CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 dicembre 2018, n. 33447
Accertamento fiscale – Esercente la professione di tassista – Incongruenze
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 68/01/11, depositata il 9.02.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana; ha riferito che il contenzioso era originato dall’avviso di accertamento R5G010300762/2008, notificato a F.L., esercente la professione di tassista in Firenze, relativamente all’anno 2003, con il quale erano accertati ricavi per € 65.480,00 a fronte del minor importo dichiarato (€ 18.541,00), con conseguente maggior reddito d’impresa e del valore della produzione. L’accertamento era stato avviato perché, pur nella formale regolarità delle scritture contabili, erano ritenuti poco credibili i ricavi e i compensi dichiarati per le gravi incongruenze emerse.
L’Amministrazione pertanto aveva avviato un accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39 cit. e 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, conv. in l. n. 427 del 1993. Era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, che all’esito del giudizio, con sentenza n. 114/09/2009, aveva riconosciuto in parte le ragioni del contribuente, rideterminando i ricavi nella minor somma di € 37.272,00. La pronuncia era stata appellata, in via principale dal contribuente, in via incidentale dalla Amministrazione, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che con la sentenza ora oggetto di censura ha per un verso confermato l’impianto dell’accertamento quanto ad incoerenza dei redditi dichiarati dal F., ma nella determinazione del quantum ha condiviso i rilievi del giudice di primo grado, riducendo poi ulteriormente il reddito d’impresa ad € 30.000,00.
L’Agenzia censura la sentenza del giudice d’appello con un unico motivo, lamentando l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza.
Si è costituito il contribuente, sollevando eccezioni di inammissibilità del ricorso, nonché la sua infondatezza. Con ricorso incidentale ha a sua volta impugnato la sentenza per insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c., chiedendo al pari la cassazione della sentenza.
Considerato che
Devono preliminarmente rigettarsi le eccezioni di inammissibilità del motivo articolato dalla Agenzia. Con la prima si sostiene la carenza di interesse della Amministrazione ex art. 100 c.p.c., perché il motivo investirebbe la sentenza nella sua interezza e non nella soia parte che conferma la sentenza di primo grado. Sennonché il motivo è formulato perché con esso l’Agenzia mira a criticare la pronuncia per non aver confermato nella sua interezza l’atto impositivo, sicchè l’interesse ad agire era tutt’altro che carente. Incomprensibile appare poi la seconda eccezione di inammissibilità, con la quale si invoca l’art. 366 c.p.c. e poi l’art. 360 co. 1, n. 3, per essere state proposte argomentazioni di merito. L’ Amministrazione ha lamentato un vizio motivazionale, prospettando contraddittorietà ed insufficienze della sentenza, critiche che, a prescindere dalla loro fondatezza, erano ammissibili in rapporto ad un vizio astrattamente censurabile.
Venendo al merito, la ricorrente si duole della sentenza sotto i profili della insufficiente ed omessa motivazione. Le censure attengono alle seguenti argomentazioni: «la sentenza di primo grado risulta, nelle sue linee portanti, corretta. L’accertamento dell’Agenzia delle Entrate di Firenze non appare priva di supporto almeno a livello presuntivo; e tuttavia non fornisce elementi tranquillanti, in assenza di congrui studi di settore. E dunque è legittima la forte riduzione operata dal giudice di prime cure, fondata su considerazioni attendibili, quali l’elevata probabilità di corse senza “supplemento bagagli”, il minor numero di presumibili corse con chiamata radio, specie in una città come Firenze ove è agevole l’accesso diretto alle stazioni di servizio. Questa Commissione ritiene quindi di confermare -nella sostanza la pronuncia di primo grado, sia pure con una limatura dei ricavi in considerazione della alta probabilità che chi possiede un taxi utilizzi la vettura anche per scopi personali».
La motivazione è criticata dalla Agenzia sia per contraddittorietà, nella parte in cui ha ritenuto fondato l’accertamento dell’Ufficio, ad un tempo sollevando tuttavia perplessità (“carenza di elementi tranquillanti”) in assenza di “congrui studi di settore”; sia per insufficienza, per aver esposto sinteticamente i fatti, senza poi dare contezza degli elementi probatori e delle valutazioni a sostegno del proprio convincimento.
Il motivo è infondato.
Va a tal fine evidenziato che il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà, sussiste quando nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile una evidente traccia dei mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti, oppure quando sussista un insanabile contrasto nel percorso argomentativo adottato, che non consente l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass., Sez. 5, ord. n. 19547/2017).
Nel caso di specie la motivazione, sia pur succinta, nella esposizione del fatto così come nella formulazione del giudizio, è esente dalle critiche. La pronuncia infatti, ritenendo corretta “nelle sue linee portanti” la sentenza del giudice di primo grado, si riporta indubbiamente alle motivazioni di quest’ultima, di fatto con un rinvio per relationem. La stessa tuttavia tiene conto delle critiche ad essa rivolte, ed a tal fine avverte come la validità dell’ impianto ricostruttivo dell’accertamento andava mitigato dal maggior peso attribuibile ad alcuni elementi, che elenca (corse senza bagaglio, corse senza chiamata radio), così che, senza criticare il fondamento ed i presupposti dell’azione accertativa dell’Ufficio, sostiene che vi fossero elementi atti a mitigare le conseguenze in termini di quantificazione del reddito. La sintesi pertanto non compromette la coerenza logica del ragionamento svolto dal giudice regionale.
La critica alla pronuncia peraltro non è condivisibile neppure sotto il profilo della insufficienza motivazionale. La succinta motivazione infatti non è carente neppure nella parte in cui, giungendo a conclusione, accoglie solo parzialmente l’appello del contribuente, riducendo ulteriormente il reddito del F. da 37.000,00 a 30.000,00 €, ciò facendo non apoditticamente, bensì valorizzando un ulteriore elemento, ossia che chi possiede un taxi vi è alta probabilità che “utilizzi la vettura anche per scopi personali”.
La sentenza formula in conclusione una valutazione di merito, fondata sulle argomentazioni della sentenza di primo grado, ritenute corrette, e sulle ulteriori valutazioni in fatto, fondate su riscontri oggettivi valorizzati ed elencati in motivazione. A fronte di tale ricostruzione le critiche su cui pur si diffonde la difesa dell’Ufficio non ne scalfiscono l’impianto logico argomentativo. Se poi la finalità delle censure era quella di riproporre una diversa ricostruzione della vicenda, si tratterebbe di chiedere al giudice di legittimità una rivalutazione dei fatti, che è attività allo stesso inibita, perché il controllo sul vizio di motivazione non gli attribuisce il potere di riesame del merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio.
Il motivo va dunque rigettato perché infondato.
Per le stesse ragioni è infondato e va rigettato il motivo del ricorso incidentale del contribuente, che pure lamenta il vizio di motivazione della sentenza soprattutto con riguardo alla supposta errata valutazione d alcuni indici, quali la percorrenza media e dunque la tariffa media di ciascuna corsa, senza avvedersi che la sentenza impugnata è fondata -anche rinviando alle valutazioni del giudice di primo grado- su una pluralità di elementi valutati nella loro globalità. Ne discende che le conclusioni cui perviene in fatto la sentenza impugnata non possono ritenersi scalfite dalle suddette critiche.
Considerato che
il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati; la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
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