CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2021, n. 11109
Rapporti di collaborazione coordinata e continuativa – Indici di qualificazione della subordinazione – Osservanza di un orario di lavoro e retribuzione fissa
Rilevato che
1. La Corte di appello dell’Aquila, con sentenza n. 97/2017, confermava la pronuncia del Tribunale di Teramo che aveva dichiarato l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato di S.A. alle dipendenze della A. s.r.l. e condannato quest’ultima a riammettere la ricorrente nel posto di lavoro in precedenza occupato, con inquadramento quale impiegata d’ordine – IV livello – del CCNL del settore terziario.
2. La Corte di appello rigettava la censura della società appellante relativa alla inesistenza/nullità della notifica del ricorso introduttivo, sollevata sul rilievo che la notifica era stata eseguita in Roma, via (…), mentre all’epoca la sede legale della società era in via (…). Osservava, per quanto ancora qui rileva, che la consegna, come da documentazione allegata da parte appellata, era stata effettuata al portiere dello stabile, il quale aveva ricevuto l’atto senza ulteriori dichiarazioni e ciò era sufficiente a far ritenere che questi fosse stato autorizzato dalla società a ricevere gli atti.
3. Nel merito, la Corte di appello premetteva che tra le parti erano intervenuti tre contratti dal 1.1.2003 al 28.2.2003, dal 1.3.2003 al 30.6.2003 e dal 1.7.2003 al 31.12.2003, qualificati come di “prestazione d’opera occasionale”, aventi ad oggetto “attività di caricamento dati e/o sopralluoghi e ricezione delle eventuali osservazioni del contribuente”, nonché cinque contratti (di proroghe) di collaborazione coordinata e continuativa, il primo dei quali dal 1.1.2004 al 30.6.2004, avente ad oggetto “elaborazione dati ai fini TARSU e ICI e ricezione eventuali osservazioni del contribuente nel Comune di Teramo”; il secondo dal 12.7.2004 al 31.12.2004, il terzo dal 17.1.2005 al 30.3.2005, prorogato al 31.5.2005, il quarto dal 1.6.2005 al 31.8.2005, successivamente più volte prorogato fino al 31.12.2006, e l’ultimo contratto dal 1.1.2007 al 30.6.2007, prorogato più volte fino al 30.6.2008, tutti con la causale “verifica, accertamento, elaborazione dati, produzione avvisi e ricezione dei contribuenti per l’ICI e TARSU, funzionale alla realizzazione del progetto Equità fiscale e controllo del territorio per la verifica, accertamento tributario e costituzione banca dati per un SIT per il Comune di Teramo”.
4. Tanto premesso, osservava che:
a) quanto ai rapporti qualificati di prestazione occasionale, susseguitisi senza soluzione di continuità con identità di causale, si era in presenza di un unico rapporto dal gennaio al dicembre 2003;
b) per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, stipulati in applicazione dell’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, era carente il presupposto costituito dall’esistenza di un programma o progetto, non potendo questo identificarsi in un mero mansionario, quale desumibile dall’esame dei contratti;
c) la prova testimoniale aveva confermato che l’attività assegnata alla ricorrente era svolta sotto la direzione del sig. Cornacchia, il quale controllava che i collaboratori svolgessero le mansioni loro affidate, disponeva la ripartizione del lavoro, dava indicazioni sulle modalità di espletamento dello stesso e provvedeva alla successiva verifica;
d) vi erano altri indici di qualificazione della subordinazione, quali l’obbligo di osservanza di un orario di lavoro, la retribuzione fissa, la detrazione delle giornate di assenza;
e) correttamente il primo giudice aveva applicato, quale parametro per la retribuzione, il CCNL terziario, in luogo della diversa normativa contrattuale indicata da parte resistente, in quanto l’attività svolta dalla società appellante in favore delle pubbliche amministrazioni non si indentificava nella semplice elaborazione dati, ma riguardava l’attività di riscossione, accertamento e liquidazione dei tributi e la prestazione di altri servizi di supporto; neppure poteva essere applicato il contratto collettivo “per i servizi fiduciari”, ossia il contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale dipendente da imprese esercenti servizi ausiliari, fiduciari e integrati resi alle imprese pubbliche e private, il cui campo di applicazione, secondo l’elencazione ivi contenuta, riguarda una serie di attività ben diverse da quelle svolte dalla società appellante.
5. Per la cassazione di tale sentenza A. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Ha resistito S.A. con controricorso.
