CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2018 , n. 19976
Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Lavoro autonomo e dipendente – Maggiori compensi – Carattere residuale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 25/11/2010, la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto da C.F. avverso la pronuncia emessa il 30/1/2009 dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli. A giudizio del Collegio, il ricorrente non aveva provato l’infondatezza della pretesa tributaria contenuta in un avviso di accertamento, avente ad oggetto maggiori compensi da lavoro autonomo dallo stesso percepiti nell’anno 2000, rideterminati dall’Agenzia delle Entrate in oltre 260 milioni di lire, a fronte di circa 68,8 milioni di lire dichiarati.
2. Propone ricorso per cassazione il F., deducendo i seguenti motivi:
– nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 1, comma 2, d. Igs. n. 546 del 1002, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. La Commissione Regionale, al pari di quella provinciale, non avrebbe speso alcuna motivazione in ordine alle eccezioni preliminari sviluppate dal ricorrente, aventi ad oggetto 1) l’illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione, ex art. 7, I. n. 212/2000 e 3, I. n. 241/1990; 2) l’illegittimità della motivazione dell’avviso quanto alla determinazione dei nuovi compensi accertati, per violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, 3, commi da 181 a 189, I. n. 549/1995, d.p.c.m. 29/1/1996, 42, d.P.R. 600/1973, 3, I. n. 241/1991. Nel merito, poi, nessun argomento avrebbe ad oggetto la mancata valutazione – ad opera del primo Collegio – della peculiarità della professione svolta dal contribuente, “in regime di sostanziale part-time rispetto all’attività principale di dipendente del S.S.N.”. Il totale silenzio serbato dalla sentenza su tali questioni ne imporrebbe l’annullamento;
– vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione. La decisione, con riguardo al già citato profilo del part-time, conterrebbe una motivazione viziata, nei termini denunciati, perché avrebbe prima richiamato lo stesso argomento, quindi lo avrebbe superato sostenendo una carenza probatoria sul punto da parte del ricorrente;
– violazione o falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 2728, 2729 cod. civ. A fronte delle presunzioni semplici impiegate per la quantificazione dei maggiori redditi contestati, le sentenze non avrebbero adeguatamente valutato un elemento decisivo per il ricorrente, quale il carattere del tutto residuale dell’attività libero-professionale rispetto a quella di dipendente dal S.S.N.; con riguardo a tale profilo, la Commissione regionale avrebbe omesso di pronunciarsi, sì da risultare “illegittima l’applicazione pura e semplice dei parametri di cui all’art. 3, comma 184, I. 28 dicembre 1995, n. 549”.
3. Si è costituita l’Agenzia delle Entrate, chiedendo il rigetto del ricorso. In particolare, ha eccepito l’inammissibilità della prima doglianza per carenza di autosufficienza, non avendo riportato in modo preciso il contenuto delle questioni che si assumono non esaminate; l’inammissibilità della seconda, per non aver indicato il rilievo dell’elemento asseritamente non valutato. Da ultimo, l’Agenzia ha dedotto l’inammissibilità anche della terza censura, ancora per carenza di autosufficienza, oltre alla sua infondatezza, per aver il ricorrente preteso di provare l’inesistenza di redditi evasi producendo proprio il modello impiegato per la loro dichiarazione, peraltro privo di indicazione del tempo effettivamente speso nell’attività fonte degli stessi redditi.
Considerato in diritto
4. Il ricorso risulta infondato.
Con riguardo alla prima doglianza, osserva la Corte che il gravame si è limitato a lamentare l’omessa valutazione di talune censure proposte in prime cure ed in appello, senza però indicare quale rilevanza le stesse avrebbero avuto sul merito della controversia, in relazione all’avviso di accertamento notificato al F.. E con la precisazione che le stesse doglianze – come verificato da questo Collegio – erano state proposte in seconde cure con carattere del tutto generico, emergendo evidente che il fulcro del gravame era invece costituito da altri elementi, poi valutati nella decisione qui impugnata.
5. Infondata, di seguito, risulta anche la seconda questione, strettamente connessa alla terza, con la quale si deduce la contraddittorietà motivazionale in ordine al carattere temporalmente residuale che l’attività libero-professionale del ricorrente avrebbe avuto rispetto a quella di dipendente del S.S.N.; tale vizio argomentativo, infatti, non può essere riconosciuto. In particolare, non si ravvisa alcuna aporia logico-giuridica, nei termini contestati, nell’affermare, prima, che – nella prospettiva del contribuente – l’attività libera sarebbe stata svolta soltanto per poche ore al giorno, e, poi, che “il ricorrente non ha prodotto o allegato a sostegno del suo assunto, per confutare l’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta”.
La doglianza in esame, pertanto, risulta all’evidenza apodittica e generica.
6. Da ultimo, la contestata, connessa violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, a mente del quale per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica, tra l’altro, “se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”.
Osserva la Corte, in particolare, che il gravame risulta del tutto generico sul punto, quindi inammissibile, limitandosi ancora a sostenere – in termini apodittici – che la sentenza impugnata non avrebbe considerato il carattere asseritamente residuale dell’attività libero-professionale rispetto a quella dipendente, sì da non adeguare gli strumenti presuntivi impiegati “alle condizioni soggettive in cui un’attività viene svolta”. Un’affermazione priva di contenuti, dunque, al pari della conclusione alla quale la stessa perviene, secondo la quale i parametri di cui all’art. 3, comma 184, I. n. 549 del 1995 sarebbero stati illegittimamente applicati in modo “puro e semplice”, senza valutare, cioè, la specificità del caso concreto. In ordine alla quale, per contro, non censurabile appare il percorso argomentativo sviluppato nella pronuncia, che ha sottolineato: 1) che il contribuente non aveva provato, pur in contraddittorio, la fondatezza delle proprie doglianze; 2) che lo studio di settore invocato dallo stesso risultava sì più preciso ed aderente alla realtà, ma subordinatamente ad una sua corretta compilazione, nel caso di specie non avvenuta (quel che il ricorso non contesta); 3) che, pertanto, l’assunto proposto dal F., volto a negare efficacia ai criteri presuntivi impiegati dall’Agenzia, non aveva trovato alcuna conferma, in assenza di prove od allegazioni a sostegno.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato; le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 a titolo di compenso, oltre spese prenotate a debito.
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