CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 maggio 2021, n. 14873
Tributi – Dichiarazione integrativa – Richiesta di rimborso – Crediti per eccedenze di versamento – Termini – Art. 38, DPR n. 602 del 1973
Fatti di causa
A. Spa e A. Vita Spa chiedevano, con istanza del 12 maggio 2009, il rimborso delle maggiori imposte versate rispettivamente, la prima, per Irap per l’anno 2004 con la presentazione del Modello Unico del 2005 in data 28 ottobre 2005, e, la seconda, per Irap ed Irpef per l’anno 2005 con la presentazione del Modello Unico del 2006 in data 30 ottobre 2006, in relazione all’errata qualificazione di alcune componenti reddituali, la cui esatta determinazione era stata rettificata con dichiarazioni integrative del 19 giugno 2007.
Avverso il silenzio opposto dall’Amministrazione finanziaria le società proponevano separati ricorsi, deducendo la fondatezza della richiesta.
Le impugnazioni, accolte dalla CTP di Milano previa riunione dei ricorsi, erano rigettate dal giudice d’appello sull’assunto della tardiva presentazione delle dichiarazioni integrative.
A. Spa propone ricorso per cassazione con otto motivi.
A. Vita Spa propone, a propria volta, autonomo e successivo ricorso per cassazione con otto motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso per entrambe le impugnazioni.
La sentenza d’appello era altresì impugnata, con separati ricorsi, da entrambe le società per revocazione, che era rigettata dalla CTR della Lombardia con decisione n. 5362/38/2014 del 16 ottobre 2014.
Avverso detta decisione A. Spa e A. Vita Spa hanno proposto ricorso per cassazione con un motivo.
L’Ufficio resiste con controricorso.
Le società depositano altresì memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Va preliminarmente disposta la riunione del procedimento R.G.N. 10666/2015 al ricorso R.G.N. 16791/2014, avendo il primo ad oggetto la decisione pronunziata a seguito di revocazione della sentenza impugnata con il secondo ricorso, ferma la necessità di esaminare con priorità il ricorso riguardante la sentenza di revocazione (v. Cass. n. 16435 del 05/08/2016).
I due ricorsi proposti da A. Spa e A. Vita Spa avverso la medesima sentenza della CTR, invece, sono sin dall’inizio materialmente riuniti nel medesimo giudizio, trattandosi di ipotesi di ricorso successivo, di cui è obbligatoria la riunione ex art. 335 c.p.c.
2. L’unico motivo del ricorso R.G.N. 10666/2015 denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 395, comma 4 c.p.c. (rectius: 395, comma 1, n. 4, c.p.c.), per aver la CTR escluso che la sentenza d’appello avesse ritenuto, per errore di fatto, che le contribuenti avessero inteso chiedere la restituzione delle somme versate in eccesso con le modalità previste dall’art. 2, comma 8 bis, d.P.R. n. 322 del 1998 anziché con l’istanza ex art. 38 d.P.R. n. 633 del 1972, circostanza che emergeva univocamente dagli atti, trattandosi di esito affermato come dipendente dalla prospettazioni delle parti poste a fondamento della sentenza revocanda.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La CTR, infatti, non solo ha escluso che la sentenza sia affetta da un errore di fatto che dipendeva dal giudice (asseritamente in ragione delle prospettazioni dell’Ufficio, nonché della corrispondente mancata contestazione delle parti) ma, soprattutto, ha rilevato che, in ipotesi, il vizio riscontrabile nella sentenza integrava un errore di diritto od un error in procedendo, in sé ricorribile per cassazione.
Questa seconda ratio non è stata censurata, sicché il ricorso è inammissibile.
3. Passando al ricorso R.G.N. 16791/2014, il primo motivo – di entrambi i ricorsi – denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza ai sensi degli artt. 112 c.p.c.e 53 d.lgs. n. 546 del 1992 per non essersi la CTR pronunciata sull’eccepita inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici di impugnazione.
3.1. Il secondo motivo, per entrambi i ricorsi denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame sulla medesima questione.
4. I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono in parte infondati, in parte inammissibili.
4.1. Sono inammissibili sia la censurata violazione dell’art. 112 c.p.c., sia il dedotto omesso esame della medesima questione.
