CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 giugno 2018, n. 16934
Fallimento – Compensi a professionisti – Accertamento – Credito – Assistenza in procedure concorsuali
Rilevato che
M.I. propone ricorso per cassazione, in tre motivi, avverso il decreto col quale il tribunale di Firenze, accogliendo parzialmente la sua opposizione allo stato passivo del fallimento di C.M. s.r.l., in relazione al credito derivante dallo svolgimento dell’incarico di predisposizione della relazione di asseverazione – incarico conferito dalla società per poter essere ammessa alla procedura di concordato preventivo -, ha quantificato detto credito in euro 20.000,00, ritenendo inopponibile, perché priva di data certa, la scrittura privata posta a fondamento della domanda di insinuazione;
tale domanda era stata parametrata al compenso asseritamente concordato nella detta scrittura (euro 200.000,00), e a fronte di essa il tribunale ha invece ritenuto di dover quantificare il credito nella citata inferiore somma risultante dall’applicazione delle tabelle riferite all’attività dei commercialisti ed esperti contabili di cui al d.m. n. 140 del 2012, art. 21, riquadro 3, tab. C; in tal senso ha ritenuto che il compenso, calcolato in misura prossima ai minimi, dovesse essere ridotto di un terzo in relazione alla circostanza, pacifica, che il dr. I. si era avvalso degli accertamenti e dell’opera di un altro professionista (dr. M.), a sua volta ammesso al passivo; il ricorrente censura la decisione: (i) col primo motivo, deducendo violazione dell’art. 2704 cod. civ., poiché la data del documento avrebbe potuto essere provata in altro modo, o quantomeno essere desunta dall’anteriorità del conferimento dell’incarico nell’ambito della procedura di concordato preventivo rispetto alla dichiarazione di fallimento della società; (ii) col secondo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione del d.m. 140 del 2012, art. 21, poiché le tabelle di quantificazione del compenso del professionista potevano essere utilizzate soltanto in caso di mancato accordo delle parti per la determinazione del compenso, e poiché in ogni caso il tribunale avrebbe dovuto selezionare la conferente tabella in relazione all’attività di “assistenza in procedure concorsuali”, anziché a quella di “valutazioni, perizie e pareri”; (iii) col terzo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., poiché la condotta dell’altro professionista intervenuto nella prestazione non aveva avuto un peso rilevante ma carattere di mera collaborazione, stante la completa assunzione di responsabilità da parte del ricorrente per i dati attestati nel piano; la curatela del fallimento ha replicato con controricorso; il ricorrente ha depositato una memoria.
Considerato che
il primo motivo è inammissibile, in quanto il tribunale di Firenze ha correttamente osservato che la scrittura privata non poteva considerarsi opponibile al fallimento, perché priva di data certa in relazione alla circostanza dell’avvenuta pattuizione del compenso per la stesura della relazione;
il tribunale non ha posto in questione (ovviamente) l’anteriorità del conferimento dell’incarico, ma unicamente ha ritenuto non provata la data certa del documento implicante la pattuizione del compenso; in questa prospettiva il motivo è inammissibile perché privo di pertinenza, giacché si incentra sull’ ininfluente fatto dell’anteriorità del conferimento dell’incarico onde sostenerne una conseguenza estranea, qual è quella dell’anteriorità altresì del documento contenente la misura del compenso;
il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato;
è inammissibile a misura dell’insistito rilievo circa l’avvenuta stipulazione di un accordo sul compenso: la stipulazione resta infatti inopponibile al fallimento in base alla ratio inerente al difetto di data certa della corrispondente scrittura, rivelatasi esatta; è manifestamente infondato nel riferimento alla necessità di parametrare il compenso all’attività di “assistenza in procedure concorsuali” (art. 27 del d.m. n. 142 del 2012), anziché a quella di “valutazioni, perizie e pareri” (art. 21 d.m. cit.); l’art. 27, evocato in ricorso, si riferisce alla generica attività di assistenza in procedure concorsuali, vale a dire a quella attività che la norma individua nell’esecuzione di incarichi di complessiva assistenza al debitore nel periodo preconcorsuale (e nel corso di una procedura di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione di debiti e di amministrazione straordinaria); incarichi che, per non essere individuati in relazione a profili specifici, postulano che il compenso debba essere determinato “in funzione del totale delle passività”, così da risultare liquidabile, “di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 9 della tabella C – Dottori commercialisti ed esperti contabili”;
di contro l’attività per la quale il dr. I. richiese il compenso era correlata a un incarico specifico, dal tribunale indicato come “di assistenza svolta nello studio, predisposizione, redazione e asseverazione della relazione ex art. 161, co. 3, L.F.”; vale a dire a un’attività plausibilmente considerata come funzionale alla redazione di un “parere motivato” ovvero a “relazioni di stima richieste da disposizioni di legge o di regolamenti” (art. 21 del d.m. citato), con conseguente piena giustificazione, in mancanza di un accordo sul compenso opponibile al fallimento, del computo infine parametrato a tale norma;
il terzo motivo è inammissibile, poiché suppone un sindacato di fatto;
il ricorrente non contesta la circostanza posta a base della riduzione del compenso, vale a dire che per l’esecuzione dell’incarico egli si era avvalso dell’opera di altro professionista a sua volta ammesso al passivo del fallimento;
l’assunto inerente alla presunta scarsa rilevanza dell’opera di tale professionista nell’elaborazione della relazione di asseverazione, per essere stata la suddetta attività limitata alla raccolta di documentazione, è assertivo e implica valutazioni di fatto estranee al giudizio di legittimità;
la censura facente leva sulla violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è in verità diretta a sollecitare un sindacato sull’esito della valutazione documentale;
le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 3.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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