CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2021, n. 11056
Tributi – Agevolazioni fiscali – Soggetti colpiti dal sisma in Sicilia del 1990 – Rimborso Irpef versata
Rilevato che
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, che aveva respinto l’appello proposto dalla Agenzia nei confronti della sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso proposto da S.B. avverso il silenzio rifiuto sulla richiesta di rimborso da lui avanzata per ottenere la restituzione del 90% delle somme pagate a titolo di Irpef prima dell’1-1-2003 per gli anni 1991 e 1992. Il giudice di appello confermava la sentenza di primo grado in quanto la legge di “stabilità 2015” aveva riconosciuto il diritto al rimborso di quanto indebitamente versato
2. Resta intimato il contribuente.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 111, comma 6, Costituzione, art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., art. 118 disposizioni di attuazione c.p.c., nonché articoli 1, comma 2, 36, comma 2, numeri 2 e 4, 53 e 54 del decreto legislativo n. 546 del 1992 (in relazione all’art. 360, comma 1, numeri 3:04, c.p.c.)”, in quanto la sentenza sarebbe sorretta da una motivazione inesistente o, quantomeno, apparente, sicché sarebbe affetta da nullità. In particolare, secondo la ricorrente il giudice di appello non avrebbe esposto adeguatamente le ragioni di fatto e di diritto che giustificavano la decisione adottata. Ciò, anche in relazione alla circostanza che la Commissione regionale non ha risposto in alcun modo alla censura riportata nei motivi di appello, per cui la legittimazione attiva a chiedere il rimborso delle somme versate spettava in via esclusiva ai sostituti d’imposta, e non ai sostituiti.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Invero, la sentenza del giudice d’appello e supportata da una motivazione sufficiente, che ha affrontato le questioni salienti in relazione alla richiesta di rimborso, pervenuta da un lavoratore dipendente che aveva pagato interamente le imposte, prima dell’entrata in vigore dell’art. 9, comma 17, della legge 289/2002, ma che, successivamente, ha chiesto il rimborso del 90% delle stesse, ossia nella misura eccedente la misura del 10 % da pagare in ogni caso, stabilita per chi non le aveva versate.
La motivazione, dunque, è presente non solo graficamente, ma anche nelle sue componenti essenziali, ravvisandosi in modo piano le ragioni ed il procedimento logico utilizzato dal giudice a sostrato della soluzione adottata.
Né si può sostenere che la mancata pronuncia su uno dei motivi d’appello possa inficiare la motivazione del giudice del gravame, in modo sì grave da farla ritenere meramente apparente o inesistente.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 27 dicembre 2002, nonché dell’art. 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)”, in quanto la legge n. 190 del 23-12-2014 all’art. 1 comma 665 ha previsto che i soggetti colpiti dal sisma del dicembre 1990, che “hanno versato” le imposte nel triennio 1990-92 per un importo superiore al 10 % previsto dall’art. 9, comma 17, della legge 289/2002, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività di impresa, per i quali l’applicazione è sospesa nelle more della verifica di compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione della presentazione della istanza di rimborso entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge 31/2008. Pertanto, deve intendersi escluso il “sostituito” perché non obbligato ex lege al versamento delle ritenute. Soltanto il “sostituto” di imposta, per i redditi da lavoro dipendente, è obbligato al versamento all’erario delle ritenute d’acconto, sicché solo il “sostituto” è legittimato in astratto a chiedere il rimborso, mentre il “sostituito” non ha diritto ad alcun rimborso.
2.1. Tale motivo è infondato.
2.2. Invero, per questa Corte (Cass., 29 luglio 2015, n. 16105; Cass., sez.un., 26 giugno 2009, n. 15032; Cass., sez. 6-5, 22 febbraio 2018, n. 4291), in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto d’imposta”), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”).
