CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 dicembre 2019, n. 34524
Tributi – Accertamento – Richiesta di notizie e documentazione contabile – Perdita della documentazione per crollo copertura immobile – Causa di forza maggiore – Ricostruzione parziale – Esclusione sanzioni
Fatti di causa
Con avviso di accertamento, notificato in data 28.12.2009, emesso per la annualità di imposta 2004 nei confronti della Spa A.D. – per avere la contribuente omesso di esibire in risposta al questionario inviato dalla Agenzia delle Entrate ai sensi degli artt. 32 del DPR n. 600 del 1973 e 51 del DPR n. 633 del 1972 parte della documentazione richiesta, omettendo in particolare la presentazione delle schede contabili, dei registri IVA e la ricostruzione dei conti di bilancio, con la giustificazione, già assunta in sede di una precedente verifica conclusasi con pvc del 7.10.2008, che la documentazione contabile obbligatoria era stata “smaltita” a seguito di crollo parziale della copertura in amianto del fabbricato in cui era custodita – la Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Como recuperò a tassazione costi non documentati, variazione in diminuzione dei ricavi ed in aumento dei costi, note di credito non documentate (rilievi da 1 a 4 ai fini dell’IRES e dell’IRAP), nonché IVA ritenuta indetraibile (rilievo 1) ed omessa applicazione dell’IVA su operazioni di esportazioni non documentate da bolle doganale vistate dalla dogana comunitaria (rilievo 2), su operazioni di cessione intracomunitarie non documentate dai DDT e dai documenti di viaggio internazionale (rilievo 3) e su cessione di rottami non supportate dai DDT o altri documenti da cui si potesse evincere la natura della merce ceduta (rilievo 4) e contestò la dichiarazione infedele ai fini IRES, IRAP e IVA.
Successivamente la contribuente presentò in data 22.2.2010 istanza di accertamento con adesione ed in data 14.5.2010 presentò ulteriore parte della documentazione e quindi, concluso negativamente il procedimento di adesione con verbale in data 18.5.2010, propose ricorso alla Commissione Tributaria provinciale di Como in data 19.5.2010 contestando, per quanto ancora interessa, i singoli rilievi, sotto il profilo generale che, a seguito dello “smaltimento” della documentazione contaminata dall’amianto, aveva fatto il possibile per recuperare presso clienti e fornitori la documentazione che era stata prodotta e che giustificava tutte o comunque la maggior parte delle riprese anche ai fini IVA, ma anche con riguardo alla insussistenza in fatto dei rilievi 1.1, 1.2, 2, 3 e 4 ai fini IRES ed IRAP. Ulteriore documentazione fu presentata con due memorie aggiunte in data 24.10.2010 ed in data 11.4.2011. La Agenzia delle Entrate oppose, con le controdeduzioni, che la prova della distruzione della contabilità non esonerava la contribuente dall’onere di attivarsi per la ricostruzione e che la contestazione dei rilievi IVA, contenuta nel ricorso, era estremamente generica, mentre i rilievi 1.1, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6 e n. 5 ai fini IRES ed IRAP non erano stati neppure contestati.
Con sentenza n. 114/2/2011 la Commissione Tributaria Provinciale di Como ritenne provata la esistenza di una causa di forza maggiore che aveva poi consentito alla contribuente di produrre la documentazione reperita, ma che peraltro spettava pur sempre alla contribuente dimostrate la esistenza e la entità dei costi, per cui, in applicazione di tale principio, alla luce della documentazione fornita dalla parte anche nel giudizio, accolse parzialmente il ricorso, annullando i rilievi 1.2. ai fini IRES ed IRAP e 2, 3 e 4 ai fini IVA, riducendo i rilievi 1.1, 1.3, 1.4, 1.6, 2, 3 e 4 ai fini IRES ed IRAP e n. 1 ai fini IVA, confermando invece integralmente il rilievo 1.5. ai fini IRES ed IRAP. Infine dichiarò inapplicabili le sanzioni ravvisando il caso di forza maggiore di cui all’art. 6, comma 5, del D. Lgs. n. 472 del 1997.
