CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 febbraio 2019, n. 5755
Omesso pagamento di contributi – Eredi di titolare di ditta individuale – Verbale di accertamento ispettivo – Società di fatto – Accettazione esplicita dell’eredità – Non rileva – Erede puro e semplice colui che, in possesso dei beni ereditari, non abbia fatto dei beni ereditari – Tacita accettazione attraverso atti di “pro herede gestio” – lnterpretazione degli atti compiuti dal chiamato – Indagine di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità
Rilevato che
1. l’INPS notificava a R.D.N. e F.P. – quali asseriti eredi di A.P. – decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di euro 19.918,00 ciascuno a titolo di omesso pagamento di contributi per il periodo dal 1.2.1984 al 31.3.1987 e relative sanzioni, ingiunzione fondata sulle denunce mensili ed annuali presentate all’INPS dal titolare dell’officina meccanica P. (A.P.) nonché sul verbale di accertamento ispettivo redatto nei confronti della società di fatto “eredi di P.A.”;
2. le due distinte opposizioni proposte dagli ingiunti al predetto decreto monitorio venivano accolte dal giudice del lavoro del Tribunale di Ancona;
3. tale decisione era riformata, con sentenza del 28 maggio 2013, dalla Corte d’appello di Ancona che, riuniti di gravami, li accoglieva e rigettava le opposizioni dichiarando l’esecutività dei decreti ingiuntivi:
4. ad avviso della Corte territoriale e per quanto ancora di rilievo in questa sede: l’INPS, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, aveva provato la fondatezza dei crediti azionati attraverso la produzione in appello di una copia leggibile del verbale di accertamento ispettivo, copia che avrebbe dovuto essere ammessa già dal Tribunale ex art. 421 cod. proc. civ. in quanto necessaria ad integrare un documento ritualmente prodotto in giudizio e solo parzialmente illeggibile; la circostanza che a seguito del decesso del titolare dell’officina i suoi eredi – come ammesso dalla difesa dagli appellati alla udienza di discussione – avessero continuato a gestirla come società di fatto eredi di P.A. (e come del resto acclarato in sede di accertamento ispettivo) era idonea ad integrare l’accettazione tacita dell’eredità e, quindi, a ritenere gli eredi obbligati al pagamento dei debiti contributivi del de cuius, provati dalle denunce mensili ( mod. DM10/M) ed annuali 8 mod. (03/M) da quest’ultimo presentate all’INPS, aventi valore confessorio quanto alla persistenza del rapporto di lavoro subordinato dell’operaio V.F. nel periodo dal febbraio 1984 al marzo 1987; il decorso del termine decennale di prescrizione era stato interrotto prima del 31 dicembre 1995;
5. per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso la D.N. e F.P. affidato tre motivi cui resiste la M. Assicurazioni s.p.a. con controricorso;
Considerato che
6. con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 456 e ss., 470 e ss. cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto la D.N. e F.P. eredi di A.P. in quanto essi e, tantomeno la società di fatto, non avevano espressamente accettato l’eredità del defunto congiunto né avevano posto in essere atti di pro herede gestio idonei ad integrare una tacita accettazione della stessa contrariamente a quanto affermato, con una motivazione del tutto insufficiente, nell’impugnata sentenza solo sulla scorta di quanto dichiarato all’udienza dalla difesa degli attuali ricorrenti e del verbale ispettivo, elementi questi, invece, che nulla provavano in quanto: le dichiarazioni rese dal difensore non avevano alcun valore confessorio; il predetto verbale era postumo alla cessazione della società di fatto “eredi P.A.”, avvenuta il 30 luglio 1988, e le violazioni accertate erano relative al periodo anteriore alla sua costituzione, avvenuta il 9 aprile 1988, solo al fine del disbrigo delle formalità necessarie alla chiusura della ditta P.A.;
7. con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 cod. civ. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) per avere la Corte d’appello, sull’ erroneo presupposto che la D.N. e F.P. fossero eredi, ritenuto atti idonei ad interrompere la prescrizione il verbale di accertamento del 24 aprile 1993 e le lettere raccomandate del 21 dicembre 1995 e del 13 agosto 2004, queste ultime del tutto generiche nel contenuto;
8. con il terzo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) avendo il giudice del gravame ritenuto provata la pretesa creditoria dell’INPS solo sulla scorta delle denunce mensili ed annuali presentate all’istituto da A.P. e sul verbale ispettivo, del tutto inidoneo ad essere considerato una prova in quanto formato nei confronti di soggetti non titolari di alcuna obbligazione pecuniaria nei confronti dell’INPS,non avendo mai assunto la qualità di eredi;
