CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2021, n. 11086
Tributi – Accertamento – Avvocato – IRAP – Autonoma organizzazione – Utilizzo di due studi per l’esercizio dell’attività
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto da A.S.M., Avvocato, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n. 291/2011), che aveva respinto il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento ai fini Irap, Irpef ed Iva, emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate per l’anno 2005. In particolare, dalla documentazione emergeva che le prestazioni dell’Avvocato M. risultavano fatturate per euro 320.000,00 allo studio legale associato D.-M.-G. di piazza B., Milano, e per euro 5.942,02 a terzi; inoltre, i costi per l’utilizzo dello studio di piazza Castello, Milano, ammontavano ad euro 243.000, oltre Iva, fatturati dallo studio legale associato D.-M.-G. e per ulteriori euro 50.000 oltre spese condominiali per euro 2.765,51 ed Iva, relativi al periodo data 10 novembre 2005 al 31 dicembre 2005, dalla locatrice B. Srl. Pertanto, secondo il giudice di appello l’attività professionale del contribuente era svolta quasi esclusivamente nell’ambito dello studio legale associato D.-M.-G., di Piazza B. Milano, e non in piazza C. a Milano, mentre le spese oggetto di contestazione non erano inerenti ed erano elevate, sì da non costituire il minimo necessario per l’esercizio dell’attività.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.
3.L’agenzia delle entrate si “costituisce” ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in combinato disposto con l’art. 61 del d.lgs. n. 546/1992 e con l’art. 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, comma 1, c.p.c.)”, in quanto la sentenza di secondo grado sarebbe stata emessa in assenza degli elementi prescritti normativamente per la sua validità, ed in particolare mancherebbe dell’esposizione dello svolgimento del processo.
1.1. Invero, per questa Corte , in tema di contenuto della sentenza, la concisione della motivazione non può prescindere dall’esistenza di una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione (Cass., 15 novembre 2019, n. 29721; Cass., sez. 6-5, 20 gennaio 2015, n. 920).
Nella specie, nonostante l’assoluta stringatezza della motivazione, che si articola in poche decisive battute, emerge, però, il percorso argomentativo del giudice di appello che richiama gli elementi decisivi per la soluzione della controversia, rendendo accessibile il contenuto della controversia e la ratio decidendi.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)”, in quanto il giudice di appello avrebbe ritenuto erroneamente che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento era stato assolto, avendo posto il contribuente in condizione di contestare validamente la pretesa tributaria. La Commissione tributaria provinciale aveva omesso di pronunciarsi completamente in ordine al motivo di doglianza riferito all’assenza di motivazione dell’atto impositivo, in quanto privo delle specifiche ragioni di fatto e di diritto in base alle quali l’ufficio aveva determinato maggiori imposte. Con l’appello il contribuente aveva riprodotto il contenuto dell’avviso di accertamento con cui era stata determinata una maggiore imposta per Irpef, addizionali, Irap ed Iva complessivamente pari ad euro 37.954,00, oltre sanzioni ed interessi. Il giudice di appello si è pronunciato sull’eccezione respingendola, ma tale sentenza è stata resa in violazione degli articoli 7 della legge n. 212 del 2000, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, i quali dispongono che l’avviso di accertamento debba essere motivato a pena di nullità in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni di diritto che lo hanno determinato.
