CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 giugno 2022, n. 20522
Cumulo tra pensione e reddito da lavoro – Trattenute INPGI – Illegitimittà – Art. 15, Regolamento INPGI approvato con D.M. 24 luglio 1995 – Disapplicazione
Rilevato che
con sentenza depositata il 16.5.2015, la Corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato illegittime le trattenute effettuate dall’INPGI sulla pensione spettante a V.B., titolare di pensione di anzianità, previa disapplicazione dell’art. 15 del Regolamento INPGI approvato con D.M. 24 luglio 1995, che prevede la decurtazione della pensione per il caso che il pensionato svolga attività lavorativa e percepisca redditi da lavoro.
la Corte, in particolare, ha ritenuto che il Regolamento INPGI non potesse derogare alla previsione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 1, recante disciplina del cumulo tra pensione e reddito da lavoro, dando sul punto continuità al principio di diritto affermato da Cass. n. 1098 del 2012; avverso tali statuizioni l’INPGI ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria, con la quale ha chiesto in subordine la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte. V.B. ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria.
Considerato che
con il primo motivo di censura, l’INPGI denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, comma secondo, art. 44, del D.Lgs. n. 509 del 1994, artt. 1, 2 e art. 3, comma 2, lett. b) della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 per avere la Corte di merito illegittimamente disapplicato l’art. 15 del Regolamento INPGI approvato con D.M. 24 luglio 1995;
con il secondo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 76, sul presupposto che l’Istituto, gestendo una forma di previdenza sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria, godrebbe di un’autonomia normativa più limitata rispetto alle casse professionali privatizzate di cui al medesimo D.Lgs. n. 509 del 1994 e non potrebbe dettare alcuna diversa disciplina del divieto di cumulo tra pensione e redditi di lavoro: ad avviso dell’Istituto, infatti, non sarebbe in alcun modo ipotizzabile una differenziazione tra gli enti privatizzati di cui al D.Lgs. n. 509 del 1994 a seconda che gestiscano o meno forme di previdenza sostitutive per lavoratori dipendenti, per modo che non potrebbe dubitarsi che anche all’INPGI sia rimessa la potestà di adottare delibere in materia di contributi e prestazioni al pari degli altri enti privatizzati, come peraltro evidenziato da Cass. S.U. n. 17589 del 2015;
preliminarmente, va disattesa l’istanza di trasmissione della causa al Primo Presidente perché ne valuti l’assegnazione alle Sezioni Unite, non sussistendo il contrasto ipotizzato dal ricorrente, come rende evidente la successiva trattazione;
i motivi, connessi e da trattare congiuntamente, sono infondati;
questa Corte, superando il contrario avviso espresso da Cass. nn. 8067 e 12671 del 2016 (entrambe cit. nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c.), ha ormai consolidato il principio secondo cui, in tema di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, agli iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) deve applicarsi la stessa disciplina prevista per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria facente capo all’INPS, con conseguente necessità di disapplicare l’art. 15 del Regolamento INPGI, cit., che disciplina la materia del cumulo tra reddito da lavoro e trattamento pensionistico in maniera diversa da quanto previsto nel regime relativo all’ a.g.o. (così, da ult., Cass. nn. 19573 del 2019, 21470 del 2020 e 22170 del 2021).
A sostegno della continuità al principio già espresso da Cass. n. 1098 del 2012, questa Corte ha invero osservato che non si tratta certo di negare il valore semantico attribuito dall’opposto orientamento al disposto della L. n. 388 del 2000, art. 76, comma 4, secondo cui l’autonomia gestionale, organizzativa e contabile riconosciuta all’INPGI, come agli altri enti privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994, troverebbe limite nella mera esigenza che l’Istituto assicuri il coordinamento delle proprie regole gestionali con quelle operanti con riguardo al regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, ma semmai di attribuire la necessaria rilevanza alla norma regolatrice della fattispecie ratione temporis di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 2 e della L. n. 289 del 2002, art. 44, comma 2, la cui formulazione letterale (secondo cui “a decorrere dal 1 gennaio 2003 il regime di totale cumulabilità tra redditi di lavoro autonomo e dipendente e pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, prevista dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 72, comma 1, è esteso ai casi di anzianità contributiva pari o superiore ai 37 anni a condizione che il lavoratore abbia compiuto 58 anni di età. I predetti requisiti debbono sussistere all’atto del pensionamento”) è tale da legittimare l’interpretazione secondo cui il regime di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro ivi introdotto operi identicamente per la previdenza sociale obbligatoria e per le forme sostitutive, anche ove gestite da enti privatizzati, per modo che la disposizione cit. ben può rappresentare quella “norma espressa” che lo stesso Istituto ricorrente sostiene essere necessaria affinché la disciplina dettata per i trattamenti pensionistici gestiti dall’ a.g.o. sia applicabile anche agli iscritti alla forma sostitutiva gestita dall’Istituto medesimo.
