CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 agosto 2021, n. 23530
Attività libero professionale – Avvocato – Obbligo di iscrizione alla Gestione separata – Reddito – Prova a supporto della natura abituale dell’attività
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Bari ha respinto l’appello dell’INPS, confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata accolta la domanda dell’avv. I.P. e dichiarata l’insussistenza dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, l. n. 335/1995, in relazione all’attività libero professionale svolta nell’anno 2010 quale avvocato iscritto all’Albo Forense ma non alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, in ragione del mancato conseguimento del reddito nella misura utile per l’insorgenza del relativo obbligo.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che il dato contabile della percezione, negli anni oggetto di causa, di redditi di importo inferiore ai 5.000,00 euro costituisse “un chiaro indice della natura occasionale (rectius, non abituale) dell’attività, tanto più che l’INPS, su cui incombeva l’onere di provare il fondamento della domanda di pagamento, non (aveva) offerto alcun concreto elemento di prova a supporto della natura abituale dell’attività”.
3. Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria; l’avv. P. ha resistito con controricorso.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
5. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, commi 26 -31, della legge n. 335/1995, dell’art. 18, commi 1 e 2, d.l. n. 98/2011, conv. con mod. dalla legge n. 111/2011, dell’art. 21, comma 8, della legge n. 247/2012, dell’art. 44, comma 2, d.l. 269/2003, conv. con mod. dalla I. 326/2003, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
6. Ha ribadito l’obbligo di iscrizione alla gestione separata per gli avvocati (per i quali non sorga l’obbligo di iscrizione alla cassa forense) che svolgono in modo abituale l’attività professionale, in base al disposto dell’art. 2, comma 26, l. 335 del 1995 cit., come interpretato autenticamente dall’art. 18, comma 12, d.l. 98 del 2011 cit., non venendo in considerazione l’art. 44, comma 2, d.l. 269 del 2003 cit., che disciplina la diversa ipotesi del lavoro occasionale.
7. Ha sostenuto che nel caso di specie, in base al dato pacifico secondo cui l’attuale contiroricorrente svolgeva la professione di avvocato e in mancanza di contestazione sul requisito di abitualità, la Corte di merito avrebbe dovuto affermare il diritto dell’Istituto alla contribuzione pretesa.
8. Il ricorso non può trovare accoglimento.
9. Questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità (Cass. n. 4419 del 2021; n. 12419 del 2021; n. 12358 del 2021).
10. Dirimente, ai fini dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, deve considerarsi, secondo le sentenze richiamate, il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno; con la precisazione che nell’accertamento in fatto del requisito di abitualità possono rilevare “le presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività” oppure, in senso contrario, “la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore ad euro 5.000,00”, senza che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all’interprete come univocamente significativo.
11. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha valorizzato, quale indice negativo di abitualità, la percezione da parte dell’avvocato nei singoli anni in contestazione di un reddito inferiore al limite dei 5.000,00 euro, nonché l’assenza di elementi probatori di segno diverso della cui deduzione era onerato l’INPS.
12. Il motivo di ricorso dell’INPS, che fa leva sul dato pacifico dell’esercizio della professione di avvocato della controparte e sulla mancata contestazione del requisito di abitualità, risulta anzitutto inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo trascritto il contenuto degli atti processuali da cui dovrebbe desumersi l’operare del meccanismo di non contestazione.
13. Non solo, ma lo stesso principio di non contestazione appare invocato in modo improprio, cioè come mancata contestazione della insussistenza del requisito di abitualità. In sostanza l’INPS pretende di considerare pacifico il requisito di abitualità dell’esercizio della professione di avvocato per effetto della allegazione in tal senso fatta dal medesimo Istituto nella memoria di costituzione in primo grado e della omessa contestazione sul punto da parte del ricorrente originario.
Un simile risultato non è perseguibile in base alla corretta applicazione delle norme processuali invocate.
14. Inoltre, l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto, cioè i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, e non si estende alle circostanze che implicano un’attività di giudizio (Cass. n. 11108/07; Sez. 6 n. 6606 del 2016).
15. Il requisito di abitualità, elemento costitutivo della pretesa avanzata dall’INPS nel caso di specie, non ha una dimensione meramente fattuale ma implica un’attività di valutazione e, come tale, si sottrae all’operare del principio di non contestazione.
16. Il motivo di ricorso dell’INPS è infine inammissibile anche perché denuncia un errore di diritto, con specifico riferimento alle disposizioni che disciplinano l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, là dove l’accertamento della abitualità pone una questione di fatto, veicolabile nei ristretti limiti tracciati da questa S.C. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ. (v. Cass., S.U. n. 5083 del 2014).
17. Le considerazioni esposte conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
18. La novità della questione oggetto di causa, affrontata solo di recente dalla giurisprudenza di legittimità, giustifica la compensazione delle spese di lite.
19. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.