2.1. Tale motivo è infondato.
2.2.Invero, per questa Corte l’art. 42, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 richiede l’indicazione nell’avviso di accertamento non soltanto degli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, al fine di porre il contribuente in condizione di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur”. Tali elementi conoscitivi devono essere forniti non solo tempestivamente (“ab origine” nel provvedimento) ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (Cass., sez. 5, 24 luglio 2014, n. 16836). Infatti, la motivazione dell’avviso di accertamento assolve ad una pluralità di funzioni atteso che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, consente una corretta dialettica processuale, presupponendo l’onere di enunciare i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, e la presenza di leggibili argomentazioni dell’atto amministrativo, contrapposte a quelle fondanti l’impugnazione, e, infine, assicura, in ossequio al principio costituzionale di buona amministrazione, un’azione amministrativa efficiente e congrua alle finalità della legge, permettendo di comprendere la “rado” della decisione adottata (Cass., sez. 5, 17 ottobre 2014, n. 22003). Si è chiarito che la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dall’art. 7 della legge 27 luglio 2002, n. 212, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’ “an” ed il “quantum” della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicché il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze, mentre le questioni attinenti all’idoneità del criterio applicato in concreto attengono al diverso piano della prova della pretesa tributaria (Cass., sez. 5, 7 maggio 2014, n. 9810).
2.3.Nella specie, dal tenore dell’avviso di accertamento, ritualmente trascritto nel ricorso per cassazione, emerge che l’Agenzia delle entrate ha indicato con precisione gli elementi da cui ha desunto la non inerenza di alcune spese sostenute dal contribuente ed i presupposti per l’applicazione dell’Irap per l’anno 2005.
In particolare, nell’avviso si precisa che alcuni costi non erano inerenti (” costi non inerenti per euro 4999,50…in quanto, non potendo annoverarsi fra quelli funzionali alla produzione del reddito e non trovandosi in rapporto di stretta correlazione con l’attività di ricavo imponibile (rapporto di causa-effetto), sono da inquadrarsi nel novero delle spese e/o liberalità non inerenti a favore di terzi..”).
Quanto ai costi non documentati per euro 50.000, si chiarisce che il contribuente “ha dedotto l’importo di euro 50.000 relativo alla locazione dell’immobile adibito a studio del periodo 10 novembre 2005-31 dicembre 2005. Come si evince dal suddetto valore si rileva chiaramente l’aspetto antieconomico dell’operazione effettuata, suffragata inoltre dalla carente documentazione attestante la certezza requisito obbligatorio e fondamentale per la deducibilità del costo…”.
Nella prima parte dell’avviso, peraltro, si evidenzia che il contribuente, “esercente l’attività di avvocato”, era stato selezionato in base ad una lista locale di iniziativa dell’Ufficio relativa a professionisti che non avevano presentato la dichiarazione ai fini Irap. Si è costatato che nell’anno d’imposta 2005 erano state dedotte spese documentate per un totale di euro 310.970,00.
Pertanto, da quanto sopra esposto emerge che l’avviso di accertamento era munito di idonea e completa motivazione.
3.Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, nonché dell’art. 2697 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)”, in quanto con il ricorso introduttivo si era dimostrato che le spese sostenute dal contribuente erano riferibili, in parte all’acquisto di mobili per l’ufficio avvenuto nell’anno 2004, ed a tale anno assoggettate alla procedura di ammortamento, in parte al canone di locazione di un posto auto e delle relative spese condominiali (contratto stipulato in data prima dicembre 2004 con la G.P. s.p.a.), in parte ancora all’immobile condotto in locazione “adibito a studio”, nel periodo 10 novembre 2005-31 dicembre 2005 (contratto stipulato in data 5 dicembre 2005, con decorrenza dal 10 novembre 2005 e registrato presso l’agenzia delle entrate di Busto Arsizio in data 7 dicembre 2005; fattura emessa dalla proprietà). Secondo il giudice d’appello tutte le spese sopra indicate non sono deducibili in quanto l’attività professionale è stata svolta quasi esclusivamente nell’ambito dello studio legale associato D.-M.-G. di piazza B. a Milano, e non in piazza C. a Milano. Tale conclusione violerebbe il disposto di cui all’art. 109, comma cinque, d.P.R. n. 917 del 1986, in quanto il criterio dell’inerenza comporta che un costo è deducibile ove esso sia ontologicamente riferito l’attività di impresa. I costi, dunque, sarebbero deducibili trattandosi di spese sostenute per l’immobile adibito ad uso professionale e, quindi, oggettivamente connessi all’attività esercitata, indipendentemente dal fatto che “il ricorrente ritraesse la maggior parte dei suoi compensi dell’attività prestata per un altro studio professionale”. Ben poteva, dunque, il contribuente svolgere la propria attività a favore della struttura professionale utilizzando un proprio immobile che conduceva in locazione che era, appunto, adibito a studio professionale. Inoltre, il giudice di appello avrebbe violato il disposto dell’art. 2697 c.c., perché l’Ufficio si sarebbe limitato a mere asserzioni basate sui dati numerici esposti nella dichiarazione, non essendo state fornite le prove per le quali le quote di ammortamento di beni strumentali o i canoni di locazione di immobili ad uso ufficio non sarebbero deducibili dal reddito di un professionista che ha destinato tali beni alla propria attività.
