CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2022, n. 2452
Contratti di formazione e lavoro – Sgravi contributivi – Fruizione – Presupposti – Onere della prova
Rilevato che
La Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 254 del 2015, ha pronunciato dispositivo con il quale ha accolto l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza di primo grado (resa nei confronti della società G.C.F. s.p.a. e della P. Riscossioni s.p.a.) di accoglimento dell’opposizione a cartella proposta dalla prima società, provvedendo in questi testuali termini: < Accoglie per quanto di ragione l’opposizione proposta con il ricorso del 26.11.2007 e, per l’effetto, annulla la cartella esattoriale per la somma eccedente quella di euro 2.169; dichiara compensate le spese del doppio grado del giudizio>;
in motivazione, dopo aver enunciato i motivi di appello proposti dall’INPS (malgoverno dei principi relativi al riparto dell’onere della prova sui presupposti per fruire degli sgravi sui contributi per contratti di formazione e lavoro, erroneità dell’affermazione sulla incertezza della pretesa ed omessa ammissione della c.t.0 contabile) la sentenza ha affermato che l’onere della prova sui presupposti di fatto per la fruizione degli sgravi spettava al datore di lavoro e ciò anche nel caso di specie, relativo alla restituzione di sgravi a seguito della decisione della Commissione europea del 1999 sulla loro illegittima fruizione; inoltre, la richiesta di restituzione avanzata dall’INPS era determinata, essendo pur sempre derivata dal conguaglio operato dalla datrice di lavoro sui DM10/M per le assunzione con contratto di formazione e lavoro, mentre generica era stata l’opposizione della società che non aveva mai contestato nel quantum le somme indicate; lo stesso istituto aveva, in corso di giudizio, provveduto a rideterminare la pretesa limitandola ad euro 2.169 alla luce della documentazione acquisita; ha quindi concluso < per l’affermazione della sussistenza della pretesa creditoria dell’INPS nella misura di euro 2169 oltre accessori secondo legge, al posto di quella erroneamente azionata nella cartella esattoriale opposta e di cui va conseguentemente disposto l’annullamento>;
avverso tale sentenza ricorre l’INPS con un motivo;
resiste con controricorso la società, eccependo la carenza di interesse ad impugnare da parte dell’INPS essendo stato pagato l’intero credito e le sanzioni; inoltre, propone ricorso incidentale basato su due motivi;
l’INPS ha depositato procura in calce alla copia notificata del ricorso incidentale;
Considerato che
il motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4) c.p.c., è relativo alla violazione degli artt. 113, 132, 156, 429, 437 e 442 c.p.c. in ragione del fatto che, nonostante il totale accoglimento dell’appello, la sentenza si era limitata a riconoscere in dispositivo il diritto alla sola contribuzione previdenziale, con ciò integrando un insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione, mancando il riferimento in dispositivo al pagamento delle sanzioni civili;
il primo motivo del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4) c.p.c., lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c, della decisione Commissione UE n. 128/2000 e della sentenza CGUE C 99/02 dell’1.4.2002, in quanto la sentenza avrebbe contraddittoriamente affermato che l’INPS aveva determinato sufficientemente il credito in cartella e che fosse corretta la nuova quantificazione effettuata in corso di causa, inoltre vi sarebbe stata una errata applicazione della regola del riparto dell’onere probatorio, comunque pienamente assolto dalla società ma non dall’INPS;
con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce ai sensi del n. 3) e del n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., la violazione del Regolamento CE n. 69/2001, del Regolamento CE n. 1998/2006 e del messaggio INPS n. 984/2005 e vizio di motivazione, dal momento che la società aveva dimostrato il diritto a fruire degli sgravi per tutti e cinque i lavoratori interessati e che, in ogni caso, era stato accertato che la fruizione fosse illegittima solo per due (T. e V.) per un importo non dovuto pari ad euro 2169, somma inferiore agli euro 100.000 nel triennio per cui vale la regola cd. del de minimis;
il ricorso principale è inammissibile;
preliminarmente va disattesa l’eccezione di difetto di interesse ad impugnare, sostenuto dalla controricorrente in virtù del dedotto spontaneo pagamento della contribuzione accertata e delle sanzioni successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata, trattandosi di affermazione del tutto generica ed indimostrata;
quanto al motivo proposto, questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui, se è vero che nel rito del lavoro il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo, tale insanabilità deve nondimeno escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga, sì da potersi escludere l’ipotesi di un ripensamento del giudice: in tal caso, infatti, è configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l’esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall’altro, deve qualificarsi come inammissibile l’eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione (così Cass. nn. 18202 del 2008, 10305 del 2011, 24841 del 2014 e, da ult., Cass. n. 21618 del 2019; Cass. n. 6947 del 2020);
