CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2022, n. 23553
Tributi – Agevolazioni – Soggetti colpiti dal sisma in Sicilia del 1990 – Art. 9, co. 17, L. n. 289 del 2002 – Diritto al rimborso – Dichiarazione dei redditi congiunta – Domanda – Termine
Rilevato che
i coniugi A.O. e M.T.A. impugnarono il silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria alla loro richiesta di rimborso del 90% delle somme versate a titolo di Irpef e Iva per gli anni 1990, 1991 e 1992, deducendo una disparità di trattamento rispetto agli altri contribuenti che potevano usufruire della disposizione di cui all’art. 9, comma 17, della l. 27 dicembre 2002, n. 289;
secondo l’interpretazione offertane dall’ufficio, infatti, tale ultima disposizione consentiva ai soggetti residenti in Sicilia, e colpiti dagli eventi sismici del 1990, di definire in maniera automatica la propria posizione relativa agli indicati anni d’imposta mediante il versamento di quanto dovuto per ciascun tributo in misura ridotta al 10%, ma non di ottenere la restituzione di quanto eventualmente già versato;
la C.T.P. di Siracusa accolse il ricorso e la C.T.R. della Sicilia rigettò il successivo gravame proposto dall’Agenzia delle entrate;
i giudici d’appello affermarono che l’istanza di rimborso, consentita al sostituto di imposta dei soggetti colpiti dal sisma e beneficiari delle agevolazioni contributive, può essere formulata anche da chi ha percepito le somme assoggettate a ritenuta, e quindi a tutti i lavoratori dipendenti; rilevarono inoltre, quanto all’eccepita tardività dell’istanza presentata da M.T.A., che la sussistenza, a monte, di una dichiarazione congiunta da parte dei due contribuenti rendeva sufficiente, ai fini evocati, il fatto che uno solo di essi avesse tempestivamente domandato il rimborso;
avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di due motivi; resistono gli intimati con controricorso.
Considerato che
con il primo mezzo l’amministrazione deduce nullità della sentenza e violazione di legge in relazione agli artt. 18, 19, 21, 22 e 27 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 2697 cod. civ.;
la ricorrente si duole dell’omesso rilievo, da parte della C.T.R., dell’inammissibilità del ricorso introduttivo per inesistenza dell’atto originariamente impugnato; osserva infatti che la richiesta di rimborso avanzata dai contribuenti non conteneva l’indicazione del quantum richiesto e non dava prova dell’effettivo versamento di quanto chiesto in restituzione, con la conseguenza che non poteva ritenersi validamente formato il silenzio-rifiuto;
con il secondo motivo, formulato in via di subordine, l’amministrazione denunzia poi la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 665, della l. 23 dicembre 2014, n. 190 e 1 della l. 3 agosto 2017, n. 123;
secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe errato nel rigettare l’eccezione di decadenza dal diritto al rimborso formulata dalla A., estendendo a suo favore gli effetti della tempestiva istanza avanzata dal coniuge, poiché la ritenuta sui redditi da lavoro dipendente opera sempre in forma individuale;
inoltre, in applicazione della seconda delle disposizioni evocate (entrata in vigore dopo i fatti di causa, ma applicabile a tutti i giudizi pendenti), l’Agenzia assume di essere competente alla determinazione dell’importo oggetto di rimborso, anche in considerazione di eventuali oneri detraibili riconosciuti e rimborsi già eseguiti, in particolare applicando il 50% sulle somme dovute quando le istanze presentate eccedono l’ammontare delle risorse disponibili;
il primo motivo è inammissibile per novità della questione;
dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, non risulta che nei due gradi del giudizio di merito l’amministrazione avesse mai eccepito alcunché in ordine alla ritualità dell’istanza di rimborso avanzata dai contribuenti, con riferimento al profilo dell’ammontare degli importi richiesti in restituzione;
in ogni caso, e con richiamo al principio di autosufficienza del ricorso, era onere della stessa ricorrente non solo allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice d’appello, ma anche indicare — riproducendone il contenuto nelle parti rilevanti — in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare la questione nel merito (v., fra le numerose altre, Cass. n. 12364/2022; Cass. n. 11934/2021; Cass. n. 17831/2016; Cass. n. 23766/2013);
infine, va sottolineato che l’esame del motivo ― consistente nella sostanziale denunzia dell’omessa considerazione di circostanze fattuali, quali le modalità di confezionamento dell’istanza di rimborso ― è precluso in questa sede dall’esistenza di una «doppia conforme» ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ.;
il secondo motivo è infondato;
infatti, essendo incontestata la circostanza dell’avvenuta presentazione dei redditi in modo congiunto da parte dei coniugi contribuenti, occorre aver riguardo al consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui, in tal caso, si configura un’obbligazione solidale, con conseguente applicazione della relativa disciplina, sostanziale e processuale (cfr. Cass. n. 262/2022; Cass. n. 20996/2021), intendendosi in ciò compresa l’estensione a tutti i condebitori degli effetti favorevoli conseguenti all’attività di uno di essi;
privo di fondamento è poi il richiamo allo jus superveniens rappresentato dall’art. 1, comma 665, della l. n. 190 del 2014, così come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito nella l. n. 123 del 2017;
invero, il prospettato jus superveniens non incide sulla questione oggetto di giudizio, costituita del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma; è infatti principio affermato quello secondo cui i limiti delle risorse stanziate con le eventuali controversie sui provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate operano solo in fase esecutiva e/o di ottemperanza (v. fra le numerose altre Cass. n. 20021/2022; Cass. n. 14331/2020);
il ricorso è dunque complessivamente meritevole di rigetto; le spese, liquidate in dispositivo, sono regolate in base alla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 3.800,00, oltre € 200,00 per esborsi e alle spese generali.
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