3.1. Tale motivo è infondato.
3.2.Nella specie, l’Agenzia delle entrate ha contestato l’antieconomicità e la non congruità del costo, in quanto il canone mensile del contratto di locazione era stato stipulato per la somma esorbitante di euro 50.000,00, per il limitato periodo dal 10 novembre 2005 sino al 31/12/2005, con un contratto peraltro concluso solo in data 5 dicembre 2005 e registrato il 7 dicembre 2005, con decorrenza dalla data anteriore.
Inoltre, il giudice di appello ha chiarito che il contribuente esercitava l’attività di Avvocato quasi esclusivamente per conto dello studio professionale D.- M.-G. di piazza B. a Milano, con prestazioni da lui fatturate nei confronti di tale studio per euro 320.000,00 mentre le prestazioni residue ammontavano ad appena euro 5942,02. Per tale ragione i costi per l’utilizzo dello studio di piazza C. a Milano, ammontanti a quasi euro 300.000,00 non erano inerenti all’attività professionale, proprio per gli importi esorbitanti rispetto alle minime prestazioni rese in favore dei terzi.
3.3.Di fronte a tali importanti allegazioni dell’Amministrazione e, quindi, ad argomentate e puntuali contestazioni, il contribuente, cui incombeva l’onere della prova della inerenza dei costi per smentire le contestazioni dell’Ufficio (Cass., 16 novembre 2011, n. 24065; Cass., 9 agosto 2006, n. 18000; Cass., 25 febbraio 2010, n. 4554; Cass., 26 aprile 2017, n. 10269; Cass., 5 maggio 2011, n. 9892; Cass., 16 maggio 2007, n. 11205; Cass., 30 maggio 2018, n. 13588, che valorizza il principio di “vicinanza alla prova”), non ha dimostrato in alcun modo l’inerenza di tali costi, ma si è limitato a riferire, come riportato nella motivazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che avendo egli clientela di notevole importanza, era indispensabile accoglierla in uno studio di un certo prestigio, sicché l’economicità dell’operazione doveva “parametrarsi” anche in termini di immagine.
4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)”, in quanto il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere il contribuente assoggettabile all’Irap per l’esistenza di una autonoma organizzazione. In realtà, è soggetto all’Irap soltanto chi ha investito capitali e si sia avvalso di dipendenti e collaboratori, così da integrare il requisito dell’autonoma organizzazione. Non vi è, invece, autonoma organizzazione se l’attività professionale e imperniata esclusivamente sulla persona del professionista, supportata da quel minimo di beni strumentali indispensabili e di corredo all’attività. Il mero richiamo all’ammontare delle spese sostenute non può essere sufficiente al fine di configurare una autonoma organizzazione.
L’entità dei costi sostenuti, infatti, va calibrata sulla tipologia dei beni strumentali adoperati, sul loro concreto utilizzo, nonché sulle peculiarità della specifica professione e delle relative modalità di svolgimento. Nella specie, le spese di notevole entità hanno riguardato soprattutto il canone di locazione dello studio, mentre non vi erano spese per dipendenti e collaboratori.
