CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2022, n. 13187
Rapporto di lavoro – Autista – Provvedimenti di messa in cassa integrazione – Impugnazione – Mancata rotazione fra i dipendenti
Rilevato che
1. con sentenza n. 53/2018 la Corte d’appello di Campobasso ha confermato le sentenze di primo grado che, rilevato il difetto di legittimazione passiva di A.T.M. s.p.a., avevano respinto la domanda con la quale i lavoratori in epigrafe indicati, dipendenti di L. s.p.a. con inquadramento di operatore di esercizio – autisti, transitati alla società A.T.M. in virtù di cessione del ramo di azienda in data 29.11.2011, avevano impugnato i provvedimenti di messa in cassa integrazione (in deroga) disposti dalla originaria datrice di lavoro;
1.1. la Corte di merito, ribadito con riguardo alla società A.T.M. il difetto di legittimazione passiva per essere la cessione in oggetto intervenuta quando già era cessato l’intervento di integrazione salariale, ha richiamato le argomentazioni di prime cure ritenendo infondate le doglianze dei lavoratori relative ai presupposti della cassa integrazione in deroga, all’individuazione dei lavoratori interessati ed alla mancata rotazione fra i dipendenti; quanto alla domanda di differenze retributive ne ha affermato la genericità per carente allegazione del turno svolto, dell’orario di lavoro osservato, dei tempi di percorrenza effettuati; ha ritenuto assorbita ogni ulteriore censura;
2. per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso N.S. e altri lavoratori sulla base di quattro motivi; Larivera Immobiliare s.p.a. (già L. s.p.a.) ha resistito con controricorso; A.T.M. s.p.a., alla quale il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c. presso il procuratore domiciliatario, non ha svolto attività difensiva;
3. parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis .1. cod. proc. civ.;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ. in relazione alle previsioni imperative della Direttiva Cee/187/77 del 13.2.1977 e tenuto conto dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, censurando la sentenza impugnata per avere escluso la responsabilità di A.T.M. s.p.a. in relazione al credito azionato dai lavoratori; ciò in contrasto con la solidarietà sancita dall’art. 2112 cod. civ. a carico del cessionario per i crediti dei lavoratori vantati nei confronti del cedente; in particolare, alla luce del novellato art. 2112 cod. civ. aveva errato il giudice di merito a dare rilievo alla mancata partecipazione alla procedura di integrazione salariale da parte della cessionaria;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza ex artt. 360, n. 4 cod. proc. civ. e/o 111 Cost. anche in relazione alla violazione degli artt. 112, 113 e 132 n. 4 cod. proc. civ. nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per apparenza di motivazione sia con riferimento al ritenuto difetto di legittimazione passiva di A.T.M. s.p.a. sia in relazione agli altri profili; evidenzia che la motivazione risultava confezionata in modo da riprodurre con procedimento fotografico i passaggi motivazionali solo di una delle due sentenze oggetto di impugnazione, vale a dire nello specifico la sentenza n 119/2015, senza alcun riferimento alla sentenza n. 118/2015 sulla quale pure era stata resa la pronunzia del giudice di appello;
3. con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 I. n. 59/1957 in relazione all’art. 1 I. n. 223/1991 e al d. P.R. n. 218 /2000, anche in relazione alla violazione delle istruzioni operative per la gestione dei trattamenti in cassa integrazione guadagni e mobilità in deroga nella regione Molise nell’anno 2011, alla Determinazione del Direttore Generale n. 397/2011 ( Bollettino Ufficiale della Regione Molise del 16 giugno 2011 n. 17) e tenuto conto dell’art. 15 Preleggi; censura la sentenza impugnata per avere, in violazione delle richiamate disposizioni, ritenuto che le OO.SS fossero state correttamente informate circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione; ciò a prescindere dal momento iniziale della comunicazione dovuta e omessa, secondo quanto emergente dal richiamo ai docc. nn. 33,34,e 35. Contesta, inoltre, la efficacia sanante riconosciuta ai verbali di esame congiunto in violazione degli obblighi sanciti dall’art. 1, commi 7 e 8 I. n. 223/1991 e dall’art. 2 d. P.R. n. 218/2000; censura, infine, la valutazione di legittimità della procedura;
4. con il quarto motivo parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 36, I. n. 203/2008 dell’art. 19 I. n. 2/2009 e dell’art. 1, commi 7 e 8 I. n. 223/1991 e al d. P.R. n. 218/2000, censurando il rigetto dei motivi di gravame incentrati sul difetto dei presupposti della cassa integrazione guadagni; sulle modalità di individuazione dei lavoratori, sulla mancata rotazione e sui criteri della stessa ove previsti;
