorso; che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che, con il motivo di ricorso articolato, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 22 e 27 del D.lgs. n. 276 del 2003 e del D.lgs. n. 368 del 2001, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 2 (recte: 3), c.p.c., nonché la omessa e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ed in particolare, si deduce che la Corte distrettuale sarebbe giunta erroneamente a ritenere la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il P. ed Equitalia Centro S.p.A. <<sulla scia di un’errata interpretazione della normativa di nferimento>>, spingendosi <<oltre i confini del sindacato giudiziale e caricando di responsabilità la società utilizzatrice verso cui la Corte ha fatto gravare praticamente in maniera totale l’onere probatorio>, senza considerare che <<le considerazioni riportate dalla società>> nei gradi di merito <<siano del tutto coerenti e rispettose dell’impianto normativo vigente in tema di contratto di lavoro somministrato, atteso che l’ultimo comma dell’art. 27 del D.lgs. 276/2003 testualmente dispone che “Ai fini della valutazione delle ragioni di cui all’articolo 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all’organizzatore”>>; si assume, altresì, che la decisione del Collegio di merito sarebbe priva di motivazione in ordine alla valutazione della documentazione prodotta dalla società relativamente alla causale del contratto, ed inoltre, che i giudici di seconda istanza avrebbero ingiustificatamente asserito che le allegazioni della datrice di lavoro sarebbero state carenti sotto l’aspetto della dimostrazione della insufficienza dell’organico rispetto all’incremento dell’attività aziendale, senza considerare che Equitalia aveva specificato nella causale del contratto di somministrazione che i motivi erano < <legati all’organizzazione degli uffici>>, non potendo prevedere, in concreto, come e dove tali necessità si sarebbero prospettate: pertanto, secondo la società ricorrente, <<la conclusione cui è pervenuta la Corte d’Appello appare del tutto arbitraria, avendo di gran lunga superato i limiti del sindacato giudiziale>>;
che il motivo – che presenta profili di inammissibilità relativamente alla seconda censura per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22/6/2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7/8/2012, n. 134, applicabile, ratione temporis, al caso di specie poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 13.6.2013 – non è fondato relativamente alla prima doglianza; ed invero alla stregua degli ormai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., ord. n. 23513/2017; sentt. nn. 17540/2014; 20598/2013), <<In tema di somministrazione di lavoro, ai sensi degli artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 276 del 2003, la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti, con la conseguenza che la sanzione di nullità del contratto, prevista espressamente dall’art. 21, ult. comma, per il caso di difetto di forma scritta, si estende all’indicazione omessa o generica della causale della somministrazione, con conseguente trasformazione del rapporto da contratto a tempo determinato alle dipendenze del somministratore a contratto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore>>;
che, nella fattispecie, con apprezzamento in fatto del tutto condivisibile ed in linea con il quadro normativo di riferimento e con la consolidata giurisprudenza di legittimità, i giudici di seconda istanza hanno ritenuto che non sussistesse, in concreto, una situazione riconducibile alla ragione indicata nel contratto di lavoro stipulato con il P., risultando per tabulas che il contratto di somministrazione di cui si tratta indica <<generiche ragioni giustificative attinenti all’attività produttiva (“ragioni di carattere organizzativo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”), in ordine alle quali la società ha prodotto allegazioni incoerenti e carenti, peraltro riferibili ad un solo periodo (dal 30.4.2009 al 26.9.2009) e <<lasciando scoperto>> il restante rapporto al 30.9.2010, ed altresì in considerazione del fatto che <<tutte le proroghe non contengono una autonoma indicazione della ragione giustificativa, essendo implicitamente fondate sulla permanenza delle motivazioni contenute nel contratto cui accedono (“ferme restando tutte le condizioni in esso previste, da Intendersi qui integralmente richiamate”)>> che, pertanto, la decisione oggetto del giudizio di legittimità appare dei tutto in linea con i costanti arresti giurisprudenziali nella materia, innanzi riportati e del tutto condivisi da questo Collegio, mancando, nella fattispecie la dimostrazione, da parte della società utilizzatrice, della concreta esigenza alla quale fosse da ricollegare l’assunzione del P. e, dunque, l’esplicitazione del collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta;
che, per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va respinto; che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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