Investita dall’appello principale della contribuente che lamentò nullità della sentenza per difetto di motivazione, contraddittorietà tra giudizi sui diversi rilievi e falsa applicazione della legge, e dall’appello incidentale dell’Ufficio, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza 99/27/2013 depositata in data 30 luglio 2013, per quanto ancora interessa, accolse l’appello della contribuente quanto ai rilievi 1.1. e, per la parte impugnata, quanto al rilievo 1.6 ed al rilievo n. 4 ai fini IRES ed IRAP, mentre invece lo rigettò quanto ai rilievi n. 2 e n. 3, sempre ai fini IRES ed IRAP, ritenendo: quanto al rilievo n. 2, che la variazione in diminuzione del reddito per crediti di fornitori della ricorrente acquistati dalla propria controllante e da questa in parte rinunciati, pur essendo vero che in base all’art. 88, comma 4, del TUIR non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura effettuati a fondo perduto o in conto capitale alle società di capitali dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti, peraltro non fosse stata dimostrata la esistenza del credito poiché la documentazione prodotta non era sufficiente e neppure nella nota integrativa al bilancio al 31 dicembre 2004 era stato fatto alcun cenno sulla natura dei crediti vantati dalla controllante e sulla esistenza e consistenza dei precedenti debiti verso i fornitori; e, quanto al rilievo n. 3, relativo a note di credito non documentate, che non fosse stata raggiunta alcuna prova presuntiva, mentre la prova testimoniale, come tale, non era ammessa nel giudizio tributario. Quanto all’appello incidentale della Agenzia delle Entrate, la CTR rigettò il primo motivo, relativo alla violazione dell’art. 32, commi 4 e 5, del DPR n. 600 del 1973, ritenendo che una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni consentisse al contribuente di dimostrare la involontarietà della sottrazione originaria della documentazione e quindi la produzione dei documenti recuperati anche nel corso del giudizio, in conseguenza della esimente prevista dallo stesso articolo 32; accolse il secondo motivo relativo alla inapplicabilità d’ufficio delle sanzioni, in quanto la esimente non era stata richiesta con il ricorso introduttivo bensì soltanto con la successiva memoria illustrativa ex art. 32 del D. Lgs. n. 546 del 1992; ritenne infine inammissibile, quanto alle questioni di merito, l’appello incidentale dell’Ufficio per carenza di specifici motivi poiché le doglianze enunciate dall’Ufficio non contenevano alcuna censura delle motivazioni sviluppate dai giudici di primo grado con la sentenza poi appellata.
Contro la sentenza d’appello, non notificata, propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, notificato con atto consegnato all’ufficiale giudiziario il 17 marzo 2014 e pervenuto al notificato il 20 marzo successivo, affidato a cinque motivi, nonché la contribuente con atto notificato il 17 marzo 2014 con tre motivi e successivo controricorso.