nel caso di specie è affatto evidente che la pretesa divergenza tra dispositivo e motivazione sarebbe, a tutto concedere, meramente quantitativa, sostenendosi da parte ricorrente semplicemente che le voci indicate nella motivazione a giustificazione dell’accoglimento dell’appello sarebbero comprensive sia del credito contributivo che delle sanzioni civili mentre, l’importo indicato nel dispositivo ne sarebbe privo, di talché, in continuità con il suesposto principio di diritto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
il ricorso incidentale è infondato;
quanto al primo motivo, va osservato che non vi è alcuna contraddittorietà, sul piano logico, tra la affermazione della sufficiente determinazione dell’oggetto della domanda ed il riconoscimento solo parziale della fondatezza della stessa, trattandosi- nel primo caso- di un requisito astratto dell’atto di rilievo processuale e- nel secondo- dell’esito del giudizio sulla sua fondatezza;
inoltre, la Corte territoriale ha fatto corretta enunciazione del principio in materia di onere della prova richiamando pertinente giurisprudenza; non sussiste la lamentata violazione e falsa applicazione della decisione della Comunità Europea dell’ 11 maggio 1999 in relazione al riparto degli oneri probatori, posto che la Corte territoriale si è attenuta al consolidato principio secondo cui in tema di sgravi contributivi e di fiscalizzazione degli oneri sociali, grava sull’impresa che vanti il diritto al beneficio l’onere di provare la sussistenza dei necessari requisiti in relazione alla fattispecie normativa di volta in volta invocata (v. Cass. sez. lav. n. 14130 dell’1.10.2002, n. 19262 del 16.12.2003, n. 5137 del 9.3.2006, n. 16351 del 24.7.2007, n. 21898 del 26.10.2010 e Sez. Un. 6489 del 26.4.2012); nè la circostanza che le condizioni legittimanti il beneficio siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie può alterare i termini della questione, spettando pur sempre al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni, stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale, per poter legittimamente usufruire degli sgravi (Cass. n. 6671 del 2012; in senso conf. V. Cass. Sez. lav. n. 23654/2016; Cass. n. 15970 del 2020);
inoltre, il motivo è del tutto generico nel richiamare a proprio vantaggio l’esistenza di documentazione attestante il diritto alla fruizione degli sgravi e la critica della sentenza, che risente della scorretta applicazione della regola di riparto dell’onere probatorio, finisce per essere tautologica; ancora, lo stesso riferimento ai dati relativi alle risultanze dei contratti intercorsi con gli unici lavoratori per i quali il recupero è stato mantenuto (T. e V.) non viene riferito ad alcun effetto viziante, rispetto al contenuto della sentenza impugnata;
il secondo motivo è privo di specificità dal momento che l’applicazione della regola del de minimis impone che si espliciti, al di là dell’esito della specifica vicenda in esame, quale sia l’importo di tutte le agevolazioni fruite dall’impresa nel triennio;
la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (vd. da ultimo Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 06/04/2020, n. 7704 ed i richiami ivi contenuti) ha chiarito che in materia di divieti a tutela della concorrenza nell’ordinamento comunitario, la sussistenza delle condizioni per l’esenzione degli aiuti di Stato d’importanza minore (“de minimis”) deve essere provata dal beneficiario con riguardo non al singolo aiuto, ma al periodo di tre anni, decorrente dal momento del primo aiuto, comprendendo ogni altro aiuto pubblico accordato quale aiuto “de minimis”;
infatti questa Corte di cassazione in plurime occasioni (vd. Cass. n. 11228/2011; 6671/2012; 6780/2013; 13687, 13793, 13794 e 25269/2016) ha affermato che la regola de minimis costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale la disciplina restrittiva degli aiuti di Stato contenuta nel Trattato CE deve considerarsi inapplicabile, e ha chiarito non soltanto che la sussistenza delle specifiche condizioni concretizzanti l’applicabilità della regola de minimis costituisce elemento costitutivo del diritto a beneficiare dello sgravio contributivo, che come tale deve essere provato dal soggetto che lo invoca (Cass. n. 6756 del 2012), ma soprattutto che per la sussistenza di tali condizioni non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata dalla decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto de minimis, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico accordato sotto qualsiasi forma, e fermo restando che, in caso di superamento della soglia, riacquista vigore in pieno la disciplina del divieto che involge l’intera somma, la quale deve essere recuperata per l’intero e non solo per la parte che eccede la soglia di tolleranza, a prescindere dalla circostanza che l’aiuto sia stato erogato in epoca precedente al Regolamento (CE) n. 69/2001;
le spese del giudizio di legittimità vanno compensate alla luce della reciproca soccombenza (art. 92 c.p.c.);
in definitiva, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e quello incidentale va rigettato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta l’incidentale;
spese compensate.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
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