Si è, inoltre, affermato che, in materia di condono fiscale, l’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che consente al contribuente di recuperare il 90 per cento di quanto dovuto e versato per imposte (con esclusione dell’I.V.A., la cui condonabilità è incompatibile con il diritto comunitario), in deroga al principio per cui la sanatoria generalmente non comporta la possibilità di ottenere rimborsi dallo Stato, costituisce una disposizione rispondente ad una logica del tutto particolare e diversa rispetto agli altri provvedimenti di sanatoria, che mira ad indennizzare i soggetti coinvolti in eventi calamitosi (Cass., 12083/2012; Cass., 26 settembre 2016, n. 18905).
Pertanto, il diritto al rimborso deve ritenersi attribuito al soggetto passivo dell’imposta in senso sostanziale, e non anche al mero sostituto d’imposta, apparendo al riguardo non vincolante il diverso parere contenuto nelle circolari dell’Amministrazione (Cass., 26 settembre 2016, n. 18905). Invero, la domanda di rimborso ai sensi dell’art. 9, comma 17, della I. n. 289 del 2002 – riguardante la definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991, e 1992 a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa – può essere proposta soltanto dal soggetto passivo in senso sostanziale, unico legittimato, e non anche dal sostituto d’imposta, come avallato dal legislatore con I. n. 123 del 2017, trattandosi di sanatoria volta a indennizzare i soggetti coinvolti in eventi calamitosi (Cass., sez. 5, 28 febbraio 2020, n. 5498; Cass., n. 15252 del 2016).
Deve, dunque, affermarsi che il lavoratore, che si identifica con il contribuente, vanta e può esercitare il diritto al rimborso delle somme indebitamente ritenute alla fonte e versate dal datore di lavoro, restando del tutto indifferente ai fini della spettanza del beneficio la circostanza che la somma, oggetto di richiesta di rimborso, sia stata versata tramite ritenute operate dal sostituto d’imposta.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 9, comma 17, legge n. 289 del 2002; articoli 11:14 preleggi; art. 3, comma primo, legge 212 del 2000; art. 3, comma 3, decreto legislativo n. 472 del 1997; art. 2033 codice civile (in relazione all’art. 360 n. 3, c.p.c.)”, in quanto non può essere condivisa la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale i contribuenti che hanno versato somme maggiori di quelle previste dall’art. 9, comma 17, legge n. 289 del 2002, possano chiedere il rimborso delle somme versate in eccesso, rispetto alla soglia del 10% fissata dalla norma, quale porzione di somme che devono essere versate dei soggetti che non hanno pagato le imposte nel periodo di riferimento. In realtà, secondo la ricorrente, l’art. 9, comma 17, prima parte, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003, stabilisce esclusivamente che la riduzione del carico fiscale è disposta per le imposte non versate per effetto della sospensione di legge e ancora dovute. Nel caso, invece, in cui alla data di entrata in vigore della disposizione, non vi era più nulla da pagare (perché il contribuente, o meglio il sostituto d’imposta, aveva già versato l’intero importo dovuto), il beneficio risulterebbe inapplicabile, dovendosi ritenere rapporto tributario esaurito e non più pendente.
3.1. Tale motivo è infondato.
3.2. Invero, questa Corte, con decisioni univoche, cui si intende dare seguito, senza che peraltro la ricorrente abbia elaborato nuove argomentazioni, ha ritenuto che, in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dall’art. 9, comma 17, della I. n. 289 del 2002, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, essa può avvenire con due modalità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto “ex post” (Cass., sez. 5, 28 febbraio 2020, n. 5498; Cass., 21 febbraio 2019, n. 5113; Cass.Civ., 22 febbraio 2018, n. 4291 che ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso della Agenzia delle entrate, non avendo superato lo scrutinio di ammissibilità di cui all’art. 360 bis, primo comma, n. 1, c.p.c.; Cass.Civ., 1 ottobre 2007, n. 20641; Cass.Civ., 11247/2010 con riferimento ai contributi previdenziali dovuti dai soggetti colpiti dall’alluvione della città di Alessandria del novembre 1994; Cass.Civ., 3832/2012, in relazione ai soggetti colpiti dall’alluvione del Piemonte).
