CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2020, n. 27192
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Determinazione – Costi di sponsorizzazione – Indeducibilità – Indetraibilità dell’IVA
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate a seguito del disconoscimento dei costi di sponsorizzazione che la W. s.r.l. aveva sostenuto nell’anno d’imposta 2009 nei confronti della “N.W.I.”, quale promotrice della “A.F.V.”, con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale del Molise rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo non provata l’inerenza, mancando «un effettivo collegamento tra la spesa sostenuta e la promozione dei servizi offerti dal soggetto erogante», e l’effettività dell’operazione commerciale, mancando la prova di «una specifica attività svolta dal soggetto beneficiario della erogazione», specificando che era del tutto superflua ai fini del riconoscimento dei predetti costi, la «regolarità dell’operazione e dei mezzi di pagamento utilizzati»;
– avverso la predetta statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, cui replica l’intimata con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente sostiene che la CTR, in violazione dell’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, dedotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., aveva errato ad escludere la deducibilità dei costi di sponsorizzazione e la detrazione dell’IVA esposta nella fattura emessa dal soggetto sponsorizzato, sul rilievo del difetto di inerenza dei predetti costi, che era requisito che alla stregua della disposizione censurata, così come costantemente interpretata da questa Corte e da numerose pronunce delle Commissioni di merito, doveva ritenersi del tutto irrilevante.
2. Il motivo è inammissibile.
3. Invero, come si desume dal chiaro contenuto della motivazione della sentenza impugnata, sopra riprodotta nelle sue parti rilevanti, la corte territoriale ha rigettato l’appello della società contribuente non soltanto per difetto di inerenza delle spese di sponsorizzazione, ma anche perché mancava la prova «della effettività dell’operazione», ovvero di «una specifica attività svolta dal soggetto beneficiario della erogazione», espressamente contestata dall’amministrazione finanziaria (v. pag. 4 del ricorso), precisando al riguardo che era del tutto superflua a tali fini la «regolarità dell’operazione e dei mezzi di pagamento utilizzati».
4. E’, quindi, agevolmente evincibile da quanto appena sintetizzato la ratio decidendi di cui la commissione territoriale si è avvalsa nel rigettare l’appello della società contribuente, ovvero il mancato assolvimento dell’onere probatorio avente ad oggetto l’effettività della prestazione pubblicitaria, gravante sulla società contribuente, che ne era onerata alla luce degli stessi principi giurisprudenziali citati dalla ricorrente (v. anche Cass. n. 5720 del 2016 e Cass. n. 14232 del 2017).
5. Orbene, su questa ratio decidendi il ricorso non muove censure, limitandosi a sostenere soltanto con il secondo motivo (di cui appresso si dirà) che la CTR, sulla questione della mancata prova della «specifica attività promozionale», oltre che dell’inerenza dei costi e del collegamento tra la spesa e la promozione dei servizi offerti, non aveva motivato in maniera soddisfacente.
6. Alla stregua di quanto detto il motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile per non aver censurato una delle rationes deciderteli della sentenza impugnata, alla stregua del noto principio secondo cui «Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza» (Cass. n. 18641 del 2017; in termini anche Cass. n. 9752 del 2017 e n. 15399 del 2018).
7. Il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la CTR «motivato in maniera soddisfacente la conferma della tesi esposta dalla Commissione Tributaria Provinciale», è inammissibile non solo perché viene omessa l’indicazione del fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, ma anche perché lamenta un’insufficienza motivazionale non più deducibile nel giudizio di legittimità se non nelle ipotesi – qui non ricorrenti (e neppure dedotti) – di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile” (cfr., ex multis, Cass. n. 20721 del 2018, secondo cui, al di fuori di dette ipotesi «resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione»). Ma soprattutto il motivo è inammissibile in quanto in contrasto con il disposto di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., vertendosi in ipotesi di c.d. doppia conforme rispetto alla quale la ricorrente non ha indicato profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura ex art. 360, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. nn. 26774/2016, 5528/2014).
8. In estrema sintesi il ricorso va dichiarato inammissibile ed in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13.
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