CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2020, n. 27134
Tributi – ICI – Rimborso – Applicazione agevolazioni abitazione principale – Contribuente residente all’estero – Esclusione
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1111/31/15, depositata il 23/10/2015, la CTR del Piemonte ha confermato il rigetto dell’impugnazione proposta contro il diniego di rimborso dell’ICI versata per gli anni 2009, 2010 e 2011, richiesto dal contribuente che, pur essendo residente all’estero, riteneva di poter fruire dell’esenzione introdotta dall’art. 1 d.l. n. 93 del 2008 per le abitazioni principali.
Avverso tale sentenza, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Il Comune si è difeso con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memorie difensive.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della Sentenza impugnata per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., non avendo la CTR risposto agli argomenti illustrati dal contribuente con l’atto di appello, in ordine alla dedotta necessità di dare applicazione all’art. 1, comma 4 ter (parte ricorrente ha fatto riferimento al comma 4 bis, ma è evidente l’errore materiale, in cui è incorso, tenuto conto dell’estraneità della materia ivi disciplinata rispetto alla materia del contendere) d.l. n. 16 del 1993 (conv. con modif. in l. n. 75 del 1993), ai fini dell’applicazione dell’esenzione prevista in materia di ICI, nei casi in cui soggetto passivo dell’imposta risieda all’estero e non abbia locato l’immobile a terzi.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 4 ter, d.l. n. 16 del 1993 (conv. con modif. in l. n. 75 del 1993), per avere la CTR ritenuto non applicabile tale disposizione all’esenzione introdotta dall’art. 1 d.l. n. 93 del 2008 (conv. con modif. in l. n. 126 del 2008), in questo modo effettuando un’interpretazione della norma da ultimo menzionata in contrasto con l’art. 3 Cost., dal momento che consente l’applicazione dell’esenzione ivi disciplinata alle fattispecie previste dai Comuni con regolamenti o delibere vigenti alla data della sua entrata in vigore, ma esclude l’applicazione della stessa esenzione alle fattispecie contemplate da una norma di legge ancora in vigore.
Con il terzo motivo, si prospetta, per in caso in cui si ritenessero infondate le precedenti censure, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 d.l. n. 93 del 2008 (conv. con modif. in l. n. 126 del 2008), per contrasto con l’art. 3 Cost., per i motivi esposti nella illustrazione del precedente motivo e integralmente richiamati.
2. Il primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, tenuto conto della stretta connessione tra di essi esistente.
Si deve, infatti, tenere presente che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, il giudice di legittimità può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (v. Cass., Sez. 2, n. 2313 del 2010; Cass., Sez. 5, n. 24914 del 2011; Cass., Sez. 6-5, n. 5729 del 2012; Cass., Sez. 5, n. 16171 del 2017; Cass., Sez. 5, n. 9693 del 2018).
Nel caso di specie, occorre pertanto esaminare prima di tutto il secondo motivo di ricorso, che deve essere respinto, perché infondato, determinando, per i motivi appena esposti, anche il rigetto del primo motivo.
2.1. Com’è noto, l’art. 1, comma 4 ter, d.l. n. 16 del 1993 (conv. con modif. in l. n. 75 del 1993), recante plurime disposizioni tributarie, ha stabilito che «Ai fini dell’applicazione dell’articolo 7, comma 3, quarto periodo, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e dell’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, per i cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, si considera direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata.»
Il riferimento all’art. 7, comma 3, d.l. n. 333 del 1992 non rileva ai fini della decisione, trattandosi di disposizione relativa all’istituzione di Un’imposta straordinaria sugli immobili (ISI), che per le abitazioni principali è stata determinata in misura ridotta.
Il richiamo al d.lgs. n. 504 del 1992 è, invece, importante perché tale d.lgs. contiene la disciplina dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) e al menzionato art. 8, comma 2, nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 16 del 1993, stabilisce che «Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare direttamente adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detraggono, fino alla concorrenza del suo ammontare, lire 180.000 rapportate ai periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione», aggiungendo che «Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente».
L’art. 3 l. n. 662 del 1996 ha poi aumentato l’ammontare della detrazione a lire 200.000 e l’art. 1 l. n. 296 del 2006 ha apportato delle integrazioni all’artico riportato, precisando che, salvo prova contraria, deve intendersi unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo quella di residenza anagrafica dello stesso («Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione »principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, si detraggono, fino alla concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione»).
Il disposto dell’art. 1, comma 4 ter, d.l. n. 16 del 1993 ha, dunque, introdotto una disposizione interpretativa della norma appena riportata, chiarendo che, ove il soggetto passivo sia residente all’estero, deve intendersi unità immobiliare direttamente adibita ad abitazione principale l’unità posseduta in Italia a titolo di proprietà o di usufrutto, che non sia locata a terzi.
2.2. L’art. 1 d.l. n. 93 del 2008 (conv. con modif. in l. n. 126 del 2008), recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto ielle famiglie (abrogato dall’art. 13 d.l. n. 201 del 2001, conv. con modif. in l. n. 214 del 2011, ma applicabile ratione temporis alla presente fattispecie) ha, poi, previsto ai commi 1 e 2 quanto segue: «1. A decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. 2. Per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal comune con regolamento o delibera comunale vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9 per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992».
Quest’ultima disposizione ha introdotto una distinta misura agevolativa, riferita alle unità immobiliari adibite ad abitazione principale, che prevede la totale esenzione dal pagamento dell’imposta, nei limiti e alle condizioni ivi indicate.
