CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 giugno 2018, n. 16951
Lavoro straordinario – Mancata fruizione parziale di ferie e permessi – Pagamento di differenze retributive – Diritto – Riconoscimento
Rilevato che
la Corte d’Appello di Torino, con sentenza pubblicata il 27 giugno 2013, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto – per quanto qui ancora rileva – la domanda proposta da M. F. nei confronti della datrice di lavoro Società la Borsa di B. G. & C. s.n.c. volta al riconoscimento del diritto al pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario e per mancata fruizione parziale di ferie e permessi nonché al pagamento di euro 6.684,00 pari alla differenza tra gli importi recati dalle buste paga e le somme effettivamente corrisposte;
la Corte territoriale, esaminando il materiale probatorio acquisito, ha ritenuto non provato lo straordinario preteso dalla F. ed il mancato godimento di ferie e permessi; quanto all’allegazione di “un pagamento inferiore a quello portato dalle buste paga”, ha considerato che detta deduzione sarebbe “rimasta priva del benché minimo supporto probatorio”, ritenendo “irrilevanti … tanto il fatto che dette buste siano state consegnate alla F. solo nel marzo 2008 quanto il fatto che le stesse non siano sottoscritte per ricevuta, non trattandosi di adempimento prescritto”;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice soccombente con 2 motivi, cui ha resistito la società con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per cassazione perché notificato il 7 novembre 2013 oltre il termine di 60 giorni dalla notificazione della sentenza impugnata che si assume avvenuta il 5 settembre 2013; entrambe le parti hanno comunicato memorie;
Considerato che
preliminarmente occorre delibare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalla società la quale va disattesa, tenuto conto che dalla copia della sentenza impugnata risulta una relata di notifica ai procuratori avvocati P. e B. recante la data del 9 settembre 2013, sicché la diversa data del 5 settembre 2013 sulla copia in possesso della controricorrente appare il frutto di un errore dell’ufficiale giudiziario, come peraltro attestato dal medesimo con certificazione depositata e comunicata ai sensi dell’art. 372, co. 2, c.p.c., dal difensore della F.;
parimenti deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità delle censure formulata dalla società avuto riguardo alla preclusione imposta dall’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., circa la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. in ipotesi di pronuncia cd. “doppia conforme”, considerato che la norma si applica ai giudizi di appello instaurati successivamente al trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. n. 83 del 2012 (cfr. art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), mentre nella specie, come riporta la sentenza impugnata, il ricorso in appello è stato depositato il 18 giugno 2012;
il primo motivo del ricorso con cui si denuncia, “con riferimento al capo di sentenza relativo ai richiesti emolumenti per l’espletamento del lavoro straordinario e la mancata fruizione di ferie e permessi”, “nullità del procedimento e della sentenza ex art. 360, 1° comma, n. 4, c.p.c., e/o per la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., o, in estremo subordine, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”, non è meritevole di accoglimento;
innanzitutto devono escludersi le prospettate violazioni di legge avendo fatto la Corte territoriale applicazione del principio per il quale il lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per il lavoro straordinario ha l’onere di dimostrare di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro, senza che possa farsi ricorso, nel relativo accertamento, al criterio equitativo di cui all’art. 432 c.p.c., atteso che tale norma riguarda la valutazione del valore economico della prestazione lavorativa e non già la sua esistenza (cfr. Cass. n. 4668 del 1993; Cass. n. 14466 del 1999; Cass. n. 1389 del 2003);
la valutazione sull’assolvimento dell’onere probatorio in ordine al lavoro straordinario prestato costituisce accertamento di fatto (Cass. n. 12434 del 2006; Cass. n. 3714 del 2009), così come quello in ordine alla mancata fruizione di permessi e ferie, per cui esso è censurabile in sede di legittimità secondo i canoni imposti dall’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. nella formulazione tempo per tempo vigente, sicché la censura formulata da parte ricorrente a mente di tale disposizione senza tenere conto che la sentenza impugnata è sottoposta al regime novellato, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, delle cui prescrizioni non si cura, è inammissibile;
parimenti compete al giudice del merito il potere di valutare gli elementi di prova, comprese le presunzioni semplici, al fine di giungere, in termini sufficientemente concreti e realistici, ad una determinazione “minimale” delle ore prestate in aggiunta all’orario normale (Cass. n. 6623 del 2001; cfr. Cass. n. 11615 del 1995; Cass. n. 12884 del 1999);
in ordine all’errore di attività che sarebbe stato compiuto dai giudici di merito nell’ammettere solo 4 testimoni rispetto ai 29 richiesti da parte attrice, pur essendo censurabile l’assunto della Corte territoriale nella parte in cui afferma che “le altre prove testimoniali offerte dalla F. appaiono del tutto inidonee al raggiungimento dello scopo, perché non si comprende come parenti, amici, colleghi o conoscenti possano essere in grado di ricordare in quali giorni o ore la S F. abbia fatto straordinario o abbia o meno goduto di ferie o permessi” (in violazione del principio secondo cui l’ammissione di una prova testimoniale non può essere negata in considerazione del suo probabile esito negativo per l’inverosimiglianza dei fatti allegati, ovvero per la ritenuta inidoneità del teste a fare un resoconto preciso dei fatti allegati, v. Cass. n. 9640 del 1999; Cass. n. 5313 del 1998; Cass. n. 6382 del 1983), tuttavia l’error in procedendo non è tale da determinare la nullità della sentenza o del procedimento a mente dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.: infatti anche nella specie “non risulta assolto l’onere di specificare le circostanze, ipoteticamente decisive per le sorti della controversia, che avrebbero potuto essere riferite dai testimoni non escussi perché ritenuti non utili all’istruzione della causa” (Cass. n. 6023 del 2009) e la Corte territoriale non ha precluso in toto il diritto alla prova, avendo comunque scrutinato le testimonianze assunte che hanno indotto un certo convincimento ed avendo sostanzialmente confermato la riduzione della lista testimoniale operata in primo grado che, in relazione al comma 1 dell’art. 245 c.p.c., costituisce, per risalente insegnamento, “un potere discrezionale del giudice del merito”, (Cass. n. 2404 del 2000; Cass. n. 1176 del 1985) non sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 8396 del 1993; Cass. n. 2255 del 1971);
risulta invece fondato il secondo motivo di ricorso, in cui si lamenta violazione e falsa applicazione di legge nonché nullità della sentenza, per avere la Corte piemontese ritenuto che la F. avesse allegato ma non provato “un pagamento inferiore a quello portato dalle buste paga”, nella specie neanche sottoscritte;
infatti per pacifico principio di legittimità le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta”, costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, per cui nella specie ove tali prospetti non erano neanche sottoscritti era la società debitrice a dover provare l’adempimento (in ossequio ai saldi principi stabiliti da Cass. SS.UU. n. 13533 del 2001) e non certo la creditrice F. a dover provare di aver ricevuto somme inferiori al dovuto;
dunque, rigettato il primo motivo, deve essere accolto il secondo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, regolando anche le spese;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.
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