CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 giugno 2018, n. 16981
Tributi – Accertamento – induttivo – Reddito d’impresa – Ristorante – Ricostruzione dei ricavi – Consumo unitario di tovaglioli
Rilevato che
– in controversia relativa ad avviso di accertamento di maggiori ricavi ai fini IVA, IRAP ed IRPEF emesso con riferimento all’anno di imposta 2000 nei confronti della contribuente, esercente l’attività di ristorante, trattoria e pizzeria, sulla base delle risultanze di un p.v.c. redatto dalla G.d.F., la CTR rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo che le presunzioni su cui era fondato l’accertamento della G.d.F., fatte proprie dall’amministrazione finanziaria che, senza adeguata valutazione degli stessi, vi aveva fondato l’atto impositivo, erano prive di validità logico – giuridica e che il metodo seguito per l’accertamento non era incentrato su criteri metodologici accettabili, trattandosi di mere presunzioni prive di riscontro oggettivo e in contrasto con le regole di comune esperienza; precisava che l’unico elemento certo era dato dal numero delle tovaglie di carta acquistate nell’anno al netto delle rimanenze, ma che, diversamente da quanto fatto dalla G.d.F. prima e dall’amministrazione finanziaria poi, la ricostruzione dei ricavi non poteva essere fondata sulla presunzione di utilizzo di ogni tovaglia per un numero di quattro clienti ed al prezzo di £. 30.000 per ogni pasto a persona, senza operare alcun abbattimento percentuale per lo scarto di tovaglie inutilizzate in quanto lacerate o in cattivo stato o perché utilizzate dal proprietario e dai familiari o perché sovrapposte su ogni tavolo;
– avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui non replica l’intimata;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
Considerato che
– con il motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e 2, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 323 del 2001, sostenendo che l’accertamento di maggiori ricavi poteva fondarsi «su un unico elemento presuntivo e non necessariamente su una pluralità di fonti “concordanti”», purché dotato dei requisiti di gravità e precisione, nella specie individuabile nel «numero delle tovaglie disponibili, quantificate dai verbalizzanti in 2.800» e nel «prezzo medio per coperto», pari ad Euro 15,49 (corrispondenti a 30.000 delle vecchie lire);
– il motivo è inammissibile là dove sostiene l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento di maggiori ricavi dall’attività di impresa, di un solo elemento presuntivo purché preciso e grave (Cass. n. 22122 del 2010), nella specie il c.d. tovagliometro, che, pare opportuno precisare, è metodo di accertamento presuntivo dei ricavi di un esercizio di ristorazione ritenuto legittimo dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. Cass. n. 9884 del 2002, n. 25129 del 2016, n. 20060 del 2014, n. 12438 del 2007, n. 15808 del 2006, n. 16048 del 2005);
– il predetto motivo è inammissibile perché non congruente con la decisione impugnata che ha, invece, escluso la valenza probante degli elementi presuntivi addotti dall’ufficio con valutazione non censurata (né censurabile, se non nei limiti della nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) sotto il profilo della congruità della motivazione (v. Cass. 26 gennaio 2007, n. 1715; n. 13068 del 2011);
– invero, la tesi pure prospettata dalla ricorrente, secondo cui, in presenza di un accertamento sul numero delle tovaglie inventariate e sul prezzo medio per coperto effettuato in contraddittorio con la parte, i giudici di appello non potevano limitarsi ad annullare l’avviso di accertamento ma avrebbero dovuto esaminare nel merito la pretesa tributaria e rivalutarla alla stregua delle istanze di parte e dell’accertamento dell’ufficio, è carente sotto il profilo della decisività e dell’autosufficienza, non essendo stato specificato ma neppure dedotto se, in relazione alla fattispecie in esame, applicati «gli sfridi adombrati dalla Commissione circa l’utilizzo di tovaglie da parte di familiari e distrutte per negligenze» (ricorso, pag. 5), e cioè utilizzando i criteri di quantificazione delle rimanenze indicati dalla CTR, e considerando un numero di persone per ogni tavolo inferiore ai quattro ipotizzati dai verificatori ed un prezzo medio di ricavo per pasto inferiore a quello di £. 30.000 indicato nel p.v.c., già ridotto in sede di accertamento con adesione a £. 22.500 (ricorso, pag. 6), i ricavi sarebbero stati maggiori di quelli dichiarati;
– in sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile senza necessità di provvedere sulle spese, non avendo l’intimata svolto difese, mentre, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater; d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115;
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
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