Ragioni della decisione
1. Partendo dal ricorso della Agenzia delle Entrate, con il primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cpc (infrapetizione) e 18, commi 2 e 4 del D. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 n. 4, poiché, a fronte dello specifico motivo di appello incidentale posto dall’Ufficio da pag. 7 a pag. 10, con cui aveva contestato che la contribuente aveva prestato acquiescenza in tutto in parte ai rilievi nn. 1.1, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6 e 4 in materia di IRES e di IRAP ed aveva presentato un ricorso estremamente generico in materia di IVA asserendo soltanto, a fronte della motivazione dell’accertamento, che le operazioni sarebbero state comprovate dalla documentazione nel frattempo presentata alla Agenzia delle Entrate, la sentenza di appello non aveva preso in esame lo specifico e preliminare motivo di appello incidentale della Agenzia, con cui quest’ultima aveva chiesto la riforma dei capi della sentenza di primo grado che avevano accolto il modo quasi integrale il ricorso introduttivo della contribuente, bensì si era limitata a sostenere che era inammissibile l’appello incidentale della Agenzia mentre invece avrebbe dovuto esaminare in via preliminare il motivo di appello della Agenzia con cui era stata dedotta la inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
2. Con il secondo motivo, in via subordinata rispetto al primo e per il caso in cui si ritenesse che, passando all’esame “nel merito” dell’appello incidentale, la CTR avesse ritenuto incluso anche l’esame del motivo di appello incidentale con cui era stata dedotta la inammissibilità del ricorso introduttivo in punto di riprese a tassazione a fini IVA, ritenendolo generico al pari al pari dei successivi motivi di appello incidentale che criticavano le ragioni n base alle quali la CTP aveva ritenuto fondate alcune doglianze della contribuente ed in modo quasi integrale quelle in materia di IVA, la Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 2 lett. c e 4 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc, poiché il motivo di appello incidentale, con cui era stato dedotto che i motivi iniziali di ricorso erano generici, era tutt’altro che generico ed avrebbe dovuto essere quindi esaminato ed accolto.
3. con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18 comma 2 lett. e, 24 e 32 del D. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc, poiché, nella ipotesi interpretativa per cui la CTR avesse ritenuto specifici e quindi ammissibili i motivi di primo grado proposti con il ricorso introduttivo contro i rilievi a fini IVA, in realtà i motivi di impugnazione erano generici poiché si limitavano a sostenere che la documentazione era stata prodotta cosicchè i rilievi dovevano essere annullati, mentre ciò, riguardando solo il petitum e cioè la richiesta di annullamento, non era sufficiente ai fini della specificità dei motivi di ricorso ai sensi dell’art. 18 comma 4 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e rendeva il ricorso inammissibile. Inoltre erano stati violati anche gli artt. 24 e 32 del D. Lgs. n. 546 del 1992 poiché nel corso del giudizio di primo grado la contribuente aveva presentato due memorie aggiuntive con allegati numerosi documenti nuovi che in realtà contenevano una integrazione dei motivi iniziali, non derivante dalle difese dell’Ufficio, attraverso considerazioni che erano state poi poste dalla CTP a fondamento dell’accoglimento di quei motivi, in violazione, appunto, dagli artt. 24 comma 2 e 32 del D. Lgs. n. 546 del 1992, che erano stati violati anche nel punto in cui, senza tenerne conto, la CTR aveva ritenuto inammissibile l’appello incidentale dell’Ufficio che aveva dedotto pure tale doglianza.
4. I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione della loro connessione, poiché riguardano tutti la omessa pronuncia o la omessa considerazione della questione di inammissibilità del ricorso iniziale della contribuente per genericità (questione che era stata in effetti posta con le controdeduzioni in primo grado da parte dell’Ufficio, che ne ha trascritto il contenuto specifico da pagina 23 a pagina 26 del ricorso per cassazione) sono infondati sotto tutte le prospettazioni principale e subordinate addotte.
4.1. Premesso che dal contenuto dell’accertamento e del ricorso introduttivo, trascritti dalla Agenzia delle Entrate nel ricorso per cassazione, con riguardo ai quali, essendo stata configurata la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e quindi un “error in procedendo”, la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, emerge che la motivazione dell’accertamento, quanto, in particolare, ai rilievi IVA su cui si incentrano i motivi di ricorso per cassazione che qui interessano, era basata esclusivamente sulla mancanza della giustificazione della detrazione IVA per mancanza o insufficienza della documentazione prodotta dalla contribuente nella fase procedimentale (fatture giustificative per il rilievo 1, bolle doganali per il rilievo 2, DDT e documenti di viaggio internazionale per il rilievo 3, DDT o documenti equipollenti per il rilievo 4), il ricorso introduttivo poteva riguardare solo le contestazioni svolte nella motivazione dell’accertamento e cioè la pretesa mancanza di documentazione, la rilevanza di quella già ricostruita e prodotta anche in sede di richiesta di accertamento con adesione e le difficoltà della ricostruzione che era ancora in corso. Non è quindi vero che il ricorso introduttivo fosse generico, in quanto aggrediva la motivazione dell’accertamento che poneva soltanto una questione di incompletezza della prova documentale che spettava alla contribuente in tema di costi e di deduzioni e detrazioni.