Sotto il primo profilo, infatti, va rilevato che «l’omesso esame di una questione puramente processuale non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito, dovendosi escludere che l’omesso esame di un’eccezione processuale possa dare luogo a pronuncia implicita, idonea al giudicato, venendo in rilievo la diversa questione della riproposizione dell’eccezione in appello» (v. Cass. n. 6174 del 14/03/2018; Cass. n. 321 del 12/01/2016, che altresì precisa che in tale evenienza si «può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte»).
Sotto il secondo versante, poi, trattandosi di questione in diritto (e, in ispecie, di error in procedendo) non è proponibile una censura in fatto.
4.2. La dedotta violazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 è, invece, infondata.
Nel processo tributario, come ripetutamente affermato dalla Corte, deve ritenersi – qualora l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato (o, a maggior ragione, a contrastare il preteso rimborso) – assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53, d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere «i motivi specifici dell’impugnazione» e non già «nuovi motivi», atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello (v. Cass. n. 16163 del 3/8/2016; Cass. n. 7639 del 22/03/2017; Cass. n. 9937 del 20/04/2018; Cass. n. 11061 del 11/05/2018; da ultimo Cass. n. 15519 del 21/07/2020).
Orbene, sono gli stessi ricorrenti ad affermare – riproducendo le proprie controdeduzioni in appello – che «i motivi di appello dell’Amministrazione Finanziaria consistono in una mera ripetizione di quelli già proposti nel ricorso introduttivo», ossia delle doglianze con cui si era opposta alla richiesta di rimborso.
Va anche rilevato che – come pure sempre emerge dagli stessi ricorsi per cassazione (punto 12, pag. 8 e pag. 11) – che le doglianze proposte avevano ad oggetto: l’omessa motivazione ex art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992; la violazione dell’art. 2 comma 8 bis d.P.R. n. 322 del 1998; l’illegittimità del rimborso.
Ciò basta per ritenere l’insussistenza della lamentata violazione.
5. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 8 bis, d.P.R. n. 322 del 1998 e 38 d.P.R. n. 602 del 1973 per aver la CTR ritenuto l’istanza di rimborso fondata sulla dichiarazione integrativa e non sull’indebito maggior versamento e, dunque, ai sensi dell’art. 38 cit.
5.1. Il motivo è fondato.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 13378 del 2016, infatti, componendo un contrasto, hanno affermato che «la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante.
La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973. Il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del dpr 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa».
Oltre a ciò, hanno ulteriormente precisato le Sezioni Unite, «il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2 dpr 322/1998» e dall’istanza di rimborso di cui all’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, «in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria».
5.2. Nella vicenda in giudizio la CTR si è limitata ad affermare che «risulta … che la dichiarazione dei redditi presentata per il 2005, entro il 31 ottobre 2006, poteva essere integrata o rettificata con una dichiarazione integrativa da presentarsi entro il 31-10-2007, … la dichiarazione integrativa è stata presentata dal contribuente in data 09-09-2008, quindi oltre il termine fissato dalla normativa e come tale deve essere considerata nulla», derivando da ciò il rigetto della pretesa del contribuente.
Orbene, la sentenza impugnata non si è attenuta ai sopra enunciati principi, poiché ha erroneamente ritenuto dirimente la ritardata presentazione della dichiarazione senza valutare, come era invece necessario, il merito della richiesta di rimborso, che resta autonoma rispetto alla dichiarazione integrativa, né, dunque, la prova della effettività del credito vantato.
6. Gli ulteriori motivi dal quinto all’ottavo – con cui sono dedotti ulteriori profili e vizi sulle medesime circostanze – restano assorbiti.
7. In accoglimento del terzo motivo dei ricorsi, rigettati i primi due ed assorbiti i restanti, la sentenza va pertanto cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione per l’ulteriore esame.
8. In relazione alla peculiarità della vicenda e all’intervento delle Sezioni Unite sulla questione di cui alla complessiva controversia, le spese, per il ricorso R.G.N. 10666/2015, vanno compensate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso R.G.N. 10666/2015.
Compensa le relative spese.
Accoglie il terzo motivo dei ricorsi proposti da A. Spa e A. Vita Spa di cui al R.G.N. 16791/2014, rigettati il primo e il secondo ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione per l’ulteriore esame.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di cui al ricorso R.G.N. 10666/2015, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.