La norma non ha eliminato quella contenuta nell’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992, che, infatti, è rimasto in vigore, ma si sovrappone ad essa, con la conseguenza che la detrazione può essere comunque effettuata nei casi in cui non opera l’istituita esenzione, sempre che ne sussistano i requisiti.
A tale conclusione conduce la stessa lettera della disposizione normativa, nella parte in cui ha precisato che (ai fini dell’applicazione dell’esenzione) si considerano unità immobiliari adibite ad abitazione principale quelle considerate tali dal d.lgs. n. 504 del 1992 e quelle a queste ultime assimilate con regolamento o delibera comunale al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. cit., escluse quelle di categoria catastale A1 (abitazione signorile), A8 (abitazione in villa) e A9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici o storici), aggiungendo che ad esse continua comunque ad applicarsi la detrazione prevista dall’art. 8, commi 2 e 3, d.lgs. n. 504 del 1992.
Come stabilito dal comma 2 dell’art. 1 d.l. n. 93 del 2008, l’esenzione si applica agli immobili destinati ad abitazione principale, da individuarsi secondo quanto disposto dall’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992, che, salvo prova contraria, fa presumere la natura di abitazione principale a quella di residenza anagrafica. La stessa disposizione ha, poi, precisato che l’esenzione opera anche per gli immobili che siano stati già assimilati alle abitazioni principali da regolamenti o delibere comunali vigenti al momento dell’entrata in vigore del d.l. cit.
Il successivo comma 3 del medesimo d.l. ha espressamente esteso l’esenzione anche ai casi previsti dall’art. 6, comma 3 bis, d.lgs. n. 504 del 1992, concernenti la disciplina della ex casa coniugale, e a quelli disciplinati dall’art. 8, comma 4, d.lgs. n. 504 del 1992, riguardanti gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa e degli istituti autonomi per le case popolari.
Nessuna espressa statuizione contenuta nel d.l. n. 93 del 2008 ha riguardato gli immobili in proprietà o usufrutto di cittadini italiani residenti all’estero.
2.3. Non può pertanto ritenersi che, in relazione a tali beni, si possa fruire della menzionata agevolazione (salvo ovviamente il caso in cui, come sopra evidenziato, siano stati assimilati alle abitazioni principali da regolamenti o delibere comunali vigenti al tempo dell’entrata in vigore della norma).
Com’è noto, infatti, le norme che prevedono agevolazioni fiscali hanno natura speciale e derogatoria della norma generale che istituisce il tributo e perciò, essendo di stretta interpretazione, non possono essere applicate al di fuori delle ipotesi tipiche e tassative indicate, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche di interpretazione estensiva, in conformità a quanto stabilito dall’art. 14 preleggi (cfr. con riferimento ad altre fattispecie, ma sempre in materia di ICI, Cass., Sez. 5, n. 10646 del 2005 e Cass., Sez. 6-5, n. 15407 del 2017).
Inoltre, il testo dell’art. 1, comma 4 ter, d.l. n. 16 del 1993 è chiaro nel prevedere f che quanto ivi disciplinato è stabilito «Ai fini dell’applicazione dell’articolo 7, comma 3, quarto periodo, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e dell’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504» e non anche ad altri fini.
In altre parole, la disposizione appena riportata, per la parte in questa sede rilevante, opera un rinvio alla specifica disciplina delle detrazioni disciplinate dall’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992 e non ad altre.
Ovviamente, alle unità immobiliari in questione, possedute in Italia a titolo di proprietà o di usufrutto dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, continua comunque ad essere riconosciuta la detrazione di cui all’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992, a condizione che non risultino locate, come previsto dall’art. 1, comma 4 ter, d.l. n. 16 del 1993.
2.4. In conclusione, il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere rigettati, in applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di ICI, l’assimilazione all’abitazione principale delle unità immobiliari non locate, possedute a titolo di proprietà o di usufrutto da cittadini italiani residenti all’estero, prevista dall’art. 1, co min a 4 ter, d.l. n. 16 del 1993 (conv. con modif. in l. n. 75 del 1993), opera solo ai fini della detrazione di cui all’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992, e non anche dell’esenzione introdotta dall’art. 1 d.l. n. 93 del 2008 (conv. con modif. in l. n. 126 del 2008)”.
3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha già affermato che non può essere formulato un motivo di ricorso per cassazione diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma, perché non può essere configurato a riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte (v. Cass., Sez. 1, n. 14666 del 2020 e Cass., Sez. L, n. 16245 del 2003).
E’ infatti riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale ben potendo la stessa essere sempre proposta, o riproposta, dall’interessato, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo.
4. La questione di costituzionalità, come prospettata, è comunque manifestamente infondata, tenuto conto che l’art. 1 d.l. n. 93 del 2008 ha introdotto un’agevolazione diversa da quella prevista dall’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992, che è rimasta operativa e trova applicazione, in presenza dei requisiti di legge, nei casi in cui non è riconosciuta l’esenzione.
È pertanto non irragionevolmente esclusa la possibilità di estendere la norma interpretativa contenuta nell’art. 1, comma 4 ter, d.l. n. 16 del 1993 all’esenzione di cui all’art. 1 d.l. n. 93 del 2008, riguardando situazioni non comparabili, disciplinate diversamente dal legislatore nell’esercizio della discrezionalità concessa allo stesso.
5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
6. Tenuto conto della novità delle questioni affrontate, le spese di lite devono essere interamente compensate.
7. In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
compensa interamente tra le parti le spese di lite del presente giudizio di legittimità; dà atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 1-quater, dell’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,«pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
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