4.2. Ciò posto, poiché le doglianze proposte dalla Agenzia con l’appello incidentale si limitavano alla censura di genericità del ricorso iniziale, senza contenere alcuna censura alla motivazione della sentenza di primo grado che aveva deciso nel merito dei singoli recuperi alla luce delle prova derivante dalle produzioni documentali già depositate in sede procedimentale e nel corso del giudizio di merito, a supporto della esistenza e veridicità delle detrazioni e delle connesse operazioni, correttamente la sentenza impugnata, a pagina 9, ha affermato che il motivo di appello incidentale non era specifico poiché non si confrontava con la motivazione della sentenza di primo grado che aveva statuito nel merito. E poiché la questione di inammissibilità del motivo di appello si poneva come pregiudiziale rispetto alla questione di inammissibilità del ricorso, altrettanto correttamente il giudice di appello non ha poi esaminato, ritenendola assorbita, la doglianza sottesa che non poteva essere presa in considerazione. Non è quindi vero che vi sia stata omissione di pronuncia sul motivo di appello incidentale di cui si tratta poiché la pronuncia vi è stata ed è stata quella di inammissibilità.
4.3. Quanto poi alla pretesa omissione di pronuncia sulla violazione delle regole che presidiano la presentazione dei motivi nuovi nel giudizio tributario, a parte il rilievo che anche essa restava assorbita dalla pronuncia di inammissibilità del motivo di appello incidentale, in ogni caso non è vero neppure che le memorie depositate dalla contribuente nel giudizio di primo grado a corredo dei documenti ricostruiti nella fase processuale contenessero motivi nuovi, poiché, dalla trascrizione di parte di tali memorie a pagine 37 e 38 del ricorso per cassazione della Agenzia delle Entrate, emerge che si trattava di un mero riepilogo dei documenti prodotti e della loro corrispondenza ai documenti che nell’accertamento erano stati indicati come mancanti. E sotto tale profilo anche la motivazione della sentenza di primo grado (trascritta a pagine 39 e seguenti del ricorso per cassazione della Agenzia delle Entrate) è motivata esclusivamente con riguardo alla decisività o meno della ulteriore documentazione prodotta nel giudizio.
5. Con il quarto motivo la Agenzia delle Entrate deduce violazione degli artt. 32, commi 4 e 5, del DPR n. 600 del 1973 e 51 n. 5 del DPR n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la contribuente potesse esimersi dalla preclusione derivante dalla mancata presentazione dei documenti richiesti in sede amministrativa e produrli quindi nelle fasi successive sulla sola base della perdita incolpevole dei documenti, pur essendo stata la parte resa edotta della necessità di recuperare i documenti perduti nel crollo del soffitto dell’edificio fin da prima del 2010, in occasione delle verifiche relative agli anni precedenti ed avesse prodotto parte dei documenti in sede di accertamento con adesione, per cui la omessa risposta al questionario costituiva una scelta consapevole e non invece una conseguenza del crollo del 2008.
6. Con il secondo motivo si duole, in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, di omesso esame di fatti decisivi discussi fra le parti e quindi di omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi consistenti nella giustificazione della mancata produzione dei documenti in risposta al questionario del novembre del 2009, considerato che la parte era stata oggetto in precedenza di una verifica fiscale e di un accertamento per l’anno 2003, preceduti in entrambi i casi da una richiesta di documenti, per cui la contribuente ben avrebbe potuto recuperare la documentazione in quel lasso di tempo.
7. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente poiché riguardano la stessa questione delle conseguenze derivanti dalla mancata presentazione in sede amministrativa dei documenti richiesti in sede di verifica ovvero a seguito di questionario inviato dall’Ufficio.
7.1. La materia è disciplinata dall’art. 32 del DPR n. 600 del 1973 e dall’art. 52 del DPR n. 633 del 1972.
7.2. La prima disposizione, nel testo vigente ratione temporis, prevede, al comma 3, che l’Ufficio può invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, compresi i documenti di cui al successivo art. 34. Ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili secondo le disposizioni del titolo III può essere richiesta anche l’esibizione dei bilanci o rendiconti e dei libri o registri previsti dalle disposizioni tributarie. L’ufficio può estrarne copia ovvero trattenerli, rilasciandone ricevuta, per un periodo non superiore a sessanta giorni dalla ricezione. Non possono essere trattenute le scritture cronologiche in uso; aggiunge, al comma 4, che l’Ufficio può inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, con invito a restituirli compilati e firmati; nonché, al penultimo ed ultimo comma: Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile. Tali disposizioni trovano corrispondenza nell’art. 52 del DPR n. 633 del 1972 in materia di IVA che prevede al comma 5: I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione.
7.3. La questione proposta nel caso in esame deve essere inquadrata nell’ambito del secondo periodo dell’art. 52 del DPR n. 633 del 1972, da porre però anche in relazione con l’ultimo comma dell’art. 32 del DPR n. 600 del 1973, considerato che la verifica in esame era stata attivata congiuntamente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA e che la contribuente, invitata con questionario a presentare i registri fiscali obbligatori ed altri specifici documenti, aveva già in precedenza dedotto e ribadito in quella sede che stava ricostruendo i documenti “perduti” con lo smaltimento dell’amianto derivante dal crollo del tetto dell’edificio in cui erano custoditi.
7.4. Si tratta, quindi, di verificare quali siano i limiti della preclusione in esame e, in particolare, se e in che misura sia consentito, alla parte che dichiara di non possedere un dato documento o addirittura la intera documentazione o gran parte di essa, di produrlo in giudizio senza incorrere nella suddetta preclusione.
7.5. In proposito questa Code fin dal 2000 (Cass. Sez. U., 25 febbraio 2000, n. 45), a composizione di un contrasto giurisprudenziale, aveva enunciato i principi interpretativi di fondo sulla questione della corretta interpretazione della previsione normativa in esame, affermando che, a norma dell’art. 52, comma 5, d.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, perché la dichiarazione resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere i libri, i registri, le scritture e i documenti, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatori, richiestigli in esibizione, determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre: la sua non veridicità o, più in generale, il suo strutturarsi quale sostanziale rifiuto di esibizione, evincibile anche da meri indizi; la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; ed il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento. Dalla suddetta pronuncia si evince, quindi, che la previsione normativa in esame deve essere interpretata con particolare rigore ed entro limiti specifici, posto che la sua applicazione comporta una chiara limitazione del diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente tutelato, di potere legittimamente produrre in giudizio, a fini difensivi, i documenti ritenuti idonei a sostenere le proprie ragioni di difesa avverso la pretesa impositiva dell’ufficio finanziario, sotto il profilo principale dell’accertamento dell’intento del contribuente sottoposto a verifica di sottrarre volontariamente alla verifica un dato documento al fine di ostacolare gli accertamenti in atto, profilo che comporta, solo in questo caso, la non possibilità per il medesimo contribuente di utilizzarlo successivamente in proprio favore.
