CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 giugno 2022, n. 20536
Rapporto di lavoro – Marittimo – Sbarco per avvicendamento – Licenziamento per facta concludentia – Illegittimità
Rilevato che
– con sentenza del 4 gennaio 2019, la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento del reclamo proposto da M.D.M., ha annullato il licenziamento “di fatto” intimato al lavoratore in data 4 dicembre 2015 dalla C. S.p.A., ordinando, per l’effetto, alla società di reintegrarlo nel posto di lavoro e condannando la medesima al risarcimento del danno, commisurato alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla reintegra, nei limiti di 12 mensilità, oltre accessori di legge;
– in particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto incontestate fra le parti alcune circostanze di fatto: a) la sussistenza tra le stesse di un rapporto di lavoro subordinato, costituito in esecuzione di pronunzia del Tribunale di Napoli – passata in giudicato – e, pertanto, l’inserimento del ricorrente nel personale “stabile” della società; b) la comunicazione al medesimo, in data 4 dicembre 2015, dello sbarco per avvicendamento e il successivo invito, ai sensi degli artt. 18 84 del CCNL Federalinea dell’1/7/2015, a presentarsi negli uffici della società entro 30 giorni dallo sbarco per la reiscrizione al turno particolare; c) la ritenuta configurazione del provvedimento di sbarco, da parte del dipendente, come “licenziamento” per la difformità rispetto alle caratteristiche di stabilità e continuità precedentemente godute;
– per la cassazione della sentenza propone ricorso la C. S.p.A. affidandolo a due motivi;
– resiste, con controricorso, M.D.M..
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 84 del CCNL di categoria, assumendosi l’erronea interpretazione. da parte del giudice di secondo grado delle disposizioni contrattuali in tema di “avvicendamento” del personale marittimo;
con il secondo motivo si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 47-68 della legge n. 92 del 2012 in relazione all’art. 360 n. 3, adducendosi l’inesistenza di un licenziamento;
il primo motivo è infondato;
valutando i profili di diritto diffusamente affastellati nel lungo atto introduttivo, va evidenziato che il contratto considerato, conformemente alla decisione resa dal Tribunale di Napoli e passata in giudicato, si configura come un contratto di arruolamento a tempo indeterminato: in virtù della struttura del medesimo, il lavoratore, anche quando non in regime contrattuale di continuità retribuita di lavoro (CRL) non addiviene ad una sequela non continua di imbarchi con distinti contratti di arruolamento (cfr., sul punto, Cass. n. 20412 del 2019; Cass. n. 7823 del 2001) rimanendo, invece, il rapporto unico ed indistinto;
questa Corte ha sicuramente affermato, in termini generali (cfr., Cass. n. 24672 del 2016, n. Cass. n. 21230 del 2015) che in tema di rapporto di lavoro nautico, il regime di continuità del rapporto di lavoro (CRL), che garantisce la protrazione a tempo indeterminato del contratto di arruolamento e la permanenza del rapporto anche nei periodi di inoperosità tra ciascuno sbarco e l’imbarco successivo, non è generalizzato, essendo riscontrabile solo nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, sicché, in assenza di essa, l’attività del lavoratore marittimo, seppure alle dipendenze dello stesso imprenditore, è costituita solamente da una sequenza non continua di imbarchi con distinti contratti di arruolamento, secondo il regime generale previsto dall’art. 325 cod. nav.;
nondimeno, è stato sottolineato in sede di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 24672 del 2016) come la configurazione del rapporto quale a tempo indeterminato non può comportare esclusivamente che non sia predeterminato il momento della sua risoluzione e che la sua durata coincida con quella della convenzione di imbarco;
si è, altresì, evidenziato che lo sbarco del lavoratore non necessariamente coincide con la risoluzione del rapporto, in quanto il contratto di arruolamento a tempo indeterminato può essere caratterizzato da sbarchi e successivi nuovi reimbarchi, con sospensione, negli intervalli, della prestazione lavorativa (V. Cass. n. 3869 del 2001);
del tutto distinta la fattispecie dell’iscrizione al turno particolare in relazione al quale va affermato, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (Cass. n. 7823 del 2001), che la disciplina collettiva dell’istituto (artt. 68, 69 70 del CCNL), analogamente a quanto previsto dal il D.M. 13 ottobre 1992 n. 584 – che disciplina il collocamento sul piano meramente regolamentare e che esonera dall’obbligo del collocamento i marittimi in regime di CRL senza esplicitare alcuna distinzione tra arruolamento e mero nuovo imbarco relativamente ai marittimi Iscritti nei turni particolari – che si tratta di istituto caratterizzato dall’esclusivo scopo di facilitare le operazioni di reclutamento del personale nonché dalla finalità di assicurare marittimo disoccupato una priorità nell’imbarco delle navi dell’armatore al cui turno sia iscritto; l’iscrizione al turno consente, inoltre, all’armatore medesimo di avere una propria riserva di personale: si tratta, pertanto, esclusivamente di una forma di avviamento al lavoro che non conferisce alcun diritto soggettivo alla stipula del contratto di imbarco;
ne consegue che le relative previsioni contrattuali non possono giustificare una valida deroga alla disciplina legale in materia di durata dei rapporti di lavoro e di limiti alla risoluzione dei medesimi ad iniziativa del datore di lavoro (in questi termini, la già richiamata Cass. n. 24672 del 2016);