5. il secondo motivo è fondato con effetto di assorbimento degli ulteriori motivi;
5.1. è noto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere II ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, Ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. n. 22232/2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto II proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, Impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte In modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. 18/09/2009 n. 20112);
5.1. con specifico riferimento alla motivazione ” per relationem” è stato chiarito che deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello, (cfr. Cass. n. 22022/ 2017, Cass. n. 20648/2015, Cass. n. 2268/2006); è stato inoltre precisato che la sentenza d’appello non può ritenersi legittimamente resa “per relationem”, in assenza di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame;
5.2. la motivazione della decisione impugnata non soddisfa i requisiti prescritti dalla richiamata giurisprudenza di legittimità in tema di motivazione per relationem e tanto determina nullità della decisione; lo sviluppo delle argomentazione si arresta, infatti, al di sotto della soglia del ” minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. non consentendo alcun controllo sulla esattezza e logicità del ragionamento decisorio seguito dalla Corte distrettuale;
5.3. è infatti da rimarcare che il richiamo agli atti di causa operato dal giudice di appello risulta, largamente deficitario sotto il profilo della individuazione delle originarie allegazioni in fatto e deduzioni in diritto formulate dai lavoratori ricorrenti nonché della ricostruzione dei motivi di gravame ad entrambe le sentenze oggetto di impugnazione in appello; in particolare, la Corte di appello si limita a identificare le parti della sentenze di primo grado investite da censura, senza specificare, quanto all’inosservanza delle prescrizioni impartite dal d. P.R. n. 218/2000 e delle istruzioni operative emanate dal Direttore Generale, quali erano le specifiche violazioni denunziate dai lavoratori in relazione ai richiamati provvedimenti, legislativo e amministrativo; né tali violazioni risultano evincibili dal prosieguo della motivazione che si limita ad una ricognizione di carattere generale dell’istituto della cassa integrazione in deroga, senza evidenziare i profili della relativa disciplina concretamente rilevanti nel caso di specie; neppure è dato ricostruire alla luce della argomentazioni in sentenza esposte il significato che nell’economia della motivazione assume il riferimento alle disposizioni che secondo il giudice di appello costituirebbero il riscontro normativo dell’istituto (v. sentenza , pag. 3);
5.4. in tale contesto, il richiamo da parte della Corte distrettuale al fatto che il giudice di una delle due sentenze impugnate, la n. 119/2015, avesse ritenuto che dai documenti nn. 33, 34 e 35 di cui al fascicolo di parte ricorrente <<Di Corpo Michele più altri>>, era dato evincere <<il rispetto dei presupposti de quo di cui le organizzazioni sindacali erano a conoscenza -…>> non è idoneo a chiarire le ragioni alla base della conferma delle sentenze di primo, grado, essendo rimasto oscuro sia il contenuto di tali documenti sia lo stesso nucleo centrale delle dedotte ragioni di illegittimità della cassa integrazione in deroga alla base dell’iniziativa giudiziale dei lavoratori.
5.5. analogamente deve ritenersi quanto al decisum relativo alla posizione processuale di ATM s.p.a.; anche in questo caso, infatti, la carente esposizione delle ragioni che avevano indotto gli originari ricorrente ad evocare in giudizio (anche) la società ATM non consente alcun controllo, sotto il profilo logico giuridico, della conferma della statuizione di difetto di legittimazione passiva di quest’ultima società, conferma formalmente ricondotta alla circostanza dell’avvenuta cessione del ramo di azienda in epoca successiva a quella in cui la cassa integrazione in deroga era terminata;
5.6. deve inoltre evidenziarsi che la modalità del richiamo, meramente formale e non contenutistico, alle sentenze di primo grado, richiamo effettuato <<facendo proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice … da ritenersi come qui riportate e trascritte >>, non individua le concrete ragioni alla base del decisum di primo grado e tanto si riflette sulla stessa percepibilità del ragionamento decisorio di secondo cure adottato in dichiarata adesione alle argomentazioni di primo grado;
6. in base alle considerazioni che precedono si impone la cassazione con rinvio della decisione;
7. al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Campobasso in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;