CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2020, n. 27152
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Scostamento non motivato tra il dichiarato e quanto risultante dall’applicazione degli studi di settore – Onere di prova contraria
Rilevato che
1. La società S. s.r.l. in liquidazione impugnava l’avviso di accertamento – con il quale l’Agenzia delle entrate, previa applicazione degli studi di settore, aveva rideterminato maggiori ricavi per l’anno 2004 – eccependo la mancata allegazione di un prospetto richiamato nell’avviso di accertamento, la carenza di motivazione dell’atto impositivo che si fondava esclusivamente sulle risultanze di G. e l’assenza di corrispondenza tra l’attività svolta ed il cluster utilizzato che riguardava imprese di piccole dimensioni.
2. La Commissione provinciale di Bergamo, ritenuto che non fosse stata fornita prova contraria, rigettava il ricorso e avverso la decisione proponeva appello la contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva.
I giudici di secondo grado rilevavano che l’accertamento dell’Ufficio si basava esclusivamente sulle risultanze dell’applicazione degli studi di settore, il cui risultato configurava presunzione semplice che, se non suffragata da altri elementi desunti dall’analisi specifica della singola posizione oggetto di verifica, era priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; ritenendo che non operasse un’inversione dell’onere della prova a seguito dello svolgimento del contraddittorio, la cui unica funzione era quella di consentire una definizione stragiudiziale, riformavano la sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso introduttivo della contribuente.
3. L’Agenzia delle entrate ricorre, con un unico motivo, per la cassazione della suddetta decisione.
La contribuente resiste mediante controricorso.
Considerato che
1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché proposto tardivamente oltre il termine di sei mesi di cui all’art. 327 cod. proc. civ.
II giudizio è stato introdotto in data antecedente al 4 luglio 2009 e, quindi, prima della modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale (applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009) (Cass., sez. 1, 5/10/2012, n. 17060; Cass., sez. 2, 17/04/2012, n. 6007; Cass., sez. 6-5, 21/06/2013, n. 15741; Cass., sez. 6 3, 6/10/2015, n. 19969).
Dovendosi, dunque, applicare il cd. termine lungo di un anno a cui devono aggiungersi i 46 giorni per la sospensione feriale (dal 1° agosto al 15 settembre 2013), il termine per proporre il ricorso scadeva in data 1 giugno 2014; considerato che il ricorso per cassazione è stato consegnato per la notifica in data 27 febbraio 2014, deve ritenersi che sia stato tempestivamente proposto.
2. Con l’unico motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione dell’art. 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993 e dell’art. 10 l. n. 146 del 1998, sostenendo che le disposizioni richiamate consentono all’Amministrazione finanziaria di elevare accertamenti in caso di scostamento non motivato tra il dichiarato e quanto risultante dall’applicazione degli studi di settore; richiamando una pronuncia di questa Corte (Cass. n. 14313 del 2010), sottolinea la sufficienza degli studi di settore come mezzo di prova e, facendo riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 26635 del 2009, evidenzia che anche le presunzioni semplici sono prove.
Si duole che la Commissione regionale faccia carico all’Ufficio di provare tutti i presupposti della pretesa, invertendo in tal modo l’onere della prova come determinato dalle Sezioni Unite e negando che una presunzione semplice costituisca prova.
2.1. La censura è fondata.
2.2. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., Sez. U, 18/12/2009, n. 26635).
3. Nella specie, la C.T.R., limitandosi ad affermare che l’accertamento operato dall’Ufficio poggia esclusivamente sulle risultanze dell’applicazione dello studio di settore, che non ha i requisiti di presunzione grave, precisa e concordante, ha omesso di operare una specifica valutazione della fondatezza delle difese svolte dalla contribuente – che, come emerge dalla stessa sentenza impugnata ha, tra l’altro, contestato l’applicabilità del cluster utilizzato, sostenendo che lo stesso si rivolgesse ad imprese di piccole dimensioni, ed ha dedotto di non essersi trovata, nell’anno oggetto di verifica, in una situazione di normalità economica – e delle giustificazioni dalla stesa addotte al fine di superare lo scostamento rilevato tra reddito dichiarato e reddito presuntivamente accertato sulla base dell’applicazione degli studi di settore, così venendo meno a un compito che le deriva sia in generale dall’essere il giudice tributario non soltanto giudice dell’impugnazione dell’atto ma anche giudice del rapporto, sia dallo stesso principio sopra richiamato.
Questo infatti, ponendo a fondamento dell’accertamento standardizzato sulla base degli studi di settore lo svolgimento del contraddittorio, giustifica la formazione di un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma, appunto, dalla valutazione delle controdeduzioni del contribuente cui essi sono applicati; valutazione della quale non può, quindi, esimersi il giudice tributario, che altrimenti incorrere nella denunciata violazione di legge.
4. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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