Tra l’altro, l’art. 16 octies comma 1 lettera b) della legge 123/2017, di conversione del d.l. 91/2017, ha modificato l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, specificando espressamente che tra “i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, […], che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dall’art. 9, comma 17, della legge 289/2002, e successive modificazioni” e che “hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, […] al rimborso di quanto indebitamente versato”, sono “compresi i titolari di redditi da lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite ” (cfr. anche Cass., sez. 5, 26 febbraio 2020, n. 5167, che ha ritenuto che l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 – legge di stabilità 2015 – costituisce norma di interpretazione autentica).
Il contribuente è un lavoratore subordinato, sicché è indubbia la spettanza del diritto al rimborso delle somme da lui versate in eccesso.
A conferma di tale orientamento, e quindi in ordine alla effettiva spettanza del rimborso ai lavoratori dipendenti si è espressa anche l’Agenzia delle entrate nel provvedimento direttoriale, prot. N. 195405/2017 del 26 settembre 2017, emesso ai sensi del terzo periodo del novellato comma 665 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, che prevede che “con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma”.
Al riguardo, si rileva che, invariata la previsione del limite di spesa fissato nella misura “pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017”, la novella introdotta dalla legge n. 123 del 2017, art. 16 octies, comma primo, si è limitata a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati “nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma” (primo periodo del comma 665 modificato da A citato art. 16 octies, comma 1), ovvero nei limiti dei suddetti 90 milioni di euro complessivi per il triennio 2015-2017, stabilendo che “in relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuate applicando la riduzione percentuale del 50% sulle somme dovute” e che “a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi” (quinto periodo del comma 665 come introdotto dalla B del citato art. 16 octies, comma 1), demandando al direttore dell’Agenzia delle entrate l’emanazione di un provvedimento che stabilisca “le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma”, in precedenza riservando il citato comma 365 al Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione di un “decreto” con cui stabilire “i criteri di assegnazione dei predetti fondi”.
Si ritiene, dunque, che tale ius superveniens, attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale, non incide sulla questione della quale è investita la Corte con il ricorso in esame, ovvero del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, quale è l’intimato, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui conseguenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza.
Tra l’altro, costituisce ius receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (Cass., sez. 6-5, 22 febbraio 2018, n. 4291; Cass., sez.5, 24 aprile 2015, n. 8373, in tema di Iva).
3.3. Solo per i titolari di attività di impresa e gli imprenditori valgono principi diversi, essendo peraltro l’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, inapplicabile all’Iva (Cass., sez. 5, 24 luglio 2018, n. 19577).
Invero, per questa Corte (Cass., sez. 6-5, 8 febbraio 2018, n. 30709, in tema di aiuti di Stato erogati ad un’impresa, o ad un professionista, che svolge infatti una attività economica per il diritto unionale; in tal senso Cass., 11 luglio 2018, n. 18246; Cass., sez. 5, 27 novembre 2019, n. 30927; Cass., sez. 6-5, 26 giugno 2019, n. 17199) per calamità naturali, il giudice nazionale è tenuto a verificare, se il beneficio supera la soglia “de minimis” di cui all’art. 92 del TFUE (e del regolamento applicabile), la ricorrenza delle condizioni che rendono gli stessi compatibili con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, § 2, lett. b), del TFUE§], ovvero che siano destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale: ne deriva che il beneficiario, sul quale grava il relativo onere probatorio, deve avere la sede operativa nell’area colpita dalla calamità al momento dell’evento e che deve essere evitata una sovra-compensazione dei danni subiti dall’impresa, scorporando dal pregiudizio accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto).
2.In assenza di attività difensiva da parte dell’intimato non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità.
3. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550; Cass., n. 889/2017).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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