CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2018, n. 20018
Tributi – TARSU – Aree produttive di rifiuti speciali – Eclusione dalla superficie tassabile – Onere di denuncia preventiva all’amministrazione comunale – Prova a carico del contribuente
Fatto e diritto
Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che la ricorrente ha depositato memoria critica alla proposta del relatore depositata in atti, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 930/7/2016, depositata il 13 ottobre 2016, notificata il 24 ottobre 2016, la CTR dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara – rigettò l’appello proposto dalla società C.D. S.r.l. nei confronti del Comune di Ortona, avverso la sentenza di primo grado della CTP di Chieti, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso avviso di accertamento per TARSU relativa all’anno 2012. Avverso la pronuncia della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Comune di Ortona resiste con controricorso.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia «Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. 241/90, 7, 1° comma l. n. 212/2000, 11, comma 2 bis d. lgs. 504/92 (art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.)», lamentando che la decisione impugnata abbia, nel confermare la decisione di primo grado, violato le disposizioni di cui in epigrafe, ritenendo assolto l’onere di motivazione dell’atto impositivo, sebbene lo stesso fosse basato unicamente su motivazioni generiche predisposte per tutti gli avvisi e nonostante l’atto medesimo non contenesse, né recasse in allegato, l’indicazione delle fonti di prova dalle quali il Comune pretendeva di rettificare in aumento la superficie tassabile.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 62, comma 3 del d. lgs. n. 507/1993, 21, comma 2, de d.lgs. n. 22/1997 e 238, comma 10, del d. lgs. n. 152/2006 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), invocando l’illegittimità della deliberazione tariffaria del Comune di Ottona – viceversa fatta salva, con la conferma dell’avviso di accertamento impugnato, dalla decisione della CTR – sul presupposto della mancata previsione da parte del regolamento comunale di limiti quantitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti solidi urbani. Diversamente da quanto eccepito dal controricorrente, il primo motivo di ricorso può ritenersi autosufficiente, avendo assolto parte ricorrente al relativo onere attraverso l’allegazione al ricorso di copia dell’avviso di accertamento oggetto d’impugnazione davanti al giudice di merito. Ciò consente alla Corte di esprimere il sindacato richiesto, risultando peraltro il motivo di ricorso manifestamente infondato.
Ferma restando l’inammissibilità della censura nella parte in cui si riferisce alla motivazione adottata dalla decisione di primo grado, con riferimento alla pronuncia della CTR la stessa è conforme alle norme in tema di motivazione dell’atto impositivo, non corrispondendo al vero quanto indicato in ricorso in punto di generico riferimento a norme di legge o alla banca dati delle denunce o delle superfici catastali dell’allora Agenzia del Territorio ed alla documentazione acquisita a seguito di rilevazione diretta, atteso che l’accertamento contiene la chiara indicazione catastale degli immobili, della relativa destinazione degli stessi e delle superfici accertate, della violazione contestata e delle causali dei relativi importi richiesti.
Risulta quindi soddisfatto il requisito motivazionale di cui all’avviso di accertamento da parte di ente locale in relazione al disposto dell’art. 1, comma 162, della l. n. 296/2006, norma peraltro neppure richiamata in epigrafe dalla ricorrente, in relazione alla chiara indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto da parte dell’atto impositivo.
La sentenza impugnata ha inoltre correttamente rilevato come il riferimento alla documentazione acquisita a seguito di rilevazione diretta riguardi scheda di sopralluogo cui ha partecipato la stessa contribuente come da relativa sottoscrizione (circostanza giammai contestata dalla contribuente nel doppio grado di merito), sicché è ugualmente corretta la valutazione della decisione impugnata riguardo alla non necessità di allegazione della scheda di sopralluogo all’atto impositivo, prodotto in giudizio dal Comune come attestato dalla decisione impugnata, senza che ciò comporti, ad ogni evidenza, diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, alcun ampliamento del thema decidendum quale esattamente delimitato, anche con il riferimento alla documentazione acquisita a seguito di rilevazione diretta, dall’atto impositivo.
Il secondo motivo – in disparte ulteriori profili d’inammissibilità, non avendo la ricorrente esattamente indicato la fonte regolamentare comunale che avrebbe illegittimamente equiparato i rifiuti speciali non pericolosi a quelli solidi urbani, per omessa previsione di limiti quantitativi – risulta in ogni caso inammissibile (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155), avendo la decisione impugnata chiarito, in conformità all’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in materia (oltre alla pronunce indicate, in senso conforme, più di recente, si vedano Cass. sez. 5, ord. 13 settembre 2017, n. 21250; Cass. sez. 5, 8 luglio 2016, n. 13997), che la disciplina agevolativa prevista per i rifiuti speciali dall’art. 62, comma 3, del d. lgs. n. 507/1993, non opera automaticamente ma necessita di denuncia ai fini della determinazione delle superfici tassabili, affinché dalle stesse possano essere scomputate quelle destinate alla produzione di rifiuti speciali, incombendo alla impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile.
L’inosservanza di tale onere d’informazione da parte della contribuente, eccepita dall’amministrazione comunale nel giudizio di merito, non risulta essere stata contestata dalla contribuente, donde non può ritenersi superata la presunzione secondo cui producono rifiuti urbani coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Deve infine rilevarsi che parte ricorrente, non formulando un espresso argomentato motivo di ricorso, ha tuttavia dichiarato di impugnare, tra l’altro, per quanto qui rileva, la statuizione del giudice di secondo grado con la quale la contribuente è stata condannata al pagamento di una somma pari a quella del contributo unificato.
Detta doglianza – seppur non consacrata in uno specifico motivo di ricorso – deve essere comunque valutata dalla Corte, la quale, attesa la natura di carattere amministrativo della relativa statuizione (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 9 novembre 2017, n. 2017), che non attiene alla sfera della decisione sullo ius litigatoris, riguardando il rapporto del contribuente con l’erario relativamente alle condizioni per l’accesso alla giustizia, e tenuta comunque a rilevare anche d’ufficio l’erroneità della suddetta statuizione.
Di ciò va dato atto dunque in questa sede come da dispositivo, avuto riguardo al fatto che il giudice tributario d’appello ha ritenuto tout court applicabile al processo tributario d’appello una norma, l’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la quale prevede che «Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma della comma 1 – bis».
Si tratta, infatti, di norma avente carattere di misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria, la cui operatività deve intendersi circoscritta al processo civile, secondo l’esegesi della norma indirettamente avallata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 18, depositata il 2 febbraio 2018, e condivisa da questa Corte.
Ciò diversamente da quanto dovuto per la soccombenza nel presente giudizio di legittimità, stante la natura di ordinario processo civile, disciplinato dalle norme del codice di rito, del giudizio di cassazione avente ad oggetto l’impugnazione di pronuncia resa da Commissione tributaria regionale, come ribadito da Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, se dovuti.
Dichiara non sussistente l’obbligo della contribuente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta in grado di appello.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà invece atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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