Tale soluzione non contrasta con la citata pronunzia n. 17589 del 2015 resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, atteso che quest’ultima si riferisce all’interpretazione della disciplina sul contenimento della spesa pensionistica di cui al D.L. n. 201 del 2011 (conv. con L. n. 214 del 2011), e l’affermazione ivi contenuta, secondo cui il riferimento dell’art. 24, comma 4 D.L. ult. cit., alle forme esclusive e sostitutive dell’a.g.o. non si potrebbe estendere a quelle gestite dagli enti privatizzati, lungi dal valere come criterio interpretativo generale da estendere anche alla L. n. 289 del 2002, art. 44 appare piuttosto giustificata in relazione al fatto che, nell’ambito del D.L. n. 201 del 2011, cit., la normativa riguardante gli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza è regolata appositamente dall’art. 24, comma 24; si deve piuttosto aggiungere che – come parimenti rimarcato da Cass. n. 19573 del 2019, cit. – l’autonomia finanziaria dell’INPGI non è neppure integrale, soccorrendo proprio con riguardo alla disciplina dei pensionamenti anticipati la fiscalità generale: basti ricordare che il D.L. n. 185 del 2008, art. 19, comma 18-ter, lett. a), punto 2, (conv. con L. n. 2 del 2009), ha inserito nel corpo della L. n. 416 del 1981, art. 37 il comma 1-bis, secondo il quale “l’onere annuale sostenuto dall’INPGI per i trattamenti di pensione anticipata di cui al comma 1, lett. b), pari a 10 milioni di Euro annui a decorrere dall’anno 2009 è posto a carico del bilancio dello Stato”, con conseguente facoltà dell’Istituto di “ottenere il rimborso degli oneri fiscalizzati” previa presentazione di idonea documentazione;
a tale misura di sostegno finanziario, peraltro, va aggiunto il radicale intervento di cui all’art. 1, comma 103 della Legge n.234 del 30 dicembre 2021, con il quale, tra l’altro, < Al fine di garantire la tutela delle prestazioni previdenziali in favore dei giornalisti, con effetto dal 1° luglio 2022, la funzione previdenziale svolta dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola» (INPGI) ai sensi dell’articolo 1 della legge 20 dicembre 1951, n.1564, in regime sostitutivo delle corrispondenti forme di previdenza obbligatoria, è trasferita, limitatamente alla gestione sostitutiva, all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che succede nei relativi rapporti attivi e passivi […]›;
anche sotto tale profilo, dunque, la soluzione fatta propria dai giudici di merito non appare viziata da alcuno degli errori imputatile da parte ricorrente;
non può, ancora, essere letta in senso contrastante con tale ormai consolidato orientamento, l’ordinanza n. 22173 del 2021, richiamata dal ricorrente in memoria; tale pronuncia, infatti, ha chiarito che nessuna interferenza, quanto ai reciproci oggetti, può dedursi rispetto all’orientamento dettato da Cass. n. 19573 del 2019, n. 21470 del 2020 e da Cass. n. 22170 del 2021, trattandosi in questo caso di motivazione direttamente correlata alla stretta interpretazione dell’art. 44 della L. n. 289 del 2002 che non ha per nulla messo in discussione il valore precettivo annesso al principio del coordinamento di cui all’art. 76 della I. n. 388 del 2000;
il ricorso, pertanto, va rigettato;
considerato che l’orientamento cui qui si è inteso dare continuità si è definitivamente affermato dopo la proposizione del ricorso per cassazione, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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