6. La controricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.l cod. proc. civ..
Considerato che
7. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., n. 137 e 145 cod. proc. civ. e 7 legge 890 del 1982 in relazione all’art. 139 cod. proc. civ..
La ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto valida la notifica del ricorso eseguita a mezzo posta con consegna al portiere, pur essendo stata violata la procedura di cui al citato art. 7, che impone la consegna a mani del destinatario e, solo in caso di impossibilità di tale consegna, alle persone abilitate, adempimenti che non risultano essere stati espletati. Soggiunge che, in caso di consegna al portiere, l’agente postale deve darne notizia al destinatario a mezzo di lettera raccomandata e anche tale adempimento non era stato osservato.
8. Il secondo motivo denuncia “vizio di motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.”, per avere la sentenza erroneamente addebitato alla società la prova di non avere conferito l’incarico al portiere, pur essendo tale prova superflua, una volta appurato che la notifica era stata eseguita presso uno stabile diverso da quello in cui aveva sede la società, e per avere tratto argomenti di prova anche dal sito internet della società, da cui risultava ancora indicata la sede di via (…).
9. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 354 cod. proc. civ. e art. 101 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., per avere la sentenza premesso che avrebbe potuto ritenersi nulla la notificazione con rimessione della causa al primo giudice, senza poi dare corso a tale statuizione, così violando il principio del contraddittorio.
10. Il quarto motivo denuncia “violazione ed erronea applicazione del d.lgs. 276 del 2003, vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per omessa e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo”.
Assume la società ricorrente che l’attività della collaboratrice era consistita in una fase di lavorazione intermedia della più ampia attività societaria (articolata in fase di acquisizione dati, inserimento dati e verifica, fase amministrativa e fase della riscossione) e che la sentenza non si era fatta carico di esaminare il contenuto della fase demandata alla ricorrente, consistente nella verifica e comparazione dei dati dichiarati od omessi dal contribuente rispetto a quelli acquisiti dalla società, e neppure aveva chiarito per quale motivo tali attività costituissero solo “mansioni” e non invece un segmento di lavoro affidato nella forma della collaborazione.
Argomenta – in sintesi – che non vi era eterodirezione, ma solo direttive generali impartite da un professionista esterno che coordinava il lavoro della ricorrente, né vi era l’inserimento della collaboratrice nella organizzazione societaria, poiché la A. svolgeva la prestazione all’interno degli uffici del Comune di Teramo.
La ricorrente ripercorre gli argomenti svolti dalla Corte di appello circa l’apprezzamento delle prove.
Censura infine la sentenza per avere ritenuto applicabile il CCNL Terziario del Commercio, indicato dalla lavoratrice, escludendo l’applicazione sia del CCNL “elaborazione dati”, che disciplina i rapporti di lavoro del personale delle società che elaborano dati per la Pubblica Amministrazione, sia del contratto “servizi fiduciari”, che disciplina i rapporti di lavoro per le attività di front desk.
11. I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro connessi. Essi sono infondati.
12. Per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’accertamento della validità della notificazione effettuata a mezzo del servizio postale ad un imprenditore, ricevuta da persona diversa dall’imprenditore individuale o dal rappresentante della società, la quale si sia dichiarata “autorizzata al ritiro della posta”, deve presumersi che la qualità indicata, sostanzialmente equivalente a quella di “incaricato”, sia stata dichiarata proprio da chi ha ricevuto l’atto (cfr., tra le più risalenti, Cass. n. 7113 del 2001 e, tra le più recenti, Cass. n. 9240 del 2019).
13. La presunzione legale (iuris tantum) della qualità dichiarata necessita, per essere vinta, di rigorosa prova contraria da fornirsi da parte del destinatario che contesti la validità della notificazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 7827 del 2005, con cui questa Corte ha confermato la sentenza del giudice di merito, ritenendo insufficiente la mera affermazione del ricorrente, in ordine alla circostanza che lo stabile dove risiedeva fosse diverso da quello dove colui che aveva ricevuto la notifica svolgeva l’attività di portiere; v. pure Cass. n. 24798 del 2005).
14. Correttamente, la Corte di appello ha ritenuto che, in difetto di prova contraria, che era onere della società fornire, il ritiro del plico da parte del portiere dello stabile costituisse prova presuntiva della qualità di incaricato di ricevere gli atti per conto della società destinataria.
