CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 agosto 2021, n. 23540
Infortunio sul lavoro – Occasione di lavoro urgente e necessitato – Riconoscimento delle prestazioni assicurative
Rilevato che
la Corte di appello di Ancona, pronunciando in sede di rinvio da Cass. nr. 8415 del 2018, in accoglimento del gravame dell’INAIL, ha rigettato la domanda di M.O., volta ad ottenere il riconoscimento delle prestazioni assicurative per l’infortunio occorso in data 5.3.2006;
avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione M.O., con tre motivi;
l’Inail ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc.civ. ;
Considerato che
con il primo motivo è dedotto – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – error in procedendo, in relazione all’art. 384, comma 2, cod.proc.civ.. Parte ricorrente imputa alla Corte di appello di non aver rispettato il compito affidatole con la precedente pronuncia di annullamento per non aver valorizzato la testimonianza di M.U. secondo cui l’infortunio era accaduto «mentre gli operai (stavano) ultimando la pulizia della strada […] come risultava pure nella sentenza penale prodotta in atti secondo la quale l’infortunio (era) avvenuto in occasione di lavoro urgente e necessitato»;
il motivo è infondato;
esso investe i poteri del giudice del rinvio e, di riflesso, i limiti del sindacato di questa Corte sulla sentenza gravata per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento;
in via generale, deve essere osservato che l’estensione del controllo, da parte del giudice di legittimità, varia in ragione della natura della pronuncia di annullamento ovvero se la stessa sia avvenuta per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a «punti» decisivi della controversia ovvero per entrambe le ragioni. E’ stato affermato che, nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, comma 1, cod.proc.civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nell’ultimo caso, infine, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (per il principio, tra le più recenti, v. Cass. nr. 448 del 2020; cfr. anche Cass. nr. 27337 del 2019);
nel caso di specie, la Corte, con la pronuncia nr. 8415 del 2018, ha cassato la sentenza di appello in accoglimento del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., ratione temporis vigente (e cioè per «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio») e rinviato, per un nuovo esame della fattispecie concreta, alla Corte di merito. A tale riguardo, ha osservato come la motivazione della sentenza impugnata (la nr. 852 del 2012 della Corte di appello di Ancona, pubblicata il 17.8.2012), in punto di ricostruzione del fatto, fosse inficiata sul piano della correttezza del ragionamento logico- giuridico e della completezza dell’esame della prova in relazione all’omesso esame di elementi decisivi controversi tra le parti;
secondo il Collegio di legittimità, il vizio motivazionale era configurabile per «non avere (la Corte di appello) analizzato (sufficientemente) la prova contraria, dalla quale risultava (in particolare dalla testimonianza di M., operaio presente sul posto) che l’infortunio fosse accaduto mentre gli operai stessero ultimando la pulizia della strada (“stavamo ultimando la pulizia quando metà di un altro pino si è spezzato ed è caduto”), come risulta(va) pure nella sentenza penale prodotta in atti, secondo la quale l’infortunio (era) avvenuto in occasione di lavoro urgente e necessitato»;
all’evidenza, la sentenza rescindente non reca con sé un giudizio di (necessario) accertamento del fatto in senso diverso rispetto a quanto ritenuto nella sentenza annullata ma impone esclusivamente al giudice del rinvio una più esaustiva analisi di alcuni elementi di prova, pretermessi nel precedente giudizio di appello e, astrattamente, decisivi ai fini di un diverso esito della lite;
detta analisi, con riferimento, in particolare, all’esame della deposizione del teste U.M., è stata, questa volta, compiuta dalla Corte di appello, con un giudizio che si sottrae al controllo di legittimità. I giudici hanno osservato come il testimone avesse reso dichiarazioni in tempi e con contenuti diversi e, nell’ambito del potere di libero apprezzamento degli elementi di prova, hanno motivatamente utilizzato quelle rese nell’immediatezza dei fatti, senza variazioni quanto all’esito finale della lite;
la sentenza impugnata è, dunque, immune dai mossi rilievi;
con il secondo motivo è dedotto – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – error in procedendo in relazione agli artt. 2727, 2729 cod.civ., 2721 e ss. cod.civ. nonché agli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., per avere la Corte di appello escluso la presenza dell’occasione di lavoro sulla base di una erronea applicazione delle regole in punto di procedimento inferenziale, vieppiù in presenza del comando impartito con l’ordinanza nr.8415 del 2018;
il motivo è inammissibile;
è sufficiente osservare come le censure, sub specie di violazione di legge, mirino ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, inammissibile in questa sede (v., per il principio, Cass., sez. un., nr. 34476 del 2019);
con il terzo motivo è dedotta -ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ.- la violazione dell’art. 92 cod.proc.civ. Si imputa alla decisione di non aver compensato, tra le parti, le spese del processo; anche il terzo motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità; la Corte ha regolato le spese, avuto riguardo all’esito complessivo della lite, in base al principio di soccombenza;
viene, dunque, in rilievo il principio per cui «In materia di procedimento civile, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo (invece) del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare» (per tutte, v. Cass. nr. 26912 del 2020);
sulla base delle svolte argomentazioni„ il ricorso va dunque rigettato;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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