4.1. Tale motivo è infondato.
4.2.Invero, per questa Corte a sezioni unite, il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451; Cass., n. 22468 del 2015). È stata esclusa, quindi, l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi (Cass., sez. 5, 5 settembre 2014, n. 18749), come pure nel caso di compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi (Cass., sez. 6-5, 8 novembre 2016, n. 22695), nonché per l’attività svolta da un tirocinante, atteso che la funzione della pratica e l’apprendimento e non il potenziamento della produttività dello studio (Cass., sez. 6-5, 8 novembre 2016, n. 22705).
Inoltre, si è chiarito, in tema di Irap nel caso di attività professionale, che tale imposta coinvolge una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al Know-how del professionista (dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto)”; cosicché è “il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista.., ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale (Cass., 6-5, 12 dicembre 2019, n. 32510; Cass., 26 settembre 2018, n. 22969; Cass., n. 17754 del 2008; Cass., sez.un., n. 12109 del 2009; Cass., n. 23370 del 2010; Cass., n. 16628 del 2011;).
4.3. Con particolare riferimento alla locazione dello studio professionale da parte dell’avvocato, si è ritenuto che non è soggetto ad Irap il professionista che svolga l’attività all’interno di una struttura altrui (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21150), in tal caso difettando autonomia organizzativa, che è presupposto dell’imposta; con la precisazione che la locazione di uno studio, da parte di un avvocato, l’utilizzazione di software per il collegamento ad una banca dati, la formazione di un archivio, non costituiscono elementi idonei a configurare la sussistenza dei presupposti impositivi, poiché detti elementi, quali che siano il loro valore o le loro caratteristiche, rientrano nelle attrezzature usuali, o che dovrebbero essere usuali, per il suddetto professionista” (Cass., 6-5, 12 dicembre 2019, n. 32510; Cass., 26 settembre 2018, n. 22969, cit.; Cass., 28 giugno 2017, n. 16072; Cass., sez. 6-5, 28 dicembre 2012, n. 24117; Cass., n. 9692 del 2012; Cass., n. 13048 del 2012).
4.4. Non rileva, poi, l’entità dei compensi conseguiti dal professionista (Cass., sez. 5, 8 novembre 2018, n. 26681).
4.5. Tuttavia, nella specie, il giudice d’appello, con motivazione fondata sull’esame diretto delle risultanze istruttorie, ha accertato, con congruo giudizio di merito, che il contribuente svolgeva la parte preponderante della sua attività in favore dello studio associato D.-M.-G. di piazza B., a Milano, di cui evidentemente faceva parte, fatturando nei confronti dello stesso somme per euro 320.000,00. Solo una parte minima dei suoi compensi era fatturata nei confronti di terzi (euro 5.942,02). I costi per l’utilizzo dello studio di piazza C. a Milano, ammontanti ad euro 243.000, oltre Iva, erano fatturati dallo studio legale associato D.-M.-G. nei confronti del contribuente. Inoltre, la somma di euro 50.000,00 atteneva al pagamento del canone di locazione da parte del contribuente dello studio sito a Milano, in piazza C., per il periodo dal 10 novembre 2005 al 31 dicembre 2005, con locatrice la B. Srl.
Pertanto, è pacifico, in atti, che il contribuente abbia utilizzato per la sua attività professionale due studi, dando così dimostrazione della sussistenza dell’autonoma organizzazione, per le ragioni che seguono. Infatti, come ritenuto dal giudice di merito, con valutazione sufficientemente motivata, risulta “che l’attività professionale sia stata svolta quasi esclusivamente nell’ambito dello studio legale associato D.-M. G. di Piazza B. Milano”. Va però evidenziato che il contribuente ha utilizzato anche lo studio di piazza C. a Milano, benché le spese dichiarate per la locazione risultino del tutto sproporzionate, in quanto ammontano solo per l’anno 2005 a circa € 300.000,00, di cui € 50.000, solo nel mese da novembre a dicembre del 2005.
