CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2020, n. 8186
Tributi – Revisione classamento – Procedura Docfa – Impianto di risalita a fune con seggiovie destinati alla pratica degli sport invernali – Riconducibilità al trasporto pubblico – Esclusione – Attribuzione categoria D/8 – Legittimità
Fatto considerato che
La società M. s.p.a. impugnava, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Aosta, l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Territorio relativo ad un immobile, consistente in impianto di risalita comprendente seggiovie collegante diverse località, con cui veniva rivisto il classamento, richiesto dalla società con procedura DOCFA, da categoria E/1 in categoria D/8 e, quindi, la relativa rendita catastale.
La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 57/2014, accoglieva il ricorso proposto dalla contribuente assumendo che gli impianti in questione erano utilizzati in modo funzionale al trasporto di persone con impianti a fune,con valenza di servizio pubblico.
L’Agenzia delle Entrate spiegava appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Aosta che, con sentenza n. 35/15, respingeva l’appello dell’Ufficio e l’appello incidentale proposto dalla società contribuente, ritenendo che la classificazione dell’immobile in categoria E non potesse essere negata, né con riferimento alla norme di riferimento, né sulla base della statuizione che le unità in questione non erano funzionale ad un impianto di trasporto pubblico.
Osservava infatti che gli impianti funiviari, per la loro intrinseca caratteristica tecnologica possono essere adibite esclusivamente al trasporto di persone incapaci di avere una autonomia reddituale e funzionale rispetto al trasporto.
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi di ricorso cui resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato la società M. s.p.a.
Diritto ritenuto che
Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata denunciando violazione della L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si afferma infatti che la Ctr non avrebbe fatto buon governo della normativa indicata in rubrica riconoscendo agli impianti di risalita un interesse generale assimilabile ad una stazione nell’accezione di cui all’art. 8, secondo comma, del regolamento approvato con dpr nr 1142/1949.
Si sostiene, in particolare, che gli impianti a fune, destinati alla pratica degli sport invernali non realizzano una funziona di collegamento riconducibile al trasporto pubblico sicché difetterebbero per gli immobili in questione i requisiti per l’inquadramento nella categoria E/1.
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 40 del D.L. 262/2006 e dell’art 8 secondo comma DPR 1142/1949.
Lamenta, in particolare, che le caratteristiche tipiche del servizio pubblico di trasporto non si rinvengono nel trasporto realizzato a meri fini di ludici o sportivi di società private che perseguono un profitto di natura imprenditoriale non qualificabile come esigenza di natura pubblica diretta al soddisfacimento di un bisogno di un interesse generale.
In via preliminare va rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente in relazione alla mancanza di specificità dei vizi dedotti e in riferimento al tenore delle censure che investirebbero il merito più che una violazione di legge.
Occorre, al riguardo, premettere che, – come statuito dalle Sezioni Unite della Corte, – l’onere della specificità (e tassatività) dei motivi di ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) non deve essere inteso “quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di alti testi normativi, comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui al citato art. 360.” (così Cass. Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931 cui adde, ex plurimis, Cass., 23 maggio 2018, n. 12690; Cass., 7 maggio 2018, n. 10862; Cass., 27 ottobre 2017, n. 25557; Cass., 17 dicembre 2015, n. 25386; Cass., 20 febbraio 2014, n, 4036; Cass., 21 gennaio 2013, n. 1370).
La ricorrente non ha violato l’obbligo di specificità denunciando censure di natura strettamente normativa relativa a fatti materiali non oggetto di discussione fra le parti.
I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati.
Giova ricordare che l’impianto di risalita, funivie, sciovie, seggiovie e simili costituiscono strumenti indispensabili per il funzionamento di strutture sportive, quali le piste da sci ed ausiliarie come rifugi, posti di ristoro o pronto soccorso, deposito di attrezzi ecc., allestite dai Comuni per finalità di incremento turistico e di sviluppo economico.
Tali impianti sono soliti avere destinazione esclusivamente commerciale connessa al soddisfacimento di fini ricreativi, sportivi o turistico – escursionistici.
Questa Corte, con riferimento ad impianti di risalita funzionali al servizio di piste sciistiche, e quindi alle sciovie, ha affermato che non sussiste il presupposto del classamento come “mezzo pubblico di trasporto”, che presuppone una pur parziale utilizzabilità della struttura come mezzo di trasporto a disposizione del pubblico, laddove un impianto di risalita svolge un’esclusiva funzione commerciale di ausilio ed integrazione dell’uso delle piste sciistiche (Cass. n. 4541 del 2015; Cass. 3733 del 2015; Cass. n. 6067 del 2017; Cass. n. 1445 del 2017; Cass. n. 1442 del 2017).
Ne consegue che per escludere la categoria catastale “E” occorre che sia esclusa anche la parziale utilizzabilità della struttura come mezzo di trasporto del pubblico.
