CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2018, n. 19923
Imprese industriali degli enti pubblici – Sussistenza dell’obbligo contributivo per Cigs e Cigo – Accertamento – Presupposti per l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta
Rilevato
che la Corte di Appello di Genova confermò la sentenza di primo grado che, in sede di opposizione ad avviso di addebito, aveva accertato la sussistenza dell’obbligo contributivo di I.R. e gas s.p.a. e di I.M. s.p.a. per CIGS, CIGO e mobilità, oltre somme aggiuntive ed sanzioni e, in accoglimento dell’appello incidentale dell’INPS aveva condannato le società al pagamento delle spese di lite del primo grado, liquidando, altresì, a carico delle stesse società le spese del grado;
che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione I.M. s.p.a. sulla base di quattro motivi;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
Considerato
Che con il primo motivo la ricorrente, deducendo plurime violazioni di legge nonché vizio di motivazione, ha censurato la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per cigs e cigo, osservando che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che essa dovesse essere annoverata nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate” esonerate dalla contribuzione in base al disposto dell’art. 3 decreto Capo provv. Stato n. 869 del 1947 e rilevando, altresì, che dall’art. 10, d.lgs. n. 148/2015 e dall’art. 1, comma 309, l. n. 208/2015 poteva evincersi la volontà del legislatore di assoggettare all’obbligo contributivo in argomento le imprese industriali degli enti ad azionariato misto, dovendosene trarre che per i periodi antecedenti all’entrata in vigore della prima norma citata le suddette imprese erano esonerate dal pagamento della contribuzione;
che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della l. n. 223 del 1991, art. 14, richiamate le deduzioni svolte con riferimento alla illustrazione del primo motivo, ha censurato la decisione per avere affermato la sussistenza del l’obbligo di pagamento dei contributi di mobilità;
che con il terzo motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1227, 1375 c.c., dell’art. 1 della l. 7 agosto n. 241 nonché dell’art. 116 c. 10 e/o 13 e/o 15 lett. A) l. 23 dicembre 2000 n. 388, sostenendo che, stante il contrasto interpretativo in tema di obbligo contributivo delle società partecipate, sussistevano in ogni caso i presupposti per l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta secondo le norme richiamate;
che con il quarto motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 1 c. 1175 della l. 27 dicembre 2006 n. 296, nonché dell’art. 8 del DM 24 ottobre 2007, osservando che la società aveva presentato all’Inps domanda di sgravio contributivo per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello per gli anni 2010 e 2011 e che l’Inps aveva comunicato di avere accolto la domanda, senza però procedere allo sgravio. Censura la statuizione della Corte territoriale che, richiamando l’art. 1 co. 1175 della l. 296 del 2006, che subordina i benefici contributivi previsti in materia di lavoro e legislazione sociale al possesso da parte dei datori di lavoro del documento unico di regolarità contributiva, ha ritenuto non meritevole la società di godere dei benefici in ragione dell’omesso pagamento della contribuzione per CIGO, GIGS e mobilità. Osserva che non ricorreva alcuna causa ostativa al rilascio del DURC e quindi all’accertamento della regolarità contributiva, sia perché non era intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della contribuzione dovuta, in questa sede impugnata, sia perché la società aveva comunque provveduto al pagamento degli importi richiesti con l’avviso di addebito;
che i primi due motivi, unitariamente considerati per ragioni di connessione, sono manifestamente infondati, posto che l’obbligo per il pagamento dei contributi per mobilità sussiste nei confronti delle sole imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento di integrazione salariale;
che secondo il consolidato orientamento di questa Corte (in tal senso Cass. n. 27513 del 10/12/2013, analogamente Cass. 4274 del 04/03/2016 e molte successive conformi <<In materia di contributi previdenziali, la gestione di servizi pubblici mediante società partecipate, anche in quota maggioritaria, dagli enti pubblici locali non può beneficiare dell’esonero del versamento dei contributi per cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, disoccupazione e mobilità, in quanto la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. Ne consegue che la finalizzazione della società per azioni, partecipata da ente pubblico locale, alla gestione di un servizio pubblico mediante affidamento cd “in house” (ossia ad un soggetto che, giuridicamente distinto dall’ente pubblico conferente, sia legato allo stesso da una relazione organica) rileva ai fini della tutela del mercato e della concorrenza ma non ha alcun effetto ai fini dell’esonero del versamento dei contributi previdenziali per il finanziamento della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, la disoccupazione e la mobilità>>);
che al richiamato orientamento questa Corte intende dare continuità, mentre in relazione ai dedotti vizi motivazionali si evidenzia che gli stessi sono denunciati in termini non coerenti con l’attuale configurazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, poiché la ricorrente non denuncia l’omesso esame di alcun fatto storico avente rilevanza decisiva ed oggetto di discussione tra le parti;
che resta da aggiungere, con Cass. n. 24437 del 4/5/2017, che <<le suesposte conclusioni non possono essere scalfite né dall’art. 10, d.lgs. n. 148/2015, il quale – per quanto qui interessa – ha espressamente previsto l’assoggettamento alla cassa integrazione (e alla relativa contribuzione) delle imprese industriali aventi ad oggetto la «produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas», dal momento che la sua natura innovativa rispetto al quadro ordinamentale già esistente è già stata espressamente disconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in tal senso Cass. nn. 9816 del 2016, 26016 e 26202 del 2015), né a fortiori dall’art. 1, comma 309, l. n. 208/2015, il quale, nel far salvo dal novero delle abrogazioni previste dall’art. 46, d.lgs. n. 148/2015, l’art. 3, d.I.C.p.S. n. 869/1947 (a norma del quale «sono escluse dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria […] le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato»), ha semmai confermato la voluntas legis di escludere dall’area di operatività delle disposizioni concernenti l’integrazione salariale soltanto quei soggetti che possano qualificarsi come “imprese industriali dello Stato o di altri enti pubblici”, tra le quali, per le ragioni anzidette, non possono figurare le imprese gestite in forma di società a partecipazione pubblica (così Cass. nn. 7332 e 8704 del 2017, dove il richiamo a Cass. S. U. nn. 26283 del 2013 e 5491 del 2014);
che il terzo motivo è generico per mancata indicazione in ordine alle presunte incertezze interpretative atte a fondare la chiesta esenzione e non essendo contrastato l’assunto dell’omesso pagamento “entro il termine fissato dagli enti impositori”, in mancanza di allegazione di pagamento tempestivo;
che del pari è manifestamente infondato il quarto motivo di ricorso, in forza del ragionamento della corte territoriale in punto di incompatibilità degli sgravi con la mancanza di regolarità contributiva emergente dagli atti, in base ad accertamento in fatto compiuto dal giudice d’appello anche sulla base delle norme sul c.d. Dure interno, prescindendo da qualsiasi considerazione in ordine al pagamento della contribuzione in presenza di contestazione, alle quali è estranea la disciplina richiamata dalla parte ricorrente;
che in base alle svolte argomentazioni il ricorso va integralmente rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.000,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore della parte controricorrente che ne ha fatto richiesta.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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