15. Quanto alla denunciata carenza degli adempimenti richiesti per la regolarità della notificazione degli atti processuali a mezzo del servizio postale a mani del portiere, prospettata dalla società ricorrente sotto il duplice profilo per cui la relazione dell’ufficiale postale non conterrebbe l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale (persona di famiglia, addetta alla casa o al servizio) e della omissione della comunicazione al destinatario, con lettera raccomandata, dell’avvenuta notificazione, deve rilevarsi l’inammissibilità del motivo di ricorso.
16. La Corte di appello ha implicitamente ritenuto che i suddetti adempimenti, funzionali alla corretta esecuzione della notifica a mezzo del servizio postale con consegna al portiere dello stabile, fossero stati espletati. A fronte di tale accertamento, il ricorso per cassazione ha omesso di riportare il contenuto dell’atto in questione e di riprodurlo in unione al ricorso (o di indicare la sede del suo rinvenimento in atti). Di conseguenza le censure che attengono ai vizi formali della notificazione sono inammissibili, ai sensi degli artt. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ. e dell’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ..
17. Le restanti censure mosse alle altre argomentazioni presenti nella sentenza impugnata sono palesemente ininfluenti. La Corte di appello non ha affermato la sussistenza nella specie del vizio di nullità della notifica, ma si è limitata ad affermare che, ove un vizio fosse sussistito, si sarebbe trattato non già in un’ipotesi di inesistenza, ma di un’ipotesi di nullità della notificazione. Quindi il passaggio argomentativo è un mero obiter dictum.
18. Quanto alla consultazione del sito internet della società, si tratta di passaggio reso anch’esso ad abundantiam, essendo la decisione sorretta dall’accertata regolarità della notifica effettuata con consegna del plico al portiere dello stabile in cui la società aveva precedentemente la propria sede legale.
19. Venendo all’esame del quarto motivo, va osservato che, nel caso in esame, opera la definizione legale del contratto a progetto fornita dall’art. 61 d.lgs. 276 del 2003, nel testo originario, poi sostituito dall’art. 1 comma 23 lettera a) della legge n. 92 del 2012, modificato dall’art. 24 bis comma 7 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in legge n. 134 del 2012 ed ancora dall’art. 7 comma 2 lettera c) del d.l. n. 76 del 2013 conv. in legge n. 99 del 2013 ed infine abrogato dall’art. 52 del d.lgs. 81 del 2015, di attuazione del c.d. Jobs Act.
20. In base al testo applicabile ratione temporis, per la configurazione della fattispecie è necessaria la riconducibilità dell’attività “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”.
21. Questa Corte ha chiarito che l’assenza del progetto di cui all’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, che rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorché il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia (Cass. n. 8142 del 2017). Il progetto concordato non può comunque consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (v. Cass. n. 17636 del 2016 e n. 8142 del 2017).
22. Il ricorso, pur denunciando un’erronea ricognizione della fattispecie legale, in realtà allude ad una erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta previa ricostruzione dei fatti secondo un diverso apprezzamento di merito e non secondo la ricostruzione fattuale posta a base della sentenza impugnata. E’ sintomatico che, dopo aver ripercorso la ricostruzione fattuale della Corte d’appello contrapponendola alla propria, la società ricorrente affermi che la prima è errata in diritto e riproponga sic et simpliciter gli stessi fatti che la Corte d’appello ha valutato diversamente.
23. Il vizio di falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.
24. La Corte di appello, sulla base delle risultanze istruttorie, ha ritenuto l’assenza di un programma o progetto, contenendo i contratti unicamente la descrizione delle mansioni affidate, sostanzialmente coincidenti con fasi dell’ordinaria attività aziendale, nell’accertato difetto di alcuna distinzione qualitativa, quantitativa o temporale, rispetto ad essa.
25. Il regime sanzionatorio articolato dall’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al primo comma, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al secondo comma disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti (Cass. n. 12820 del 2016).
26. E’ stato chiarito che l’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui all’art. 1, comma 23, lett. f) della l. n. 92 del 2012), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. n. 17127 del 2016, v. pure Cass. n. 9471 del 2019).
27. Infine, circa il CCNL applicato, trattasi di censura generica che si limita anche in questo caso inammissibilmente ad opporre una diversa soluzione in merito alla identificazione del contratto collettivo in cui sussumere l’attività svolta dall’imprenditore e che postula una ricostruzione in fatto e un apprezzamento delle prove diversi da quelli operati dalla Corte di appello.
28. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
29.Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 5.250,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.