CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2020, n. 27183
Tributi – Rimborso – Riconoscimento degli interessi – Decorrenza
Rilevato che
Risulta dal provvedimento impugnato che il contribuente A.F. – in qualità di assuntore del concordato fallimentare nel Fallimento N. e C. SNC – ha promosso giudizio di ottemperanza della sentenza della CTP di Catania del 23 settembre 2016, passata in giudicato, che aveva riconosciuto un credito IVA relativo all’anno di imposta 1993; il giudizio si è concluso con sentenza della CTR della Sicilia in data 20 novembre 2017, alla quale l’amministrazione finanziaria ha dato attuazione corrispondendo il capitale e gli interessi con decorrenza dalla richiesta di rimborso (20 ottobre 2010).
A seguito di istanza del contribuente, che ha chiesto il riconoscimento degli interessi con decorrenza dal 1993, la CTR della Sicilia, con successiva ordinanza del 22 ottobre 2018, ha rilevato che il credito del contribuente rinviene da un versamento non dovuto («in eccesso») in data 16 luglio 2009, per cui il rimborso spetta non con decorrenza dal 1993 ma dalla richiesta di rimborso.
Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente affidato a quattro motivi; l’ufficio intimato non si è costituito in giudizio.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.
Considerato che
1.1 – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 38-bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come novellato dall’art. 13 d. Igs. 21 novembre 2014, n. 175 e dall’art. 7- quater, comma 32, d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, nonché dell’art. 1283 cod. civ. Ritiene il ricorrente che gli interessi decorrono dal novantesimo giorno successivo alla presentazione della dichiarazione, trattandosi di credito certo, liquido ed esigibile.
Deduce il ricorrente che la decorrenza degli interessi deve essere agganciata alla dichiarazione contenente la contestuale domanda di rimborso. Deduce, inoltre, la spettanza anche degli interessi di mora e degli interessi anatocistici.
1.2 – Con il secondo motivo si deduce error in procedendo in relazione all’art. 70 d.lgs. 31 dicembre 992, n. 546 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nella parte in cui la sentenza non si sarebbe limitata a dare esecuzione alla sentenza passata in giudicato, la quale faceva riferimento al rimborso del credito IVA per l’anno 1993. Ritiene, pertanto, ultroneo il riferimento del giudice dell’ottemperanza alla data del versamento da parte del curatore (16 luglio 2009), attinente al diverso tema della prescrizione del credito, laddove il versamento dell’importo a credito deve farsi decorrere dal 1993.
1.3 – Con il terzo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere l’Ufficio corrisposto interessi nella misura di €3.176,25 in luogo dell’importo di €4.409,34.
1.4 – Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. per avere il giudice di appello fatto uso della compensazione delle spese di lite.
2 – Il ricorso proposto avverso la suddetta ordinanza è ammissibile, posto che l’ordinanza in oggetto, lungi dal limitarsi a dichiarare chiuso il procedimento di ottemperanza a termini dell’art. 70, comma 8, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha contenuto decisorio ed è suscettibile di ricorso straordinario per cassazione, per violazione di legge, ex art. 111 Cost. qualora, senza limitarsi alla mera presa d’atto dell’avvenuta esecuzione dei provvedimenti emessi con la sentenza che ha precedentemente pronunciato sulla richiesta di ottemperanza, contenga un giudizio sull’interpretazione e sull’attuazione del decisum (Cass., Sez. V, 29 settembre 2017, n. 22877; Cass., Sez. V, 28 giugno 2017, n. 16086).
3 – Il primo motivo è inammissibile, posto che il ricorrente non si confronta con specifiche statuizioni della sentenza impugnata. E’ principio comunemente affermato che con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito, senza considerare le ragioni offerte dalla sentenza impugnata, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un «non motivo», come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., Sez. I, 24 settembre 2018, n. 22478; Cass., Sez. VI, 2 marzo 2018, n. 5001; Cass., Sez. III, 31 agosto 2015, n. 17330; Cass., Sez. III, 11 gennaio 2005, n. 359).
3.1 – Il motivo è ulteriormente inammissibile, in quanto il ricorrente non ha censurato la specifica statuizione del provvedimento impugnato, secondo cui «la sentenza della quale si chiede l’esecuzione, in quanto afferma che il pagamento non dovuto è stato effettuato in data 16 luglio 2009, escluda sicuramente la spettanza di un rimborso con decorrenza dal 1993», per cui il suddetto motivo diviene inammissibile per carenza di interesse, in assenza della censura della suddetta ratio decidendi (Cass., Sez. VI, 18 dicembre 2017, n. 30354).
3.2 – Ulteriormente inammissibili sono le censure relative alla spettanza anche degli interessi di mora e degli interessi anatocistici, non risultando tali questioni trattate nella sentenza, né avendo il ricorrente offerto nel ricorso elementi per ritenere che si tratti di una questione già trattata.
4 – Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità. Il dedotto error in procedendo, da riqualificarsi come violazione dell’art. 70 d.P.R. n. 546/1992 per travalicamento dei limiti del giudicato di cui alla sentenza della CTP oggetto di ottemperanza (Cass., Sez. V, 21 giugno 2019, n. 16735), deve, difatti, essere raffrontato con la ratio decidendi della sentenza di cui si è chiesta l’attuazione (la sentenza della CTP di Catania del 29 settembre 2016), della quale nel ricorso è stato riportato il solo dispositivo ma non anche la parte motiva, che delinea i limiti del giudicato, di cui si afferma la violazione; il che ne preclude l’esame.
4.1 – Il motivo è, in ogni caso, infondato, in quanto la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza, per come riportata nel provvedimento impugnato, ha legato la domanda di rimborso non alla dichiarazione dell’anno 1993, ma all’indebito oggettivo conseguente al versamento in eccesso effettuato dal curatore del fallimento di cui il ricorrente è assuntore («nella sentenza della CTP di Catania […] si legge che la somma della quale si chiede la restituzione è stata versata in eccesso dal curatore in data 16/07/2009»).
5 – Il terzo motivo è inammissibile quanto alla sua formulazione.
L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. consente di dedurre sotto uno specifico motivo di ricorso l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), sicché l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. II, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
6 – Il quarto motivo è inammissibile, posto che non censura la ratio decidendi della sentenza, che non ha fatto uso del potere di compensazione, ma non ha provveduto sulle spese («il chiarimento richiesto dal commissario ad acta con la sentenza di questa CTR [..] vada nel senso innanzi precisato, senza che sia necessario alcuna ulteriore pronuncia sulle spese»).
6.1 – Il motivo sarebbe, in ogni caso, infondato, posto che la motivazione della ordinanza esiste graficamente e consente di comprendere l’iter argomentativo.
7- Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; nulla per le spese in assenza di costituzione dell’intimato. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.
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