l’istituto incide, invero, esclusivamente sulla disciplina del collocamento – ricollocamento del lavoratore sul naviglio dell’armatore titolare del ruolo e non sulla qualificazione del rapporto ovvero sulla sua cessazione (cfr., sul punto, Cass. n. 9468 del 2016); tanto precisato, deve, quindi, escludersi che la nozione di contratto a tempo indeterminato sia diversa da quella propria dei rapporti di lavoro comune e, del pari, che nell’ambito della disciplina contenuta nel codice della navigazione, la qualificazione di un rapporto come a tempo indeterminato significhi semplicemente che non vi è predeterminazione del momento della sua risoluzione e che la sua durata coincida con quella della convenzione di imbarco, e che, in conseguenza, il rapporto di lavoro si risolva all’atto dello sbarco del marittimo; d’altra parte, le cause di risoluzione del rapporto di lavoro previste dall’art. 343 cod. nav. non sono compatibili con i regimi di stabilità e di controllo giudiziale della adeguatezza delle causali di risoluzione, introdotti dalle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, applicabili anche al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 96 del 1987, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 10 della legge 604/66 e 35 terzo comma legge 300/70, nella parte in cui escludono l’applicabilità a detto personale dell’intera legge n. 604 e dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori (sul punto, Cass. n. 10583 del 2005, Cass. n. 3458 del 2005, Cass. n. 14657 del 2004);
a tanto consegue che è ritenersi regime non più applicabile, in particolare e per quanto riguarda più da vicino la fattispecie in esame, la risoluzione di diritto del contratto di arruolamento, prevista dall’ art. 343 n. 5 cod. nav., dell’arruolato che, per malattia o per lesioni, deve essere sbarcato o non può riassumere il suo posto a bordo alla partenza della nave da un porto di approdo; tale previsione attribuisce, infatti, efficacia risolutiva automatica ad un’ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa, in contrasto con i principi della legge n. 604 del 1966;
la tesi di parte ricorrente è stata ritenuta, inoltre, in contrasto con la disciplina degli artt. 326 e 332 comma 2 cod. nav., che qualificano come un unitario rapporto a tempo indeterminato la prestazione di servizio della durata complessiva di oltre un anno, ovvero avvenuta sulla base di successivi contratti a viaggio o a termine, anche nel caso in cui sussistano intervalli di tempo non superiori a 60 giorni tra un contratto e l’altro, ovvero quando non risulta stipulato (come nel caso in esame) alcun contratto a tempo determinato (cfr., sul punto, Cass. n. 9468 del 2016);
non è, quindi, condivisibile l’assunto della ricorrente, secondo cui, fuori del caso di CRL, l’attività del lavoratore marittimo, seppure alle dipendenze dello stesso imprenditore, è costituita solamente da una sequenza non continua di imbarchi con distinti contratti di arruolamento;
l’istituto della cosiddetta continuità del rapporto di lavoro (CRL) – di derivazione contrattuale – per quanto è dato desumere dalle allegazioni contenute nel ricorso, al quale non risulta allegato l’intero testo del CCNL e dell’allegato Regolamento, mira, infatti, semplicemente ad attribuire una tutela più elevata del lavoratore sul piano retributivo (Cass. n. 22649 del 2009);
quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 1, 32 L. n. 183 del 2010, in relazione all’art. 324 cod. proc. civ. sotto il profilo della violazione dell’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., ne va dichiarata l’assoluta inconferenza rispetto alla decisione impugnata, con la quale la doglianza non si confronta, atteso che in nessun passaggio della parte motiva della sentenza della Corte territoriale si rinviene il riferimento ad un licenziamento, riscontrandosi, invece, esclusivamente il richiamo alla offerta da parte del lavoratore della propria prestazione, fronteggiata dal rifiuto della società che reclamava, piuttosto, l’iscrizione al turno particolare;
la Corte territoriale non ha adottato alcuna pronunzia ai sensi dell’art. 18 della legge 300/1970, ma si è limitata a confermare, in piena continuità e coerenza con la accertata natura a tempo indeterminato del rapporto dedotto in giudizio, le statuizioni rese dalla sentenza di primo grado (ripristino del rapporto, condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate, detrazione del periodo di arruolamento);
il secondo motivo è inammissibile;
giova rilevare, al riguardo, che il giudice di secondo grado ha ritenuto di individuare nel comportamento della C. – che aveva provveduto allo sbarco per avvicendamento, aveva proceduto ad invitare il D.M. a recarsi presso i propri uffici per l’iscrizione al turno particolare, aveva poi liquidato il trattamento di fine rapporto ed iscritto il dipendente alla Naspi- come una tacita ma inequivoca volontà della società di interrompere il precedente rapporto e modificarne radicalmente ed unilateralmente le condizioni in termini novativi;
ha concluso, quindi, la Corte per l’illegittimità del licenziamento intimato per facta concludentia, adottando le conseguenti statuizioni; tale valutazione, in assenza di puntuali indicazioni di segno contrario, deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità;
deve, invero, osservarsi, al riguardo, come parte ricorrente, in dispregio del disposto di cui all’art. 366 cod. proc. civ., pur avendo fatto riferimento a “documentazione versata in atti” da cui avrebbe dovuto evincersi che nella specie in esame non si sarebbe verificato alcun atto di recesso né, tantomeno, una risoluzione automatica del rapporto, non indica di quale documentazione si tratti né consente di verificare ove la stessa sia reperibile;
va ribadito, al riguardo, che l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (fra le tante, Cass. n. 342 del 2021); alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con attribuzione al difensore, dichiaratosi antistatario;
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore del procuratore di parte controricorrente, dichiaratosi antistatario, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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