Pertanto, l’autonoma organizzazione risulta sia dalle somme esorbitanti erogate per il pagamento dei canoni di locazione dell’anno 2005, sia dall’utilizzo di due studi da parte del contribuente. Uno studio, infatti, è stato utilizzato proprio nell’ambito dello studio legale associato cui il ricorrente partecipava direttamente (D.-M.-G.); l’altro è stato utilizzato in via esclusiva dal M..Peraltro, sebbene l’uso di uno studio non sia di per sé indice dell’esistenza di autonoma organizzazione, costituisce però oggetto dell’accertamento di fatto del giudice di merito, che deve valutare anche il profilo delle dimensioni e delle caratteristiche dello studio, poste in relazione al normale svolgimento di quella specifica attività, la verifica della “eccedenza” del bene strumentale rispetto al “minimo indispensabile per l’esercizio di attività in assenza di organizzazione” (Cass., 28 giugno 2017, n. 16072, in relazione ad un ragioniere).
L’utilizzo di due studi, ed in particolare di uno studio con costi di locazione per la somma di circa euro 300.000 l’anno, con euro 50.000 versati solo per il mese novembre-dicembre del 2005, non può essere ritenuto, come affermato dal giudice del merito, una spesa rientrante nel “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività di avvocato.
4.6. Per questa Corte, in caso di utilizzo di tre studi professionali da parte di un medico, seppure con impiego di beni strumentali di elevato ammontare, il professionista appare impiegare beni strumentali potenzialmente eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività (Cass., 7495/2018; in conformità Cass., 25720/2014, anche se si trattava di 2 studi e 4 centri sanitari; Cass., 19011/2016, con tre studi anche per consulenze private; Cass., 17742/2016, in caso di pluralità di studi, dotati ciascuno di beni strumentali di natura elevata; Cass., 25720/2014; Cass., 10240/2010; Cass., 17569/2016, in caso di due studi con il possesso di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile; mentre Cass., 2967/2014 ha negato l’applicazione dell’irap in caso di utilizzo di due soli studi professionali).
Il contribuente può poi allegare e dimostrare la presenza di peculiari situazioni e specifici bisogni territoriali eventualmente trascurati dal giudice di merito (Cass., 18 gennaio 2017, n 7459; Cass., 7 dicembre 2016, n. 25238) per l’utilizzo di più studi.
4.7. Peraltro, il contribuente risulta inserito all’interno dello studio professionale D.-M.-G., al quale fatturava la maggior parte delle proprie prestazioni professionali, sicché, utilizzava anche l’organizzazione dello studio legale cui apparteneva.
In tal senso, questa Corte ha ritenuto sussistente l’Irap nei confronti dei tassisti organizzati in cooperativa, in ragione delle specifiche modalità di esercizio dell’attività, integrata dall’apporto qualificante della stabile struttura societaria, che assicurava al singolo tassista, in via atipica e costante, continuità di lavoro, migliori condizioni economico-professionali, centralizzazione della raccolta pubblicitaria, assistenza amministrativa e fiscale (Cass., sez. 5, 18 settembre 2013, n. 21326).
Si è chiarito che per la soggezione ad Irap dei proventi di un lavoratore autonomo è necessario che la struttura organizzativa di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo.
Pertanto, è stata cassata la sentenza di merito che aveva riconosciuto la soggettività passiva all’imposta di un avvocato che, collaborando presso importanti studi legali, ne aveva utilizzato la struttura organizzativa, traendo le utilità (Cass., sez. 6-5, 16 febbraio 2017, n. 4080).
Nella specie, però, è evidente che il contribuente si è avvalso della struttura organizzativa dello studio cui lo stesso partecipava, non trattandosi di studio altrui.
5. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità, in quanto la controricorrente non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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