CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 giugno 2018, n. 16948
Rapporto di lavoro – Contratti di somministrazione a termine – Risoluzione per mutuo consenso – Accertamento della volontà delle parti di risolvere il rapporto
Rilevato
che la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata l’11.3.2013, respingendo l’appello proposto da G. C., ha ritenuto risolti per mutuo consenso i contratti di somministrazione a termine stipulati dall’appellante con A. s.p.a. e con M. s.p.a. per lo svolgimento di attività presso la società utilizzatrice T. Italia s.p.a. nel periodo 6.6.2005 – 5.12.2007, rilevando il notevole decorso del tempo tra la cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro e l’impugnazione giudiziale del contratto (oltre tre anni), la mancata deduzione di eventuali impedimenti rispetto ad una iniziativa di tutela in sede giurisdizionale, la mancata messa a disposizione delle energie lavorative, l’avvenuto reperimento di ulteriori attività lavorative per gran parte del periodo di inerzia;
che contro tale decisione la lavoratrice propone ricorso, affidandolo a un motivo e la società resiste con controricorso;
che entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato
che con l’unico motivo di ricorso viene dedotta violazione degli artt. 1372, 2697, 2729 cod.civ. nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.), avendo il giudice del gravame accolto l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza tener conto che alcuna volontà solutoria poteva essere riconnessa all’attesa di essere chiamata a lavorare dalla società, considerate le condizioni socio- economiche del paese;
che il motivo non è fondato, in quanto deve rilevarsi che l’accertamento di merito, svolto al riguardo dalla Corte territoriale, è conforme a diritto ed è stato congruamente motivato, con riferimento alla giurisprudenza prevalente di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. Sez. U. 27.10.2016 n.21691, in motivazione; in senso conforme, Cass. 7.12.2017 n. 29427; Cass. 27.10.2015 n. 21876; Cass. 1.7.2015 n. 13535; Cass. 28.1.2014 n. 1780) la quale ha confermato la necessità dell’accertamento della “chiara e comune volontà delle parti”: requisito, nel caso di specie, ravvisabile – come correttamente sottolineato dalla Corte distrettuale – che, con valutazione di merito in questa sede incensurabile e conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 12.12.2017 n. 29781), ha ritenuto che, in presenza di ulteriori elementi di valutazione diversi dal mero decorso del tempo, fosse ravvisabile nel comportamento tenuto dalle parti una volontà di risolvere il rapporto;
che, nella specie, la Corte ha rilevato che, oltre ad essere decorso un lasso di tempo superiore a tre anni tra la cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro a termine e l’impugnazione giudiziale, ricorrevano altri indici presuntivi della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, quali la mancata deduzione di eventuali impedimenti rispetto ad una iniziativa di tutela in sede giurisdizionale, la mancata messa a disposizione delle energie lavorative, l’avvenuto reperimento di ulteriori attività lavorative per gran parte del periodo di inerzia;
che l’apprezzamento della idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze rientra nei compiti affidati al giudice del fatto, senza che il convincimento da questi espresso in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale e non con riferimento singolare a ciascuno di essi (cfr. Cass. 2015 n. 23201, Cass. 2017 n. 5374, in ordine alla valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati), possa essere suscettibile di un diverso o rinnovato apprezzamento in sede di legittimità (cfr. Cass. 12.12.2017 n. 29781);
che il ricorso va, pertanto, rigettato e la regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidata in euro 200,00 per esborsi e in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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