CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 maggio 2021, n. 14771
Tributi – Accertamento – Redditi di lavoro autonomo percepiti all’estero e non tassati – Condoni – Cd. scudo fiscale – Rimpatrio di somme detenute all’estero – Riconducibilità somme accertate a quelle oggetto di rimpatrio – Prova dell’ammontare e del frangente temporale di percezione delle somme
Rilevato che
1. G.C.R. impugnò dinanzi alla CTP di Milano l’avviso di accertamento, ai fini IRPEF, IRAP, IVA, per il 2006, che si fondava sulla segnalazione della Direzione Centrale – sezione analisi e strategie – secondo cui, da informazioni fornite da Paesi esteri, era emerso che il contribuente aveva percepito, nel 2006, redditi di lavoro autonomo corrisposti dalla Camera di commercio internazionale di Parigi, per euro 292.244,00, sui quali non era stata applicata alcuna ritenuta.
Il ricorrente eccepì che, in fase amministrativa, aveva prodotto documentazione attestante il rimpatrio di somme detenute all’estero, in conformità della normativa sul c.d. scudo fiscale, per un ammontare eccedente l’accertato;
2. la CTP accolse il ricorso, con sentenza (n. 160/01/13) confermata dalla CTR lombarda, la quale ha rigettato l’appello dell’ufficio, per quanto qui rileva, sulla base delle seguenti considerazioni: (i) l’art. 14, del d.l. 25 settembre 2001, n. 350, convertito dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, richiamato dall’art. 13-bis, del d.l. 10 luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 03 agosto 2009, n. 102, stabilisce che, all’esito della presentazione della c.d. «dichiarazione riservata», è precluso ogni accertamento tributario sugli imponibili oggetto del rimpatrio; (ii) per giurisprudenza costante, la preclusione dei poteri di accertamento dei competenti uffici opera ipso iure, senza che sia richiesta al contribuente una prova specifica, qualora sia possibile, anche in via teorica ed astratta, ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio; (iii) nella specie, comunque, il contribuente ha fornito tale prova (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) «presentando un’attestazione da parte dell’Ente erogante i redditi oggetto di contestazione, la quale riporta l’ammontare e il frangente temporale di percezione delle somme, avvalorando quanto sostenuto da parte appellata [n.d.r. il contribuente]»;
3. l’Agenzia ricorre per la cassazione con un motivo; il contribuente resiste con controricorso, illustrato con una memoria;
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso [«1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 13 bis del d.l. n. 78/2009 e 12, 13 e 14 del d.l. n. 350/2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere ritenuto operante la preclusione di cui all’art. 14, comma 1, lett. a), del d.l. n. 350/2001, richiamato dall’art. 13-bis, comma 5, del d.l. n. 78 del 2009, a prescindere da qualunque prova circa la corrispondenza tra le somme oggetto della «dichiarazione riservata», presentata ai fini del rimpatrio dei capitali detenuti all’estero, e le somme che, in base ai controlli dell’Amministrazione finanziaria, risultino effettivamente percepite dall’interessato nell’annualità oggetto di verifica. L’ufficio, in sostanza, nega l’automatica operatività dello «scudo fiscale», e sostiene che la preclusione del potere di accertamento opera soltanto ove il contribuente dimostri la corrispondenza tra le somme detenute all’estero e oggetto di rimpatrio tramite (appunto) lo «scudo fiscale», e quelle oggetto dell’azione accertatrice del fisco;
1.1. il motivo è inammissibile;
la critica dell’Agenzia è coerente con il principio nomofilattico (ex multis, Cass. 30/12/2019, n. 34577, consolidata da Cass. 22/02/2021, n. 4719), che il Collegio condivide, per il quale «In tema di esercizio del potere d’imposizione sui capitali c.d. “scudati”, l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento tributario, previsto all’art. 14, comma 1, lett. a), del d.l. n. 350 del 2001, ha natura di misura eccezionale di agevolazione per il contribuente, il quale ha l’onere di fornire la prova della ricorrenza dei presupposti; la limitazione normativa dell’inibizione dell’accertamento in riferimento agli «imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio» richiede la dimostrazione di una concreta correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito del rimpatrio, restando pertanto escluse dall’efficacia inibente dello “scudo” tutte quelle fattispecie in cui l’accertamento abbia ad oggetto componenti estranei rispetto alle attività “scudate” e con essi non compatibili.»;
ciò detto, tuttavia, il mezzo di cassazione s’appunta, in modo non consentito, contro una soltanto delle due distinte ed autonome rationes decidendi della sentenza qui impugnata — la quale, dopo avere affermato che la preclusione del potere di accertamento dell’A.F. opera ipso iure, esonerando l’interessato dal compito di alcuna prova specifica, circa la corrispondenza tra imponibile (non dichiarato) e somme detenute all’estero, rimpatriate e «scudate» (prima ratio decidendi, impugnata dall’Agenzia), nel successivo passo del poliedrico sviluppo argomentativo, ha la premura di precisare (come suaccennato) che il contribuente una simile prova (che, come detto, la CTR, errando, non reputa necessaria) l’ha comunque fornita, versando in atti l’attestazione dell’ente estero che aveva erogato i redditi ripresi a tassazione (seconda ratio decidendi, non impugnata dall’Agenzia);
la connessa questione di diritto è risolta dalla giurisprudenza (ex multis Cass. 18/04/2017, n. 9752), secondo cui «Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza.»;
2. le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza;
3. rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’Agenzia delle entrate a corrispondere al contribuente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, a titolo di compenso, euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.
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