9. che il primo motivo è infondato. Vale ricordare che, ai sensi dell’art. 485 cod. civ., il chiamato all’eredità che, a qualsiasi titolo, è nel possesso dei beni ereditari deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità, in mancanza è considerato erede puro e semplice. E’ stato chiarito che per possesso dei beni ereditari in capo al chiamato all’eredità deve intendersi una relazione materiale intesa come situazione di fatto, anche circoscritta ad uno solo dei beni ereditari, che consenta l’esercizio di concreti poteri su di essi (Cass. n. 11018 del 05/05/2008; Cass. n. 4707 del 14/05/1994; Cass. n. 4835 del 25/07/1980). Inoltre, è principio pacifico quello secondo il quale affinché un atto del chiamato all’eredità possa configurare accettazione tacita, è necessario che esso presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che si tratti di atto che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. In proposito, questa Corte (Cass. 20/3/1976, n. 1021) ha precisato che non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza nonché della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato. In ogni caso, occorre però che si tratti di atti incompatibili con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza tutti quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario, potendosi in linea generale affermare che tutti gli atti previsti dall’art. 460 cod. civ. (disciplinante i poteri del chiamato prima dell’accettazione, e cioè: compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione dello status da chiamato ad erede. E’ stato anche chiarito che la ricerca della volontà di accettare l’eredità attraverso l’accertamento e l’interpretazione degli atti compiuti dal chiamato si risolve in un’indagine di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità, purché il risultato sia congruamente motivato, senza errori di logica o di diritto (Cass. 12753 del 17/11/1999 n. 2663 del 22/03/1999). Orbene, nel caso in esame, la Corte d’appello, con una valutazione di merito sorretta da sintetica ma adeguata motivazione e non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che la D.N. e F.P., chiamati all’eredità del congiunto A.P., avevano continuato a gestire l’officina di cui era titolare il de cuius costituendo la società di fatto denominata “eredi di P.A.” e tale circostanza era emersa dal verbale ispettivo INPS ed era stata ammessa anche dal difensore dei predetti all’udienza di discussione.
Peraltro, che i ricorrenti si trovassero nel possesso dei beni ereditari tanto da procedere alla gestione dell’officina anche se per un breve tempo ed attraverso la menzionata società di fatto è circostanza ammessa anche nel motivo all’esame sicché, in mancanza della redazione dell’inventario nel termine di cui all’art. 485 cod. proc. civ., per i predetti si era verificata l’accettazione “ex lege” dell’eredità;
10. il secondo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
E’ infondato, alla luce di quanto sopra esposto, nella parte in cui collega la inidoneità del verbale ispettivo, notificato con missiva raccomandata del 24 aprile 1993, e delle lettere raccomandate recapitate alla D.N. ed a F.P. ad interrompere il termine decennale di prescrizione in quanto i predetti non potevano essere considerati eredi di A.P..
E’ inammissibile laddove assume che la raccomandata del 21 dicembre 1995 non era un valido atto interruttivo della prescrizione perché del tutto generica non avendo i ricorrenti assolto al duplice onere di indicare esattamente in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovasse il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o dì parte (Cass. n. 14107 del 07/06/2017; Cass. n. 26174 del 12/12/2014). E’, inoltre, inammissibile anche nella parte in cui sembra denunciare il vizio di motivazione insufficiente non più contemplato ( SU n. 8053 del 7 aprile 2014);
11. il terzo motivo è inammissibile in quanto nonostante il formale richiamo a violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione, articola censure che si risolvono nella denuncia di una errata o omessa valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti onde ottenere una rivisitazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede; ed infatti, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);
12. pertanto, il ricorso va rigettato;
13. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dell’INPS;
14. sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificata pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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