7.6. Le successive pronunce di questa Corte, fino a quelle attuali, si sono mosse all’interno di tale direttrice con ulteriori sviluppi in epoca più recente, affermando, con la sentenza del 28 aprile 2017, n. 10527, che “In definitiva, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo, solo ove non sia veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale. Infatti, il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, a cui rinvia il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli art. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e da non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti, sicchè non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile”. Analogamente Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 7011 del 21/03/2018 Rv. 647551 ha ritenuto l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa solo ove l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale richiesta degli stessi, accompagnata dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza, e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione, dichiarando di non possederli, o comunque sottraendoli al controllo, con uno specifico comportamento doloso volto ad eludere la verifica, fino alla recentissima pronuncia n. 20731 del 01/08/2019 Rv. 655041 — 01, per cui “La dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale, poiché l’art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, a cui rinvia l’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti“.
7.7. A questi principi si è attenuta la sentenza impugnata poiché ha ritenuto che la dichiarazione della contribuente di avere “perso” la disponibilità dei documenti a seguito del crollo dell’edificio fosse veritiera e che nessuna sottrazione cosciente, volontaria o dolosa, fosse ipotizzabile, il che rendeva possibile la produzione anche nel giudizio dei documenti la cui ricostruzione era avvenuta in quel momento. Al contrario, la interpretazione offerta dalla Agenzia delle Entrate, per cui sarebbe comunque imputabile alla contribuente una sorta di “ritardo” nella ricostruzione dei documenti, non appare conforme alla linea interpretativa consolidata di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, considerato che, una volta superata la preclusione in virtù della veritiera dichiarazione del contribuente di non disporre più dei documenti per “forza maggiore”, viene meno la preclusione di produzione nelle fasi successive, in cui la produzione può avvenire secondo le regole ordinarie del processo tributario.
8. Passando all’esame del ricorso proposto dalla società A.D., con il primo motivo deduce, in relazione al rilievo n. 2 IRES, violazione dell’art. 88 comma 4 del TUIR n. 917 del 1986 e dell’art. 115, comma 1, cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata ritenuto legittimo il recupero di sopravvenienze attive per non essere stata dimostrata la sussistenza del credito per insufficienza della documentazione prodotta, benchè la documentazione fosse invece sufficiente e la mancata indicazione nella nota integrativa al bilancio 2004 fosse irrilevante.
9. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al recupero n. 3 IRES, violazione dell’art. 115 comma 1 cpc e / o omessa valutazione delle prove offerte in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, poiché, a fronte delle deduzioni offerte con l’atto di appello con cui era stato rilevato che, pur in assenza di prova specifica del pagamento, questa poteva essere raggiunta per presunzioni o mediante prova testimoniale per i quali fini indicava come testimone il rag. F. che avrebbe potuto deporre sui rapporti con il cliente, la sentenza impugnata si era soffermata solo su tale assunto senza considerare che con la memoria dell’11 aprile 2011 aveva documentato che era stato possibile reperire il “documento di reso del cliente”, il che avrebbe consentito di ritenere infondato il recupero.
10. Il terzo motivo deduce violazione dell’art. 6, comma 5, del D. Lgs. n.472 del 1997, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata escluso la applicabilità d’ufficio della esimente in presenza di un solo precedente della Corte di cassazione n. 25676 del 2007, pur non trattandosi di esimente concedibile solo a richiesta.
11. Il primo motivo è inammissibile.
11.1. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata. Non rientra quindi nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, cpc l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. (v. per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 Rv 652398- 01)
11.2. Nella specie, sotto il profilo della violazione di legge, viene dedotto che la sentenza di appello non aveva negato la applicabilità nel caso concreto dell’art. 88, comma 2, del TUIR, bensì soltanto che non era stata dimostrata la esistenza del credito e la documentazione prodotta non era sufficiente, benchè l’Ufficio non avesse “reagito” alle produzioni documentali della società in data 24 dicembre 2010 e non rilevasse la mancata indicazione nella nota integrativa al bilancio 2004 in presenza delle prove prodotte: il che attiene non certamente al vizio di violazione di legge, bensì alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti che spetta in via esclusiva al giudice del merito, il quale ha operato una corretta ricognizione della fattispecie astratta, come riconosciuto espressamente dalla ricorrente nella premessa del primo motivo del suo ricorso.
