CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2022, n. 13129

Tributi – IRAP – Studio legale associato – Rimborso

Rilevato che

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dallo Studio Legale M. contro il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria all’istanza di rimborso dell’IRAP versata dal contribuente con riferimento agli anni d’imposta dal 2005 al 2008.

1.1. I giudici di appello, muovendo dal presupposto che il reddito di uno studio associato viene assoggettato all’IRAP «a meno che il Contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati», hanno sostenuto che nella specie il contribuente aveva «documentalmente provato come il reddito prodotto dall’associazione professionale […] sia esclusiva derivazione del lavoro professionale svolto dai singoli associati tale da escludere l’assoggettabilità all’imposta».

2. Avverso la statuizione d’appello l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste l’intimato con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

4. Il controricorrente ha depositato memoria.

Considerato che

1. Va preliminarmente rigettata l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso erariale per contrarietà al disposto di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ., in base al quale non sono impugnabili le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme, in quanto la ricorrente con il motivo non ha dedotto un vizio logico di motivazione per omesso esame di fatti storici, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ma ha correttamente censurato la statuizione d’appello per violazione di legge e per error in procedendo, rispettivamente ex art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.

2. Venendo ai motivi di ricorso, con il primo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., sostenendo che nella specie operava il giudicato esterno, ad essa favorevole, costituito dalla pronuncia di questa Corte n. 3622/2019, depositata in data 07/02/2019, che aveva definitivamente respinto analoga istanza di rimborso dell’IRAP avanzata dallo Studio legale M. con riferimento a precedenti annualità d’imposta (dal 1999 al 2001).

3. Con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997 censurando la statuizione d’appello per avere la CTR contravvenuto ai consolidati principi giurisprudenziali in materia di assoggettabilità ad IRAP dei redditi delle attività svolte in forma associata.

4. Il ricorso, diversamente dalla proposta del relatore (Cass., Sez. U, n. 8999 del 2009) è infondato e va rigettato.

5. E’ insegnamento di questa Corte quello secondo cui «l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce “ex lege” presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività» (Cass., Sez. U., n. 7371 del 2016; conf., tra le altre, Cass. n. 12763 del 2017, Cass. n. 30873 del 2019, nonché Cass. n. 3622 del 2019 pronunciata tra le stesse parti).

5.1. Nel motivare la menzionata pronuncia le Sezioni unite hanno chiarito che l’affermato principio di diritto è da applicarsi anche alle associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, salva la facoltà per la parte contribuente di fornire la prova contraria avente ad oggetto “non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa” (in tal senso anche Cass. n. 18920 del 2016 e Cass. n. 30873 del 2019).

5.2. Sul punto è stato ribadito che «l’eventuale esclusione da IRAP delle società semplici (esercenti attività di lavoro autonomo), delle associazioni professionali e degli studi associati è subordinata unicamente alla dimostrazione che non viene esercitata nessuna attività produttiva in forma associata. In altre parole, va provato che il vincolo associativo non si è, in realtà, costituito» (Cass. 31/10/2018, n.27843, in motivazione).

6. Orbene, tale ultima circostanza rende evidente che nel caso di specie nessuna autorità di cosa giudicata può riconoscersi all’ordinanza di questa Corte n. 3622 del 2019, pronunciata tra le stesse parti ma con riferimento ad annualità d’imposta diversi, ben potendo la parte aver fornito nel presente giudizio la prova della insussistenza dell’esercizio in forma associata deN’attività nel periodo d’imposta in considerazione, che non aveva fornito in quel giudizio.

7. Ed è ciò che nel caso di specie ha accertato la CTR là dove ha affermato che “lo studio legale M. ha documentalmente provato come il reddito prodotto dall’associazione professionale […] sia esclusiva derivazione del lavoro professionale svolto dai singoli associati tale da escludere l’assoggettabilità all’imposta”, ribadendo, quindi, che il reddito accertato “risulta,essere generato unicamente dal lavoro personale di questi”.

8. Ha fatto pertanto buon governo di tali principi la CTR quando, accertato in fatto che i singoli professionisti hanno concretamente esercitato in modo autonomo e non associato l’attività professionale oggetto dell’eventuale imposizione, ha escluso che potesse essere applicata l’Irap sulla base della mera sussistenza dello studio associato.

9. Quello effettuato dalla CTR è, in buona sostanza, un accertamento di fatto che andava censurato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; vizio che non è stato però dedotto dalla ricorrente.

10. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

11. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.300,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.