CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2021, n. 21490
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico – Redditometro – Indici di maggiore capacità contributiva – Investimenti – Versamenti in conto capitale nella società di famiglia – Giustificazione – Liberalità da parte di un familiare senza formalità – Esclusione
Rilevato che
1. la controversia ha per oggetto l’impugnazione, da parte di N.G., degli avvisi di accertamento, fondati su metodo sintetico, che recuperavano a tassazione, ai fini dell’IRPEF, per il 2002 e il 2003, maggiori redditi non dichiarati, desunti (per quanto ancora rileva) dalle spese per incrementi patrimoniali (conferimento di capitali nella T.S. S.r.l. e acquisto di un bene immobile);
2. il primo giudice, riuniti i ricorsi, li accolse, con sentenza parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Toscana che, nella contumacia della parte privata, ha accolto l’appello dell’Amministrazione finanziaria (“A.F.”) in base alla considerazione che, rispetto agli investimenti compiuti dal contribuente nel quinquennio 2001/2006, (al riguardo, ritiene questa Corte di ricordare che, secondo l’art. 38, comma 5, d.P.R. n. 600 del 1973, ratione temporis vigente, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti), erano “coperti” gli incrementi patrimoniale contestati dall’ufficio per le annualità 2001, 2002 e 2003, mentre altrettanto non valeva per le successive annualità (2005 e 2006). In particolare, per quanto interessa in questa sede di legittimità, ad avviso della Commissione tributaria toscana, era condivisibile l’affermazione del primo giudice, secondo cui il padre del contribuente aveva messo a disposizione del figlio cospicui importi per effettuare gli investimenti in esame, con la precisazione che, quanto alla “carenza di un titolo di liberalità”, eccepita dall’ufficio, era plausibile che il genitore avesse erogato al figlio delle somme in contanti, trattandosi di finanziamenti che confluivano nella società (T.S. S.r.l.) di cui erano soci lo stesso contribuente e le sue sorelle;
3. l’Agenzia ricorre, con un motivo, per la cassazione della decisione di appello; il contribuente è rimasto intimato;
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso [«Violazione di legge sotto vari profili: degli artt. 38 commi 4, 5 e 6 del d.p.r. n. 600/1973 (nella versione applicabile ratione temporis), anche in combinato disposto con gli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3c.p.c.»], l’Agenzia deduce che il giudice d’appello ha ritenuto plausibile l’erogazione in contanti e senza particolari formalità, ad opera del padre del contribuente, della provvista da quest’ultimo destinata a copertura di spese (acquisto immobiliare) e incrementi patrimoniali (versamenti in conto capitale nella società di famiglia); ciò premesso, l’ufficio censura la sentenza impugnata per non avere fatto corretta applicazione delle norme in tema di riparto di onere della prova, tra Amministrazione e contribuente, nell’ipotesi di accertamento sintetico del reddito. In particolare, si imputa alla C.T.R. di non avere considerato che, mentre l’ufficio aveva fondato la propria pretesa fiscale su documenti che attestavano gli incrementi patrimoniali nonché, quindi, la capacità contributiva della persona sottoposta a verifica (versamenti in conto futuro aumento capitale a favore della T.S. S.r.l.; acquisto immobiliare del 23/11/2006), il contribuente, invece, non aveva fornito la prova contraria, nel senso che non aveva dimostrato che la spesa e l’incremento patrimoniale contestati erano stati conseguiti con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte;
2. il motivo è fondato;
come ricorda la consueta giurisprudenza sezionale (ex aliis Cass. 29/11/2019, n. 31253), l’art. 38, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito – nel testo vigente ratione temporis (ossia tra la legge n. 413 del 1991 ed il d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010) -, prevede, al quarto comma, la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento, e, al quinto comma, contempla le «spese per incrementi patrimoniali» sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare in modo durevole il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38, resta salva la facoltà, per il contribuente, di offrire la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, con riguardo alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare (Cass. n. 5365 del 7/3/2014) e comunque nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/4/2013, n. 9539);
3. questa Corte, inoltre, al fine di segnare il confine della prova contraria a carico del contribuente, ha chiarito (in tal senso Cass. 18/4/2014, n. 8995; 26/11/2014, n. 25104) che «la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati». Con più specifico riferimento al tema del decidere, nel caso in cui il contribuente abbia dedotto di avere ricevuto una liberalità, inoltre, si è puntualizzato che «nell’ambito dell’accertamento sintetico la prova delle liberalità che hanno consentito l’incremento patrimoniale deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto» (Cass. 3/12/2010, n. 24597, consolidata da Cass. 19/3/2014, n. 6397 [p. 10.22.]);
4. tornando all’esame del motivo di ricorso, la Commissione regionale non si è conformata a tali principi di diritto giacché, a fronte degli indizi di maggiore capacità contributiva offerti dall’ufficio, supportati da univoci elementi documentali (versamenti in conto futuro aumento capitale a favore della T.S. S.r.l., acquisto immobiliare del 23/11/2006), si è limitata a supporre come plausibile l’erogazione paterna a favore del contribuente di rilevanti somme in contanti e senza formalità. La decisione impugnata trascura che, invece, spettava al contribuente (che non ha adempiuto al relativo onere processuale) provare per tabulas le laute liberalità che, secondo la sua linea di difesa, avevano fornito la provvista per quelle spese e quegli incrementi patrimoniali dai quali l’A.F. aveva desunto l’insuperabile discrasia tra (il maggiore) reddito effettivo e (il minore) reddito dichiarato;
5. la questione giuridica sollevata dal motivo di ricorso, dunque, va risolta alla stregua del principio di diritto secondo cui «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, spetta al contribuente, che deduce che tale spesa è il frutto di liberalità, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R., n. 600 del 1973, (nella formulazione anteriore alla novella del 2010), fornire la prova documentale delle liberalità medesime, anche se elargite da un componente della sua famiglia»;
6. in conclusione, accolto il motivo di ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che riesaminerà gli aspetti tuttora controversi della causa attenendosi al principio di diritto sopra enunciato, e provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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