12. Anche il secondo motivo è inammissibile poiché, a parte il rilievo che si tratta di motivo cd. misto o composito, che non consente di comprendere e di scindere quali argomenti siano stati utilizzati a sostegno dell’uno o dell’altro motivo, viene dedotta sostanzialmente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, la omessa valutazione di una prova consistente nella produzione, in allegato alla memoria dell’11 aprile 2011, del documento di “reso” del cliente, che avrebbe potuto essere sufficiente per la dimostrazione della veridicità della nota di credito poiché il pagamento di tali accrediti avveniva di regola per “masse periodiche” per cui poteva essere dimostrato anche per presunzioni o prova testimoniale.
12.1. Orbene, premesso che, come risulta dalla sentenza impugnata, il gravame era relativo alla sola voce b) per “accrediti differenze prezzo e / o materiali scartati in favore di un cliente francese” e che il recupero era avvenuto, come si legge nell’accertamento, non solo perché le note di accredito non indicavano neppure il numero di documento di trasporto, ma anche e soprattutto perché non era stato possibile verificare la effettività degli accrediti in assenza di qualsiasi documentazione in proposito, è evidente che la produzione successiva del “documento di reso del cliente”, non trascritto nel ricorso per cassazione, come necessario ai fini della autosufficienza, il che non consente neppure di verificare a quale operazione si riferisse, non integrava comunque un argomento idoneo ad inficiare la decisione di primo grado ed a fare ritenere erroneo il recupero poiché in ogni caso era mancata la prova del pagamento degli accrediti.
12.2. Correttamente quindi il giudice di appello ha rigettato il motivo di appello sul punto ritenendo la mancanza di prova, il che non può integrare una violazione di legge, ma neppure i vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc, consistente, ratione temporis, essendo stato il ricorso per cassazione presentato nel 2014, nell’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti”, poiché spetta, in via esclusiva, al giudice di merito, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi. Il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc, nel testo novellato nel 2012 e vigente ratione temporis, deve essere invece essere interpretato alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di” sufficienza” della motivazione (Cass., sez.un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonché, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014; Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).
13. Il terzo motivo è infondato poiché la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Code per cui, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, ma l’onere di allegazione dei presupposti di eventuali esimenti grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito possa decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, né che sia consentita censura per la mancata pronuncia d’ufficio, ovvero la declaratoria di inammissibilità della questione perché tardivamente introdotta solo in corso di causa, come nel caso in esame (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1719 del 26/06/2019 Rv. 654729 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 440 del 14/01/2015 Rv. 634427 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 4031 del 14/03/2012 Rv. 622402-011). Ciò è d’altronde in linea anche con il principio per cui, nelle ipotesi di invalidità degli atti impositivi o sanzionatori, opera il generale principio di conversione dei vizi in motivi di gravame, in ragione della struttura impugnatoria del processo tributario, nel quale la contestazione della pretesa fiscale è suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto, sicché le nullità, se non dedotte con il ricorso originario, non possono essere rilevate d’ufficio né fatte valere per la prima volta nel corso del giudizio (v. per da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12313 del 18/05/2 t v. 648662 – 01).
14. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
15. Ferme restando la compensazione delle spese del giudizio di merito, già disposta dal giudice dell’appello, la reciproca soccombenza giustifica la compensazione totale anche delle spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente A.D. Spa, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. Non sussistono invece i presupposti per l’applicazione del doppio contributo nei confronti della Agenzia delle Entrate, poiché tale disposizione non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 Rv. 638714 -01).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e compensa fra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente A.D. Spa, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo, se dovuto.
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