A tale fine, tuttavia, non assume rilievo l’essere il servizio di trasporto degli utenti della seggiovia oggetto di concessione di pubblico servizio, atteso che gli immobili rientranti nel gruppo “E” sono indicati in maniera analitica e specifica, con metodo casistico che non legittima una estensione a tutti gli immobili di rilevanza pubblica, tanto che anche la categoria residuale E/9 non menziona affatto il requisito della pubblicità, ma fa riferimento alla sola particolarità della destinazione (Cass. n. 23608 del 2008).
Invero, è la destinazione dell’impianto che assume concreto rilievo ai fini del dell’attribuzione della categoria catastale, sicché appare illegittimo, in relazione al disposto del D.P.R n. 1142 del 1949, art. 8, comma 2, l’inquadramento nella categoria E/1 (stazione di trasporto terrestre) dell’impianto a servizio esclusivo di una ben specifica categoria di utenti (gli utilizzatori, per scopi ludico-sportivi delle piste) nel contesto dello svolgimento di un’attività tipicamente ed esclusivamente caratterizzata da fine di lucro. Invece, può costituire ragione di tale attribuzione la circostanza che l’impianto non sia riservato ai praticanti degli sport invernali, essendo anche utilizzabile quale mezzo di trasporto, indispensabile per chiunque voglia accedere a determinati siti montani, a fronte del pagamento della relativa tariffa (Cass. 2019 nr 5075).
Con riferimento a tale specifico aspetto vanno rilevati i predicati vizi di violazione di legge e di motivazione della decisione impugnata, atteso che i giudici dell’adita Commissione, ai fini della corretta interpretazione dei principi esposti, hanno omesso di accertare, in concreto, se le strutture in oggetto siano a servizio esclusivo di una specifica categoria di utenti o se, invece, siano utilizzate come mezzo di trasporto per consentire il raggiungimento di aree del territorio montano, altrimenti inaccessibili e, quindi, in tal caso assumere la funzione pubblica di trasporto, non dissimile da altri impianti e infrastrutture analoghi quali linee filoviarie, funiculari e funiviarie.
Tale accertamento in fatto, inoltre, va coordinato con il disposto normativo di cui al D.L.. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito in L. 24 novembre 2006, n. 286, che è intervenuto sulla materia dell’accatastamento dei beni in categoria E all’art. 2, commi 40, 41, 42, 43, 44, 45. Nella norma è previsto il divieto, per le unità censite sotto le categorie E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 di comprendere “immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale od ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.
Per “autonomia funzionale” si deve intendere la possibilità del bene di essere utilizzato autonomamente rispetto alle altre porzioni immobiliari delle quali è parte, ancorché l’accesso ad esso possa avvenire attraverso spazi comuni ed in orari o con modalità stabilite da regolamenti o disciplinari (art. 1, comma 3). Per “autonomia reddituale”, infine, si deve intendere la capacità del bene di produrre un reddito indipendente ed autonomo rispetto a quello ascrivibile agli altri cespiti ubicati nel complesso immobiliare di cui è parte (art. 1, comma 4). Con riguardo al motivo introdotto in via di ricorso incidentale condizionato ed al dedotto vizio di motivazione degli avvisi di accertamenti la sentenza impugnata si sottrae alla critica che le viene mossa.
Con riferimento all’attribuzione della rendita catastale mediante la procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), questa Corte (Cass. n. 3394 del 2014) ha, condivisibilmente, ritenuto che, in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la indicata procedura, l’atto con il quale l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorché sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio “non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perché la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa”.
Tale principio contrasta, solo in apparenza, con la giurisprudenza (Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui in tali ipotesi l’obbligo di motivazione è soddisfatto mediante la mera indicazione nell’atto di rettifica dei dati oggettivi e della classe attribuiti dall’Agenzia, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell’atto.
Ed invero, questa Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 31809 del 2018, n. 23237 del 2014, n. 21532 del 2013). Nel primo caso, infatti, gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente non disattesi dall’Ufficio risultano immutati, di tal che la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita si riduce ad una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati. In simili ipotesi risulta evidente che la presenza e la adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell’atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso. Diversamente, laddove la rendita proposta con la Dofca non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente, l’Ufficio dovrà, appunto, specificarle per i motivi sopra indicati.
Nel caso in esame la commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione di tali principi, laddove, dopo aver precisato che l’obbligo della motivazione del provvedimento di classificazione di un immobile “deve ritenersi osservato anche mediante la semplice indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’Ufficio e della classe conseguentemente attribuita all’immobile trattandosi di elementi che, in ragione della struttura fortemente partecipativa dell’avviso stesso,sono conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente,il quale mediante il raffronto con quelli indicati nella propria dichiarazione, può comprendere le ragioni della classificazione e tutelarsi mediante il ricorso alle commissioni tributari”.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla CTR di Aosta che in diversa composizione procederà all’accertamento in fatto alla luce dei principi sopra enunciati e alla liquidazione delle spese anche di legittimità ,va invece rigettato il ricorso della contribuente proposto in via incidentale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; rigetta quello incidentale, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR di Aosta, in diversa composizione in relazione ai motivi accolti anche per le spese di legittimità; dà atto, ai sensi del DPR nr 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
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